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Cosa succede se vendo online senza partita Iva?

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(@paolo-remer)
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Quando bisogna dichiarare i proventi dell’e-commerce; qual è la differenza tra venditori occasionali ed abituali; come l’Agenzia delle Entrate può verificare i proventi dell’attività.

Hai una collezione di oggetti usati e vorresti approfittare di uno dei tanti marketplace presenti online per mettere un’inserzione di vendita a privati; tuo fratello, invece, è uno “smanettone” pieno di iniziativa e vorrebbe aprire un sito di e-commerce. E tua sorella ha degli abiti usati che non indossa più, quindi vorrebbe cederli ad altre ragazze per recuperare parte della spesa sostenuta per comprarli. Tuo padre e tua madre, invece, sono in pensione ma non stanno con le mani in mano e vorrebbero vendere di tanto in tanto, attraverso internet, alcuni loro prodotti di hobbistica e artigianato manuale. In tutti questi casi, bisogna porsi un’importante domanda: cosa succede se vendo online senza partita Iva?

Tieni presente, innanzitutto, che le inserzioni pubblicate sui vari social, piattaforme e siti internet sono visibili al pubblico, e dunque anche agli occhi del Fisco, che potrebbe ritenere tassabili quei ricavi. Ma ciò avviene solo in determinati casi, perché l’apertura della partita Iva non è necessaria per le attività sporadiche e occasionali. Lo diventa, invece, per le vendite effettuate in forma abituale ed organizzata.

Il difficile è capire, in concreto, la differenza tra queste due ipotesi. Cerchiamo di orientarci nelle varie situazioni che possono verificarsi, tenendo presente che gli introiti derivanti dall’e-commerce sono facilmente individuabili dal Fisco, perché gli accrediti al venditore da parte dell’acquirente a distanza avvengono quasi sempre con sistemi di pagamento tracciabili; quindi anche a posteriori è possibile ricostruire la tipologia delle vendite e il giro d’affari realizzato.

Vendite occasionali o abituali: differenza ai fini Iva

Chi vende una volta soltanto, come privato, qualsiasi bene che aveva acquistato in passato per uso personale o familiare (mobili, fumetti, dischi, orologi, gioielli, abiti ed anche autovetture o piccole imbarcazioni) non deve essere munito della partita Iva, in quanto l’attività è considerata svolta in forma del tutto occasionale e non rientra nell’ambito di applicabilità dell’imposta sul valore aggiunto.

All’estremo opposto, c’è il venditore abituale: costui è considerato un imprenditore e dunque un soggetto Iva, tenuto ai vari adempimenti e tra questi, innanzitutto, ad aprire la partita Iva, entro 3o giorni dall’inizio dell’attività. Considera che per il Fisco il semplice fatto di aprire un proprio sito internet destinato alla vendita, o rivendita, di qualsiasi prodotto è considerato un eloquente sintomo di attività abituale, in quanto il contenuto resta online 24 ore su 24. Altrettanto avviene nei confronti di chi compra prodotti appositamente per rivenderli: in questo la vendita online non differisce dall’attività compiuta in un negozio fisico e tradizionale.

Venditori non occasionali: dichiarazione dei redditi

In una situazione intermedia rispetto alle situazioni che abbiamo descritto si collocano tutti coloro che vendono non una volta soltanto, ma neppure con frequenza e abitualità. In questo caso di venditori non occasionali, a parte l’Iva, di cui ci occuperemo nel paragrafo successivo, bisogna ricordare che i corrispettivi incassati dalle vendite sono imponibili Irpef, e perciò devono essere indicati nella dichiarazione dei redditi, riportando il loro importo nella categoria dei «redditi diversi» [1], in quanto costituiscono «redditi derivanti da attività commerciali non esercitate abitualmente».

Questi proventi sono tassati non al lordo, cioè interamente, bensì al netto delle eventuali spese sostenute per la loro «produzione», come quelle di acquisto, riparazione o impiego di materiali per la produzione ed il confezionamento. Però tutte le spese deducibili devono essere specificamente inerenti ai costi di produzione e vanno analiticamente documentate: ad esempio è possibile dedurre le commissioni applicate dalla piattaforma scelta per le vendite, ed anche le spese di spedizione, quando se ne è fatto carico il venditore anziché l’acquirente.

