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Dimissioni: a cosa ho diritto?

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(@massimiliano-scorza)
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Tfr, ratei tredicesima e quattordicesima, ferie e permessi: che cosa spetta al dipendente che si dimette dal posto di lavoro.

Stai per presentare le tue dimissioni? Il cambiamento può spaventare chiunque, ma con la consapevolezza dei propri diritti si parte senz’altro avvantaggiati.

Al lavoratore dimissionario spettano tutte le competenze maturate nel corso del rapporto lavorativo, senza penalizzazione alcuna.

Chiaramente, trattandosi di una perdita volontaria di lavoro, non tutti gli istituti aventi natura assistenziale saranno garantiti al lavoratore una volta cessato il rapporto. Ma, anche in questo caso, alcune particolarità sono previste in base alla natura delle dimissioni o del soggetto interessato.

Dopo le dimissioni, difatti, al lavoratore spetta il Tfr, cioè la liquidazione, che ammonta all’incirca ad una mensilità per ogni anno lavorato presso l’azienda; spettano poi i ratei delle mensilità aggiuntive (tredicesima e, se dovuta, quattordicesima), la liquidazione dei permessi e delle ferie non goduti.

A queste competenze potrebbe aggiungersi, poi, l’indennità di disoccupazione, la c.d. Naspi.

Nel caso in cui le dimissioni non siano state rassegnate per giusta causa o non siano intervenute nel periodo tutelato per maternità o in determinate circostanze particolari (dimissioni incentivate, periodo di prova…), tieni conto, però, che il dipendente deve fornire all’azienda il preavviso minimo stabilito dal contratto collettivo applicato.

Trattamento di fine rapporto

La liquidazione, o meglio il Tfr, il trattamento di fine rapporto, spetta, nella generalità dei casi, al momento del licenziamento o delle dimissioni (a meno che il lavoratore non abbia scelto di destinarlo a un fondo di previdenza complementare o, ancora, non abbia richiesto delle anticipazioni. In quest’ultimo caso spetta solo il trattamento al netto di quanto anticipato.

Come si calcola il TFR spettante?

Per determinare l’ammontare del Tfr, è sufficiente dividere il totale della retribuzione erogata al dipendente durante l’anno (esclusi alcuni emolumenti non imponibili ai fini del trattamento) per 13,5, e sottrarre una quota pari allo 0,5% dell’imponibile, che serve per alimentare il fondo di garanzia dell’Inps (che assicura il pagamento della liquidazione, anche quando l’impresa fallisce). In pratica, ogni anno, il datore di lavoro deve mettere da parte il 6,91% di quanto percepito dal lavoratore e versare all’Inps lo 0,5%.

In ogni annualità maturano 12 ratei di Tfr, uno per ogni mese: se la frazione di mese supera i 15 giorni, dev’essere contato un rateo intero, se sono inferiori, non viene maturato alcun rateo.

Le somme accantonate vengono rivalutate, anno per anno, per un ammontare pari all’1,5%, più il 75% del tasso di inflazione (ad esempio, se l’inflazione è al 2%, il suo 75% è l’1,5%, pertanto il trattamento sarà rivalutato del 3%, pari a 1,5% più 1,5%).

Il dipendente può decidere, quando l’impresa ha un organico sotto le 50 unità, di lasciare il Tfr in azienda o versarlo ad un fondo di previdenza complementare (con rendimenti differenti, a seconda del fondo pensionistico scelto). Quando l’organico supera i 50 dipendenti, può scegliere tra il fondo di previdenza complementare o il fondo di Tesoreria dell’Inps, in quanto non è possibile lasciare il Tfr in azienda.

Ratei delle mensilità aggiuntive

Al momento delle dimissioni, al lavoratore devono essere liquidati i ratei residui delle mensilità aggiuntive: tredicesima e, per i Ccnl che la prevedono, quattordicesima.

La tredicesima, normalmente, è liquidata in occasione del Natale, mentre la quattordicesima nel mese di luglio.

Le mensilità aggiuntive maturano tutti i mesi (per le porzioni lavorate oltre i 15 giorni) nella misura di 1/12. Nella generalità dei casi sono pagate una volta all’anno, ma possono esserci accordi differenti con cui si prevede il pagamento mese per mese in base all’effettiva maturazione. In questo caso, al lavoratore dimissionario saranno dovuti esclusivamente i ratei maturati nel mese in cui presenta le dimissioni, non avendo importi residui in sospeso.

Come si calcolano i ratei di tredicesima spettante?

La tredicesima non è uguale per tutti, ma è calcolata sulla base dello stipendio “ordinario”, cioè sugli elementi fissi e continuativi della retribuzione.

