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Cosa significa “Contratto risolto di diritto”?

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(@angelo-greco)
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Una guida per comprendere il concetto legale di “contratto risolto di diritto” e le sue implicazioni pratiche.

Nel mondo del diritto, il termine “contratto risolto di diritto” si riferisce a una situazione specifica in cui un contratto cessa di avere effetto automaticamente, a seguito di determinate circostanze, senza la necessità di una pronuncia giudiziale. Questo concetto, che trova fondamento in alcune disposizioni del codice civile, ha importanti ripercussioni sia per le aziende che per i singoli individui. Esploriamo più nel dettaglio cosa significa “contratto risolto di diritto”, cosa implica questa terminologia e come viene applicata nella pratica legale.

Che cosa si intende per “risoluzione di diritto” di un contratto?

Per comprendere cosa vuol dire l’espressione “contratto risolto di diritto” dobbiamo fare un passo indietro.

Quando una delle parti firmatarie di un contratto non adempie agli impegni presi, l’altra può agire dinanzi al giudice per ottenere alternativamente:

  • l’esecuzione forzata degli obblighi contrattuali (ossia una condanna a effettuare la prestazione rimasta inadempiuta). Si pensi al proprietario di una casa che, dopo aver firmato un compromesso, non voglia più sottoscrivere il rogito di compravendita;
  • la risoluzione del contratto, ossia lo scioglimento da ogni impegno preso, con liberazione da ogni conseguente obbligo di eseguire la propria prestazione.

In entrambi i casi è comunque possibile chiedere anche il risarcimento dei danni causati dall’inadempimento o dal ritardo nell’adempimento.

Quando è possibile chiedere la risoluzione del contratto?

La risoluzione del contratto – ossia lo scioglimento del vincolo – può essere chiesta solo in presenza di gravi inadempimenti, quelli cioè che riguardano prestazioni essenziali, senza le quali il contratto non sarebbe mai stato concluso.

Si pensi a chi compra un’auto e poi si accorge che il motore è difettoso. Non si potrebbe, al contrario, chiedere la risoluzione del contratto di acquisto di un capo d’abbigliamento di alta sartoria solo perché un bottone è leggermente cadente (cosa facilmente risolvibile con un colpo di ago e filo).

Si può chiedere al giudice la risoluzione del contratto anche quando la controparte è in grave ritardo nell’adempimento della propria prestazione. Si pensi a una persona che abbia necessità di ricevere l’auto ordinata in concessionaria e quest’ultima, dopo quasi otto mesi, non l’abbia ancora consegnata. In tal caso sarà interesse dell’acquirente sciogliersi dal contratto e contattare un’altra azienda, senza perciò essere costretto a pagare quella precedente nel momento in cui (chissà quando) arriverà il prodotto richiesto.

Anche in questo secondo caso è sempre il giudice che valuta, alla luce degli interessi delle parti e del valore del contratto, quando l’inadempimento si può ritenere talmente grave da giustificare una richiesta di risoluzione del contratto.

Cos’è la risoluzione di diritto?

Le parti possono tuttavia prevedere, già nel contratto stesso, che:

  • l’inadempimento di determinate prestazioni
  • il ritardo oltre un certo termine

si considerano “gravi” (ossia essenziali per il consenso) e dunque danno diritto ad avvalersi della risoluzione automatica del contratto. La parte che si voglia avvalere di tale clausola, quindi, non dovrà necessariamente ricorrere al giudice per far accertare la gravità dell’inadempimento o del ritardo essendo già tipizzata, nel contratto, la fattispecie che dà diritto alla risoluzione.

Dunque, la “risoluzione di diritto” di un contratto avviene quando, a causa dell’inadempimento di una delle parti, il contratto viene automaticamente considerato come terminato, senza la necessità dell’intervento di un giudice. Questo significa che il contratto si scioglie di per sé, in virtù delle condizioni previste al suo interno o per legge.

In sintesi il termine “risoluzione di diritto” potrebbe essere così tradotto in un linguaggio semplice: risoluzione automatica, che scatta già per una previsione delle parti, anche senza una sentenza del giudice che accerti la gravità dell’inadempimento o del ritardo.