Venditori sporadici: devono avere la partita Iva?

Abbiamo visto prima che il venditore abituale è equiparato ad un imprenditore e ad un commerciante, ma il venditore sporadico difetta del requisito dell’abitualità che consente di inquadrarlo in tale categoria. Non traiamo, però, conclusioni affrettate. L’essenziale è verificare, caso per caso, la tipologia e la frequenza delle vendite online: ad esempio, anche un’attività stagionale e ripetuta negli stessi mesi ogni anno, per la vendita di prodotti alimentari tipici, non sarà considerata sporadica ed occasionale e richiederà l’apertura della partita Iva.

Viceversa, chi vende saltuariamente oggetti usati o altri beni che comunque non rientrano in un’attività commerciale sistematica e organizzata sarà considerato un venditore occasionale e sporadico, sempre che, come abbiamo detto, non abbia aperto un sito internet appositamente dedicato, e comunque non disponga di una vera e propria organizzazione produttiva, come ti spieghiamo nel paragrafo seguente.

Venditori di prodotti artigianali e homemade: sono soggetti Iva?

Allo stesso modo del venditore sporadico, chi vende ogni tanto e senza continuità su internet, avvalendosi dei siti dedicati o delle piattaforme di marketplace disponibili sui social (ad esempio, su Facebook) per piazzare le inserzioni pubblicitarie delle proprie creazioni o prodotti homemade, realizzati interamente in maniera artigianale e senza attrezzature professionali (fenomeno frequente nel campo della produzione di oggettistica, come le statuette dipinte a mano, e di piccola sartoria, come i centrini fatti all’uncinetto), non sarà considerato un soggetto Iva.

Anche in questi casi, il discrimine sta nell’organizzazione produttiva e nella continuità o meno delle vendite: così una produzione realizzata “in serie”, magari con l’aiuto di personale dipendente, rientrerà sicuramente nel campo di applicazione dell’Iva, e analogamente avverrà per una vetrina virtuale costantemente nutrita di prodotti sempre nuovi. Ovviamente, anche l’incasso realizzato conta: adesso vediamo qual è la soglia che è consigliabile non superare per evitare controlli fiscali.

Vendite online: quali controlli fiscali?

Tieni presente che la prassi operativa dell’Agenzia delle Entrate in fase di accertamento di queste situazioni “borderline” per le quali non è possibile stabilire con certezza e a priori l’abitualità, pone un discrimine negli introiti ricavati dalle vendite: chi incassa più di 5.000 euro all’anno dalle vendite online (o anche offline) viene considerato come imprenditore commerciale e perciò gli si richiederà l’apertura della partita Iva con tutti gli adempimenti conseguenti (fatturazione, registrazione, liquidazione, dichiarazione e versamento dell’imposta).

Così, specialmente se l’attività viene scoperta a distanza di anni, si subiranno tutte le pesanti sanzioni amministrative pecuniarie per omessa dichiarazione dell’attività ed omesse fatturazioni dei ricavi delle vendite, nonché per l’evasione dell’Iva e delle imposte sui redditi. Il tutto sulla base dei maggiori ricavi accertati dall’Amministrazione finanziaria e del periodo di durata dell’attività.

Siccome i pagamenti degli acquisti online avvengono quasi sempre con sistemi tracciabili, come le carte di credito, non è difficile per i funzionari accertatori ricostruire, anche a posteriori, il volume d’affari del venditore e analizzare le singole transazioni, con i relativi importi accreditati in suo favore dai vari acquirenti. A quel punto, se risulta che le operazioni di vendita sono state ripetute frequentemente nel corso del tempo e gli incassi complessivi sono stati rilevanti, sarà molto difficile contestare le risultanze dell’avviso di accertamento e la pretesa impositiva avanzata dal Fisco per il recupero dei tributi evasi.

 
Pubblicato : 15 Aprile 2023 11:00