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Divorzio estorto sotto pressione e con minacce: si può contestare?

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(@angelo-greco)
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Impugnazione divorzio o separazione con violenza morale e ricatti: come difendersi.

Ipotizziamo il caso di un uomo disoccupato che voglia separarsi dalla moglie che, al contrario di lui, ha un reddito costante ed elevato. La coppia ha un figlio. In caso di separazione giudiziale, è probabile che il giudice imponga alla moglie di mantenere il marito. Tuttavia, per scongiurare questa eventualità, la donna inizia a minacciare l’uomo, affermando che, se egli non rinuncerà agli alimenti, gli impedirà di vedere il figlio, che il bambino verrà influenzato negativamente nei suoi confronti e che incontrerà numerose difficoltà ogni volta che cercherà di vederlo. In una situazione del genere, è lecito chiedersi se si può contestare un divorzio o una separazione estorta con le minacce, anche solo psicologiche.

La questione è stata decisa dalla Cassazione con l’ordinanza n. 4440/2024. Vediamo, dunque, quando si può revocare il consenso fornito in sede di separazione consensuale.

Cos’è la separazione consensuale?

La separazione consensuale, al contrario di quella giudiziale, si verifica quando i coniugi trovano un accordo su tutti gli aspetti relativi alla cessazione della convivenza (affidamento figli, assegno di mantenimento, divisione dei beni, assegnazione della casa, ecc.).

Si tratta di una procedura più semplice e veloce rispetto alla separazione giudiziale, in quanto non richiede una vera e propria causa ma una semplice udienza dinanzi al giudice che convalida l’accordo.

Se la coppia non ha figli o se questi sono già autonomi, la separazione consensuale si può fare in Comune senza avvocati.

Diversamente è possibile farla anche con un accordo scritto stipulato alla presenza dei rispettivi avvocati (cosiddetta negoziazione assistita) oppure dinanzi al giudice in Tribunale.

Dopo 6 mesi è possibile procedere al divorzio.

Gli accordi presi in sede di separazione possono essere sempre oggetto di revisione con il divorzio: l’eventuale rinuncia ai diritti in tale sede non pregiudica infatti una successiva rivendicazione, quando sarà il momento di procedere allo scioglimento definitivo del matrimonio.

Si può contestare una separazione consensuale?

Come appena detto, qualsiasi accordo in sede di separazione consensuale può essere oggetto di revisione con il divorzio. I coniugi infatti non sono tenuti a riconfermare le pattuizioni precedenti o la rinuncia a eventuali diritti.

Così, ad esempio, se la moglie ha rinunciato al mantenimento durante la separazione in cambio dell’intestazione di una casa, nulla esclude che possa farne richiesta all’atto del divorzio.

Dunque, il modo migliore per procedere alla revisione della separazione è intraprendere il giudizio di divorzio.

Peraltro è ben possibile procedere a un divorzio giudiziale (ossia con una regolare causa), se la precedente separazione è stata consensuale.

Il problema però si pone se si è già proceduto al divorzio. In questo caso non c’è alcun ulteriore step giudiziario da intraprendere, sicché l’accordo rimane in piedi fino a quando non mutano significativamente le condizioni economiche di almeno uno dei due coniugi (nel qual caso è possibile avviare una procedura di revisione delle condizioni di divorzio).

In questi casi, cosa si può fare? Come vedremo a breve, è possibile annullare l’accordo di separazione o divorzio il cui consenso è stato prestato sotto pressioni psicologiche forti e minacce.

Quando annullare la separazione o il divorzio a seguito di minacce?

Come tutte le manifestazioni di volontà, anche l’atto di separazione o di divorzio consensuale richiede:

  • la capacità d’intendere e di volere;
  • un consenso spontaneo e libero.

Quest’ultimo elemento non può ricorrere se c’è stata violenza fisica o psicologica. Le minacce o le pressioni, attuate tramite la promessa di allontanare il figlio dal genitore se questi non rinuncerà al mantenimento, sono tali da giustificare una causa di annullamento della separazione o divorzio consensuale. Lo scopo è chiaramente riportare indietro il “regolamento di conti” tra i due coniugi e lasciare al giudice decidere se ci sono gli estremi per poter accordare l’assegno di mantenimento al coniuge più povero.

Secondo la Corte, infatti, anche la separazione consensuale può essere revocata se il consenso non è stato spontaneo.

La violenza deve però essere di tal natura da fare impressione a una persona sensata e da farle temere di esporre sé o i suoi beni a un male ingiusto e notevole. Si ha riguardo, in questa materia, all’età, al sesso e alla condizione delle persone. Così recita l’articolo 1435 del Codice civile. Tra i beni in pericolo vi può anche essere il diritto all’esercizio della genitorialità e quindi la possibilità di vedersi negare gli incontri o lo stesso affetto del figlio.

La violenza si può esercitare in modo esplicito, manifesto e diretto, o, viceversa, mediante un comportamento intimidatorio, oggettivamente ingiusto, anche ad opera di un terzo (ad esempio il genitore dell’ex coniuge). È in ogni caso necessario che la minaccia sia stata specificamente diretta ad estorcere il consenso e che questa sia tale da incidere, con efficacia causale concreta, sulla libertà di autodeterminazione dell’autore di essa.

Nel caso di specie deciso dalla Corte, la moglie tramite minacce indirette aveva condotto il marito alla sottoscrizione del contratto, che senza queste induzioni non avrebbe mai sottoscritto.

 
Pubblicato : 22 Marzo 2024 12:15