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Dichiarazioni spontanee: cosa sono e che valore hanno?

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(@mariano-acquaviva)
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In cosa consistono e a cosa servono le dichiarazioni rese dall’indagato di propria iniziativa? Qual è la differenza con l’esame dell’imputato?

La persona indagata o formalmente accusata di aver commesso un reato può avvalersi della facoltà di non rispondere. Ciò significa che, se la polizia o il pubblico ministero vogliono fargli delle domande, può legittimamente rifiutarsi di parlare, senza che ciò equivalga a un’ammissione di responsabilità. È in questo contesto che si inseriscono le dichiarazioni spontanee. Cosa sono e che valore hanno? Scopriamolo insieme.

Cosa sono le dichiarazioni spontanee?

Sono spontanee le dichiarazioni che l’indagato o l’imputato decidono di rilasciare alle autorità di propria iniziativa, cioè senza che siano le forze dell’ordine oppure il pm a chiederne l’acquisizione.

Si tratta pertanto di una scelta assolutamente libera del soggetto sospettato o accusato di aver commesso un crimine.

Le dichiarazioni sono “spontanee” anche perché non sono sollecitate in alcun modo dall’autorità, la quale quindi non può fare domande.

In cosa consistono le dichiarazioni spontanee?

Le dichiarazioni spontanee consistono nell’esposizione di fatti favorevoli al soggetto che le rende, con lo scopo di convincere le forze dell’ordine (oppure il magistrato) della propria innocenza.

Possiamo quindi affermare che le dichiarazioni spontanee rappresentano un mezzo di autodifesa.

Quando si possono rendere dichiarazioni spontanee?

Le dichiarazioni spontanee possono essere rese sia durante la fase delle indagini preliminari che durante il processo, cioè quando il soggetto è già stato rinviato a giudizio.

Secondo la legge [1], la polizia giudiziaria può ricevere dichiarazioni spontanee dall’indagato, il quale quindi decide autonomamente di recarsi presso le forze dell’ordine.

Sempre la legge [2] afferma che l’imputato ha facoltà di rendere in ogni stato del dibattimento le dichiarazioni che ritiene opportune, purché esse si riferiscano all’oggetto dell’imputazione e non intralcino il giudizio.

In pratica, l’imputato può sempre chiedere al giudice di essere sentito per rendere dichiarazioni spontanee, ad esempio dopo aver escusso i testimoni, purché però la narrazione che intende proporre sia pertinente al processo.

Da quanto detto sinora si evince come quello di rendere dichiarazioni spontanee sia un vero e proprio diritto, sia dell’indagato che dell’imputato.

Come funzionano le dichiarazioni spontanee?

Abbiamo detto che la caratteristica fondamentale delle dichiarazioni spontanee è di essere assolutamente libere, cioè non sollecitate dall’autorità che sta procedendo.

Da tanto deriva un’altra importantissima conseguenza: l’indagato può presentarsi alla polizia per rendere dichiarazioni spontanee anche senza il proprio difensore.

Al contrario dell’interrogatorio e delle sommarie informazioni, quindi, le dichiarazioni spontanee non necessitano dell’assistenza dell’avvocato, il quale dunque può essere anche assente quando le stesse vengono rese.

La presenza del difensore è inoltre superflua in quanto le dichiarazioni spontanee non prevedono che l’autorità a cui sono rese possa fare domanda: ciò significa che tali dichiarazioni consistono in un monologo dell’indagato, senza possibilità di intervenire per chiedere precisazioni o porre altre questioni.

Le dichiarazioni vengono documentate mediante verbale che, previa conservazione di una copia, è trasmesso senza ritardo al pubblico ministero e da questi conservato nel fascicolo delle indagini.

Per quanto riguarda le dichiarazioni spontanee rese in udienza, in questo caso la presenza dell’avvocato deriva dal fatto che non può celebrarsi alcun giudizio se non è presente il difensore dell’imputato, quand’anche nominato d’ufficio.

Le dichiarazioni possono essere usate in giudizio?

Secondo la legge, le dichiarazioni spontanee rese dall’indagato possono essere utilizzate in giudizio solo per contestare, in tutto o in parte, la deposizione dell’imputato.

In altre parole, le dichiarazioni spontanee fatte alle forze dell’ordine possono essere utilizzate contro chi le ha rese se questi, in giudizio, si sottopone ad esame affermando cose contrarie a quelle dette in precedenza.

Ad esempio, se l’indagato, durante le proprie dichiarazioni spontanee alla polizia, afferma che, al momento del reato, si trovava con la moglie e poi, durante il processo, afferma invece che stava con gli amici, il pm potrà contestare questa differenza di versioni.

Le dichiarazioni spontanee rese alla polizia, quindi, non entrano a far parte del fascicolo del dibattimento, conservando un’utilizzabilità limitata ai soli fini della contestazione in giudizio.

Secondo la Corte di Cassazione [3], le dichiarazioni spontanee, anche se rese in assenza del difensore e senza l’avviso di poter esercitare il diritto al silenzio, sono utilizzabili nella fase procedimentale nella misura in cui emerga con chiarezza che l’indagato abbia scelto di renderle liberamente, senza alcuna coercizione o sollecitazione.

Che valore hanno le dichiarazioni spontanee?

Proprio perché le dichiarazioni spontanee sono libere e pronunciate senza che qualcuno possa controbattere, il valore che generalmente si attribuisce a esse è piuttosto scarso.

Le dichiarazioni spontanee, infatti, sono la narrazione unilaterale con cui l’indagato/imputato espone la propria versione dei fatti. Non essendoci possibilità di contraddittorio, il loro valore è molto limitato, tant’è vero che i giudici quasi mai le prendono in considerazione.

Come detto, però, le dichiarazioni spontanee potrebbero ritorcersi contro chi le ha rese, nel momento in cui la versione dei fatti narrata in udienza dovesse divergere con quella prospettata inizialmente alla polizia.

Ogni buon avvocato penalista suggerirebbe pertanto al proprio cliente di non rendere alcuna dichiarazione spontanea se non è assolutamente certo di ciò che sta per raccontare.

Cos’è l’esame dell’imputato?

A differenza delle dichiarazioni spontanee, l’esame dell’imputato si svolge nel contraddittorio tra le parti, con conseguente possibilità di porre domande al soggetto sotto processo.

In pratica, l’imputato che decide di sottoporsi ad esame sceglie di rispondere alle domande che gli verranno poste dal pubblico ministero, dal giudice, dal proprio avvocato ed, eventualmente, dall’avvocato della parte civile.

È per questo motivo che l’esame dell’imputato è un mezzo di prova a tutti gli effetti, mentre non lo sono le dichiarazioni spontanee.

 
Pubblicato : 15 Agosto 2023 13:00