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Danno catastrofale: cos’è e quando è risarcibile

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(@paolo-remer)
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Se la vittima sopravvive per un po’ di tempo al fatto lesivo, e nel frattempo è consapevole della propria morte, il danno morale da lucida agonia si trasmette agli eredi.

Negli ultimi tempi la giurisprudenza italiana sta manifestando un maggiore interesse per le sofferenze della persona umana. Capita spesso, a seguito di gravi incidenti stradali o di malattie, che il paziente rimanga lucido, ma anche consapevole della propria inevitabile fine. Dunque prova maggior dolore perché sa di dover morire a seguito delle ferite riportate, o della patologia che si sta aggravando. In questo quadro si inserisce il danno catastrofale: vediamo cos’è e quando è risarcibile come voce di danno autonoma e ulteriore rispetto a quelle consuete.

Agli eredi serve saperlo, per capire come possono essere compensati, sia pure per equivalente monetario, del dolore subito da un proprio caro che è deceduto in conseguenza di un fatto illecito altrui, come un incidente stradale, un infortunio sul lavoro, una malattia professionale, un caso di malasanità o un qualsiasi reato, come un omicidio volontario o una rapina finita male.

Il danno da morte

Cominciamo con una categoria generale: il danno da morte, detto anche danno tanatologico (dal greco thànatos, che vuol dire, appunto, morte), è una definizione globale che comprende al suo interno vari aspetti, e da sola è praticamente inutile perché ai fini giuridici non significa nulla.

Ti sembrerà strano, ma per la giurisprudenza italiana il danno da morte – o da perdita della vita – non è in sé risarcibile. Non è assurdo che l’ordinamento giuridico tuteli la salute e la vita umana e poi non ammetta il risarcimento del danno da morte? No, se lo si considera con riferimento al fatto stesso di morire: la Corte Costituzionale e la Corte di Cassazione a Sezioni Unite [1] affermano, con orientamento consolidato (scalfito solo da rare e isolate pronunce [2]), che la persona deceduta per un fatto illecito non può conseguire, e trasmettere ai suoi eredi, un risarcimento per la perdita della propria vita.

Il danno terminale

Quanto detto sopra vale nei casi di morte immediata, o comunque avvenuta dopo pochissimo tempo dalle lesioni. Se invece il decesso si verifica «dopo un apprezzabile lasso di tempo» dal fatto illecito che lo ha causato, allora si rientra nella diversa ipotesi del danno terminale, che consente di superare lo scoglio della non risarcibilità del danno da morte in sé.

Con il danno terminale si risarcisce la sofferenza provata durante il periodo – più o meno breve – di sopravvivenza dell’infortunato o del malato a seguito dell’illecito. E qui si aprono due strade: il danno biologico terminale ed il danno morale terminale, detto anche danno catastrofale. Sono entrambe voci di danno di tipo non patrimoniale, e come tali possono essere liquidate «in via equitativa», cioè con un apprezzamento compiuto dal giudice, quando non sono suscettibili di quantificazione precisa in base a tabelle e parametri [1].

Esaminiamole separatamente, perché sono le due componenti fondamentali del risarcimento che può spettare agli eredi della vittima. A seconda dei casi, possono sussistere entrambe, o una sola, oppure nessuna.

Il danno biologico terminale

A livello generale, il danno biologico è una lesione della salute, con una menomazione dell’integrità psico-fisica che comporta l’impossibilità di svolgere le proprie ordinarie occupazioni (si pensi a un malato ricoverato in ospedale o a un infortunato con la gamba rotta che è stato ingessato). Nello specifico, il danno biologico terminale è risarcibile anche quando la degenza si conclude con la morte del paziente, così come lo sarebbe se egli fosse guarito.

L’unica particolarità sta nel fatto che, a seguito del decesso, questo danno biologico terminale si trasferisce agli eredi della vittima. L’importante è che la sopravvivenza si protragga per almeno un giorno, perché secondo la giurisprudenza è questa l’unità minima che consente il risarcimento delle inabilità permanenti e temporanee, che non sono frazionabili ad ore e minuti temporanee (per avere i parametri di quantificazione, leggi quanto paga l’assicurazione per ogni giorno di prognosi).