In particolare, per ogni mese dell’anno, a partire da gennaio, si matura un rateo di tredicesima, pari a 1/12 degli elementi fissi e continuativi della retribuzione (non fanno parte degli elementi fissi e continuativi, ad esempio, lo straordinario, o i compensi ed i premi erogati una tantum, proprio perché si tratta di corrispettivi occasionali e privi del carattere della continuità).

Quando non spetta la tredicesima?

La tredicesima, invece, non matura nelle seguenti ipotesi:

  • aspettativa non retribuita;
  • astensione per malattia del figlio;
  • assenza per malattia oltre il periodo di comporto;
  • assenza per permessi non retribuiti.

Per i dipendenti con contratto di part time orizzontale (servizio prestato in tutte le giornate lavorative, ma per meno ore rispetto all’orario ordinario giornaliero), i ratei di mensilità aggiuntiva maturano normalmente, perché le giornate lavorate sono le stesse: non è necessario, quindi, alcun riproporzionamento dei ratei spettanti, dato che la base di calcolo è la retribuzione corrente, già riproporzionata all’orario parziale, e di conseguenza la tredicesima è già ridotta automaticamente.

Per i dipendenti con contratto di part time verticale o misto (cioè vengono lavorate soltanto alcune giornate della settimana, o del mese, o dell’anno), invece, se l’attività non è prestata per l’intero mese, è contata come mensilità intera quella in cui risultano lavorate almeno 15 giornate.

I mesi nei quali, invece, i giorni di lavoro sono inferiori a 15, non danno luogo ad alcun rateo di tredicesima (salvo eventuali previsioni contrattuali più favorevoli).

Ratei di quattordicesima

Anche la quattordicesima, come la tredicesima, è una mensilità aggiuntiva ed è soggetta a una disciplina analoga, ma viene solitamente liquidata assieme alla mensilità di giugno, nel mese di luglio.

La quattordicesima, però, non spetta a tutti i lavoratori, ma soltanto se il contratto collettivo lo prevede. È prevista, ad esempio, dai contratti collettivi del terziario, del commercio e del turismo.

Inoltre, a differenza della tredicesima, per la quale è stata recentemente introdotta la maturazione anche durante la fruizione del congedo parentale (c.d. maternità facoltativa), nei contratti per i quali è prevista la quattordicesima mensilità la sua maturazione continua ad essere esclusa in suddetto periodo.

Ferie non godute

Al lavoratore dimissionario spetta anche la liquidazione delle ferie non godute: queste, che ammontano almeno a 4 settimane l’anno [1], possono difatti essere monetizzate alla cessazione del rapporto di lavoro.

Prima delle dimissioni, invece, il lavoratore non può rinunciare alle ferie in cambio di un’indennità. È possibile monetizzare, soltanto le ferie che eccedono il minimo legale delle 4 settimane annue.

Come si calcolano i ratei ferie spettanti?

Per ogni mese dell’anno matura un rateo ferie pari a 1/12 delle ferie annuali spettanti. Ad esempio, se il lavoratore ha diritto a 26 giornate l’anno, per ogni mese di lavoro matura 2,167 giorni.

Anche in questo caso, ai fini della maturazione, si considera lavorato per intero il mese in cui il servizio è prestato per almeno 15 giornate.

Permessi non goduti

I contratti collettivi riconoscono al lavoratore ulteriori assenze retribuite, i permessi. I permessi sono di varie tipologie: permessi ex festivitàrol (riduzione orario di lavoro), banca ore…A differenza delle ferie, i permessi sono monetizzabili anche nel corso del rapporto.

Al momento della cessazione del rapporto di lavoro, per dimissioni o meno, i permessi non goduti e non pagati vanno corrisposti al lavoratore.

Come si calcolano i permessi non goduti?

permessi spettanti dipendono dalle previsioni del contratto collettivo e possono variare in base all’anzianità del lavoratore, del livello, della qualifica e dell’orario svolto. È dunque necessario, per capire a quanto ammontano i permessi da liquidare al termine del rapporto, verificare con attenzione che cosa dispone il contratto collettivo applicato.

Per approfondire: Come funzionano i permessi dal lavoro.

Indennità di disoccupazione Naspi

Il lavoratore dimissionario, nella generalità dei casi, non ha diritto all’indennità a carico dello Stato, la Naspi, o indennità di disoccupazione. Ci sono però delle ipotesi in cui, nonostante le dimissioni, può comunque aver diritto al sussidio.

Nello specifico, i requisiti per aver diritto alla Naspi sono:

  • il possesso dello stato di disoccupazione: bisogna, cioè, aver perso involontariamente il lavoro e rilasciare la Did, la dichiarazione d’immediata disponibilità al lavoro (e alle iniziative di formazione, orientamento e di politica attiva del lavoro).

