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Datore di lavoro non paga: è possibile farsi giustizia da sé?

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(@angelo-greco)
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Cosa fare se non ricevi il pagamento dal tuo datore di lavoro e come la legge tratta il licenziamento per ritorsione.

Nel contesto lavorativo, le dispute tra dipendente e datore di lavoro possono talvolta sfociare in azioni drastiche, non sempre secondo i binari che la legge impone, quelli cioè della vertenza sindacale o giudiziaria. Un esempio piuttosto frequente è il dipendente che, non ricevendo tempestivamente lo stipendio, decida di agire per vendetta attraverso varie ritorsioni che incidano sulla sua prestazione lavorativa. Il suo comportamento potrebbe essere considerato meno grave tenuto conto della situazione conflittuale venutasi a creare in azienda? In altri termini, se il datore di lavoro non paga è possibile farsi giustizia da sé, ad esempio non andando al lavoro oppure rifiutandosi di svolgere determinate mansioni?

Sappiamo che il nostro ordinamento consente la legittima difesa solo in ambito penale. E tuttavia, nei rapporti di diritto civile, l’articolo 1460 del codice civile stabilisce che, nelle cosiddette obbligazioni corrispettive (dove cioè entrambe le parti devono eseguire una prestazione), il debitore può evitare di adempiere se non vede l’altra pronta a farlo anch’essa. Del resto – come dicevano anche i latini – a chi è inadempiente non è dovuto l’adempimento. È la cosiddetta “eccezione di inadempimento”. Ebbene, Può questa norma applicarsi anche nell’ambito dei rapporti di lavoro? Se il datore non paga, il dipendente può astenersi dal lavorare?

Di tanto si è occupata la Cassazione. Vediamo cosa ha detto la Corte in questa occasione.

Cos’è l’eccezione di inadempimento

Cerchiamo innanzitutto di comprendere meglio il contenuto dell’articolo 1460 cod. civ. di cui abbiamo appena fatto menzione. La norma stabilisce testualmente: «Nei contratti con prestazioni corrispettive, ciascuno dei contraenti può rifiutarsi di adempiere la sua obbligazione, se l’altro non adempie o non offre di adempiere contemporaneamente la propria, salvo che termini diversi per l’adempimento siano stati stabiliti dalle parti o risultino dalla natura del contratto».

Il principio enunciato dal brocardo costituisce una tutela immediata a favore del soggetto la cui controparte sia inadempiente: costui, nel momento in cui l’altra parte, inadempiente, gli chieda la prestazione, può assumere un atteggiamento passivo, evitando cioè di eseguire i suoi obblighi contrattuali. Il rifiuto a eseguire la propria prestazione è tuttavia legittimo quando è conforme a buona fede, ossia quando è giustificato da un non lieve inadempimento dell’altra parte.

Che cosa significa “farsi giustizia da sé” in ambito lavorativo?

Nel linguaggio comune, quando si dice “farsi giustizia da sé” si intende l’azione di prendere provvedimenti personali per risolvere una disputa o un torto, senza ricorrere alle vie legali.

In ambito lavorativo, ciò può verificarsi quando un dipendente si sente leso o maltrattato dal datore di lavoro e decide di reagire autonomamente, spesso in maniera illegale o controproducente.

È legale licenziare un dipendente che si fa giustizia da sé?

Secondo la giurisprudenza italiana, in particolare la sentenza n. 6991/17 della sezione lavoro della Cassazione, è legittimo licenziare un dipendente che, per ritorsione, compie azioni dannose verso il datore di lavoro. Il caso riguardava un dipendente che, non avendo ricevuto alcune somme di denaro, aveva manipolato il sistema informatico per attestare falsamente la sua presenza in ufficio durante le ferie. Tale comportamento è di per sé illegittimo: falsificare il badge è, per la giurisprudenza, un motivo sufficiente per il licenziamento in tronco. E lo stesso avverrebbe se l’interessato manomettesse un sistema informatico (accedendovi senza autorizzazione) o distruggesse un bene aziendale: sono tutti comportamenti che hanno peraltro una rilevanza penale e possono portare, oltre che a provvedimenti disciplinari, anche a una querela.

Ma è chiaro che la decisione della Suprema Corte è stata fortemente influenzata dal tipo di condotta, particolarmente grave, che il lavoratore aveva compiuto. Come vedremo a breve, infatti, esistono casi in cui la “ritorsione” del dipendente può essere giustificata.

Difatti non poche sentenze, seppur stigmatizzando il comportamento del lavoratore che inveisce contro il proprio capo, hanno escluso la sanzione disciplinare più grave del licenziamento quando la reazione verbale è proprio la manifestazione di una situazione esasperata.

Quali sono le conseguenze di azioni ritorsive contro il datore di lavoro?

Le azioni ritorsive di un dipendente possono determinare provvedimenti disciplinari, più o meno gravi a seconda del caso e della gravità dell’inadempimento di entrambe le parti.

Sarebbe ad esempio illegittimo il comportamento di una guardia giurata che ometta di presentarsi sul luogo ove effettuare la sorveglianza solo perché da tre giorni non riceve lo stipendio (si tratta di un ritardo tutto sommato accettabile).

Sarebbe altresì illegittimo il rifiuto del dipendente di prendere servizio presso un’altra sede in cui è stato trasferito solo perché ritiene tale spostamento ingiustificato senza però, nel contempo, impugnare il provvedimento. La legge infatti richiede che il dipendente si faccia parte attiva azionando la tutela giudiziaria se intende contestare l’ordine di servizio del datore. Non basta quindi assumere un atteggiamento passivo (quello cioè di non lavorare).

Dall’altro lato si deve però ritenere scusabile la condotta del lavoratore che rifiuta di fare gli straordinari poiché i precedenti non gli sono stati correttamente conteggiati in busta paga. E di colei che, avendo ricevuto avances dal superiore gerarchico, si rifiuti di presentarsi all’ufficio di questi da sola. Ed ancora il dipendente può omettere determinate prestazioni se risultano pericolose per la sua salute quando il datore non adotti sistemi di sicurezza e tutela secondo le disposizioni di legge. Per esempio, un lavoratore potrebbe rifiutarsi di svolgere le mansioni in un ufficio dove non viene osservato il divieto di fumare. Non in ultimo è stato ritenuto corretto e non sanzionatile il rifiuto delle prestazioni contrarie alla legge.

Come si può tutelare il dipendente?

Dinanzi al mancato pagamento dello stipendio o ad altri comportamenti illegittimi del datore o dei suoi superiori, il dipendente ha una serie di strumenti azionabili, diversi dall’autotutela che invece potrebbe porlo dalla parte della ragione a quella del torto. Egli potrebbe dimettersi per giusta causa, chiedere il risarcimento del dano e l’indennità di mancato preavviso. Potrebbe altresì denunciare il datore di lavoro agli organi ispettivi dell’Inps, dell’Inail o dell’Ispettorato territoriale del Lavoro. Potrebbe infine avviare una vertenza sindacale rivolgendosi a una sigla sindacale.

 
Pubblicato : 6 Novembre 2023 10:00