Facciamo un esempio. Immaginiamo una persona che stipuli un contratto di locazione commerciale e che stabilisca, già nella scrittura privata, che il mancato pagamento anche solo di una mensilità, determinerà la risoluzione di diritto del contratto. In tal caso, il locatore che voglia sfrattare l’inquilino non dovrà ricorrere a un giudice che valuti la gravità dell’inadempimento potendo limitarsi piuttosto a inviargli una comunicazione scritta che manifesti la sua volontà di avvalersi della clausola che gli consente di invocare appunto la risoluzione automatica. Sussiste infatti la condizione prevista nella suddetta clausola e quindi il diritto di dichiarare ormai sciolto il contratto.

Come si distingue dalla risoluzione giudiziale?

A differenza della risoluzione giudiziale, che richiede un intervento del tribunale per dichiarare la gravità dell’inadempimento e quindi la fine di un contratto, la risoluzione di diritto avviene automaticamente (perché la situazione era già stata prevista nel contratto) e non necessita di un pronunciamento giudiziario.

Quali sono le conseguenze pratiche?

Le conseguenze della risoluzione di diritto di un contratto includono l’obbligo per le parti di restituire eventuali prestazioni già ricevute e la cessazione di ogni obbligazione futura derivante dal contratto. Inoltre, la parte inadempiente può essere tenuta a risarcire i danni causati all’altra parte.

Quando si può ottenere la risoluzione automatica del contratto?

In caso di inadempimento, la parte non inadempiente, anziché proporre la domanda per ottenere la risoluzione del rapporto attraverso una sentenza costitutiva del giudice, può giungere alla risoluzione automatica del contratto nei tre seguenti casi:

  • a seguito di diffida ad adempiere ( 1454 cod. civ.);
  • quando è previsto un termine essenziale per una delle parti ( 1457 cod. civ.);
  • in presenza di una clausola risolutiva espressa contenuta nel contratto ( 1456 cod. civ.).

Analizziamo singolarmente queste tre ipotesi.

Diffida ad adempiere

Ai sensi dell’articolo 1454 cod. civ., in caso di inadempimento, la parte che lo subisce può intimare alla controparte di adempiere entro un congruo termine, scaduto il quale il contratto si intende sciolto definitivamente. È una sorta di “avvertimento”, di “messa in mora”.

Si tratta chiaramente una facoltà. La parte può attendere il tempo che vuole; può anche rivolgersi direttamente al giudice.

L’inadempimento si deve essere già verificato e deve essere grave.

La diffida deve contenere:

  • l’intimazione di adempiere alla controparte la specifica prestazione rimasta inadempiuta. Non è sufficiente un generico invito o un sollecito;
  • la fissazione di un congruo termine entro il quale l’altra parte deve adempiere. Tale termine non può essere inferiore a 15 giorni, salvo diversa pattuizione delle parti o salvo che, per la natura del contratto o secondo gli usi, risulti congruo un termine minore;
  • la dichiarazione che, decorso inutilmente detto termine, il contratto s’intende senz’altro risolto di diritto.

Termine essenziale

Le parti possono prevedere nel contratto un termine essenziale per l’adempimento, decorso il quale il contratto si intende automaticamente risolto. La clausola che contiene il termine essenziale non è considerata vessatoria e quindi non richiede un’apposita ed ulteriore firma.

Si pensi al caso di un soggetto che, avendo bisogno di una prestazione entro un determinato giorno, deduce in contratto che il ritardo di un solo giorno nell’esecuzione della prestazione stessa, gli darà diritto di sciogliersi dal contratto, esigere la restituzione dell’anticipo già versato e il risarcimento del danno.

Scaduto il termine, la parte deve dare comunicazione all’altra parte, entro 3 giorni, di volersi avvalere del termine essenziale. Se questa, entro i suddetti 3 giorni, non adempie, il contratto si considera automaticamente risolto.

Clausola risolutiva espressa

Le parti possono inserire nel contratto una clausola con cui si prevede l’automatico scioglimento del contratto qualora una determinata obbligazione non venga adempiuta secondo le modalità stabilite dalle parti stesse.

In tal caso, affinché si verifichi la risoluzione di diritto, la parte interessata deve dichiarare all’altra che intende valersi della clausola risolutiva espressa. Costituisce invece una clausola di stile quella redatta con generico riferimento alla violazione di tutte le obbligazioni contenute nel contratto.

La stipulazione di una clausola risolutiva espressa non limita la possibilità di chiedere la risoluzione al giudice anche nel caso di ulteriori inadempimenti, purché gravi, anche se non tipizzati dalle parti.

 
Pubblicato : 13 Novembre 2023 16:30