In caso di dimissioni, il lavoro si considera ugualmente perso involontariamente se le stesse sono rassegnate per giusta causa o nel periodo tutelato di maternità e paternità. L’indennità Naspi, prima riservata solo alla madre dimissionaria nel primo anno di vita del bambino, è stata recentemente estesa anche al padre che fruisce del congedo di paternità alternativo o obbligatorio.

Si ha diritto allo stato di disoccupazione e alla Naspi anche in caso di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, a seguito di tentativo obbligatorio di conciliazione o di trasferimento ad altra sede;

  • possedere almeno 13 settimane di contributi negli ultimi 4 anni, che non abbiano già dato luogo a un’altra indennità collegata allo stato di disoccupazione.

A quanto ammonta la Naspi?

L’indennità di disoccupazione ammonta al 75% dell’imponibile Inps mensile medio degli ultimi 4 anni, se questo è inferiore a 1.352,19 euro. Se è superiore, pari al 75% di € 1.352,19 + 25% della differenza tra la retribuzione mensile e € 1.352,19. In ogni caso la Naspi mensile non può superare 1.470,99 euro.

Quanto dura la Naspi?

La durata della Naspi è pari alla metà delle settimane di contribuzione possedute negli ultimi 4 anni (non possono essere contate le settimane già indennizzate). In ogni caso, non si possono mai superare i 24 mesi.

Per gli eventi di disoccupazione che si verificano dopo il 1° gennaio 2022, la NASPI si riduce del 3% ogni mese a decorrere dal 1° giorno del 6° mese di fruizione. Per i beneficiari che, al momento di presentazione della domanda, hanno compiuto 55 anni la riduzione, invece, si applica a decorre dall’8° mese.

Il lavoratore dimissionario deve pagare l’indennità sostitutiva del preavviso?

Il lavoratore che si dimette è obbligato a dare un certo numero di giornate di preavviso, che dipendono, in base alle previsioni del contratto collettivo, dall’anzianità e dal livello d’inquadramento del lavoratore.

Se il dipendente non rispetta il preavviso, è obbligato a liquidare un’indennità sostitutiva, la cosiddetta indennità di mancato preavviso, che corrisponde alle giornate di preavviso non fornite. L’obbligo di preavviso non sussiste nel caso in cui le dimissioni siano:

  • per giusta causa: in quest’ipotesi, esistendo una causa che non consente la prosecuzione, nemmeno momentanea, del rapporto, il lavoratore può cessare l’attività ad effetto immediato, senza dover corrispondere alcun indennizzo all’azienda; peraltro, le dimissioni non sono considerate per giusta causa, ma volontarie, se è fornito un preavviso, anche minimo;
  • durante il periodo tutelato di maternità e paternità; la lavoratrice madre ed il lavoratore padre possono dimettersi senza necessità del preavviso:

 – durante tutto l’arco della gravidanza e sino all’anno di vita del bambino, se lavoratrice madre;

– dalla nascita sino all’anno di vita del bambino, se lavoratore padre;

Anzi, le dimissioni presentate durante tale periodo danno diritto a ricevere dal proprio datore di lavoro l’indennità sostitutiva del preavviso.

  • durante il periodo di prova: in questa fase del rapporto di lavoro il lavoratore può scegliere di interrompere il rapporto lavorativo senza particolari obblighi e formalità;
  • incentivate: nessun preavviso, infine, è dovuto per le dimissioni incentivate, applicate quando datore e lavoratore si accordano perché quest’ultimo ponga volontariamente fine al rapporto di lavoro in cambio di un incentivo economico; la stessa disciplina si applica anche per gli accordi collettivi cosiddetti di esodo.

Quando devo convalidare le dimissioni?

In alcuni casi per la validità delle dimissioni il lavoratore deve adoperarsi per espletare un’ulteriore attività definita di convalida.

Tale attività deve essere espletata dai seguenti lavoratori:

  • dalla lavoratrice durante il periodo di gravidanza;
  • dalla lavoratrice o dal lavoratore durante i primi 3 anni di vita del bambino;
  • della lavoratrice nelperiodo intercorrente tra la richiesta delle pubblicazioni del matrimonio ed un anno dopo la celebrazione delle nozze;

Per la convalida delle proprie dimissioni è necessario recarsi presso una sede dell’Ispettorato Territoriale del Lavoro, così da permettere la certificazione della genuinità e volontarietà delle dimissioni.

Il mancato assolvimento di tale procedura determina la nullità delle dimissioni presentate.

 
Pubblicato : 23 Luglio 2023 17:19