Il danno morale terminale, o danno catastrofale

Veniamo ora alla categoria più densa e problematica: il danno morale terminale che, come anticipavamo all’inizio, riguarda la sofferenza provata dalla vittima a causa della consapevolezza di dover morire. Questo, come possiamo ben comprendere, può generare un vasto arco di emozioni e di sentimenti negativi: paura, terrore, panico, disperazione, angoscia.

La sensazione di vedere la propria fine avvicinarsi è terribile. Proprio per cogliere meglio questo aspetto è stata coniata la definizione di danno catastrofale, in alternativa a quella, più tecnica, di danno morale terminale.

Danno catastrofale: quando sussiste

Per provare la gamma di tristi e dolorosi sentimenti che abbiamo descritto è indispensabile la consapevolezza di dover morire: questo è il requisito essenziale del danno catastrofale, che infatti viene definito anche come “danno da lucida agonia”.

Altrimenti, se la vittima non era in grado di comprendere che la fine della propria vita era vicina e inevitabile (ad esempio, un paziente ricoverato in coma dopo un incidente stradale e rimasto in tale stato di incoscienza fino alla morte) non si ha un danno catastrofale risarcibile.

Danno catastrofale: quanto tempo richiede?

Mentre il danno biologico terminale, come abbiamo detto, non è risarcibile al di sotto della soglia di un giorno, il danno catastrofale non richiede una durata minima della sopravvivenza: possono bastare anche pochi minuti o attimi per provare tutte le varie sensazioni connaturate alla consapevolezza dell’imminenza della propria fine (si pensi a chi sta precipitando nel vuoto da un grattacielo).

Così la giurisprudenza ha ammesso, ad esempio, il risarcimento del danno catastrofale ad un ciclista investito da un’autovettura, che era sopravvissuto sull’asfalto per circa due ore in attesa dell’arrivo dei soccorsi ed era rimasto lucido e cosciente durante tutto questo arco di tempo: la Cassazione [4] ha affermato che negare il risarcimento in un caso simile non sarebbe stato rispettoso della dignità della persona umana, sancita dall’art. 2 della Costituzione.

Ovviamente, più la sopravvivenza in tale stato d’animo si protrae, maggiore sarà il danno catastrofale patito, e questo inciderà sull’ammontare del risarcimento, fermo restando che ai fini del riconoscimento del danno terminale morale è sufficiente un breve, o anche brevissimo, «lasso di tempo intercorso tra la lesione personale e il decesso nel caso in cui la persona sia rimasta ‘manifestamente lucida’» [5].

Danno catastrofale: un caso concreto

Di recente la Corte di Cassazione, con una pronuncia che ti riportiamo per esteso a fondo pagina, è ritornata sulla questione e ha sancito che il danno biologico terminale e il danno catastrofale sono autonomi e distinti e perciò devono essere liquidati separatamente, se ricorrono i rispettivi presupposti [6].

Il caso riguardava un lavoratore deceduto per una grave patologia tumorale (mesotelioma pleurico) e all’esito del processo gli Ermellini hanno condannato la società datrice di lavoro a risarcire agli eredi della vittima entrambe le voci di danno. La Suprema Corte ha rilevato che il danno subito dalla vittima è trasmissibile agli eredi sia sotto il profilo del danno biologico terminale sia per quanto concerne il danno catastrofale, che è di tipo morale e consiste «nella sofferenza patita dal danneggiato che con lucidità assiste allo spegnersi della propria vita».

Inoltre il Collegio ha sottolineato che «in caso di malattia professionale o infortunio sul lavoro, che abbia determinato il decesso non immediato della vittima, al danno biologico terminale, consistente in un danno biologico da invalidità temporanea totale (sempre presente e che si protrae dalla data dell’evento lesivo fino a quella del decesso), può sommarsi una componente di sofferenza psichica (danno catastrofale)».

A questo punto, l’unica differenza tra i due tipi di danno sta nel metodo di quantificazione dell’ammontare, perché per il danno biologico si usano le consuete tabelle, mentre per il danno catastrofale, che è di natura morale, la liquidazione deve essere compiuta «con un criterio equitativo puro, che tenga conto della “enormità” del pregiudizio, giacché tale danno, sebbene temporaneo, è massimo nella sua entità ed intensità, tanto da esitare nella morte».

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Pubblicato : 21 Dicembre 2022 08:15