Cosa fare se non si riesce a pagare il condominio?
Cosa rischia chi non paga il condominio, cosa può fare il condominio e come uscire da una situazione debitoria difficile.
Chi non ha la possibilità economica di pagare il condominio subisce diverse conseguenze. Diviene innanzitutto destinatario dell’azione di recupero crediti da parte del condominio stesso. In secondo luogo i suoi beni possono essere pignorati anche dai creditori del condominio che, proprio a causa della sua inadempienza, non sono riusciti a incassare le fatture. Ed allora cosa fare se non si riesce a pagare il condominio? A ben vedere le soluzioni sono davvero poche e tutte passano per un accordo transattivo.
Difatti, come si vedrà a breve, l’amministratore ha l’obbligo di recuperare le quote non versate dai cosiddetti “morosi”, diversamente rispondendone personalmente. Sono insomma finiti i tempi in cui, per quieto vivere e per via dei rapporti di buon vicinato, il capo condomino procrastinava le azioni legali contro i debitori. Oggi tutto deve seguire una tempistica prestabilita dalla legge.
Cosa rischia chi non riesce a pagare il condominio nei confronti del condominio?
Contro i morosi, il condominio può rivolgersi al giudice per ottenere un decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo: si tratta di un ordine di immediato pagamento, sotto pena – in caso contrario – di pignoramento dei relativi beni.
Il debitore che riceve la notifica del decreto ingiuntivo tramite il servizio postale o l’ufficiale giudiziario deve pagare subito ma ha 40 giorni di tempo per fare opposizione (con l’assistenza di un avvocato) e contestare il credito.
Se non interviene il pagamento spontaneo, il condominio può aggredire i beni personali del condomino: dal conto corrente al quinto dello stipendio o della pensione; dai canoni di locazione eventualmente percepiti attraverso l’appartamento condominiale al pignoramento immobiliare. Proprio a quest’ultimo proposito sarà bene fare una precisazione. Il condominio creditore può sempre pignorare e mettere all’asta l’appartamento facente parte del condominio, anche se questo è già ipotecato da un altro creditore (come ad esempio la banca). In tal caso infatti si aprirà una procedura concorsuale cui parteciperanno tutti i creditori del condomino moroso, ciascun soddisfacendosi sul ricavato dalla vendita forzata in base al grado della propria ipoteca.
In condominio, insomma, non esistono nullatenenti visto che ciascun condomino è quantomeno proprietario dell’unità abitativa (diversamente non rivestirebbe neanche la qualifica di condomino).
Cosa rischia chi non riesce a pagare il condominio nei confronti dei terzi?
Un secondo grosso rischio di chi non paga il condominio è di subire il pignoramento anche da parte dei creditori del condominio stesso. Ci spieghiamo meglio.
Tutte le volte in cui il condominio non dispone delle risorse necessarie per pagare le fatture (ad esempio per le utenze della luce e del gas, per la manutenzione dell’ascensore, per la ditta di pulizie, per la manutenzione delle parti comuni, ecc.), subisce l’azione giudiziaria da parte del creditore (anche in questo caso con la notifica di un decreto ingiuntivo). A questo punto l’amministratore è tenuto a fornire al creditore stesso la lista dei condomini morosi, di coloro cioè che, non avendo versato le quote (ordinarie o straordinarie) hanno determinato l’ammanco di cassa che ha reso impossibile ottemperare ai propri doveri di pagamento.
Il creditore del condominio, a questo punto, potrà optare per:
- il pignoramento del conto corrente condominiale (ove presumibilmente troverà una disponibilità inferiore rispetto al proprio credito: diversamente non ci sarebbe stata ragione di non onorare le fatture);
- e/o il pignoramento dei beni dei singoli condomini, partendo proprio da quelli dei condomini morosi, il cui elenco – come detto sopra – è stato precedentemente fornito dall’amministratore. A norma infatti dell’articolo 63 delle Disposizioni di attuazione del Codice civile, comma 1, l’amministratore «è tenuto a comunicare ai creditori non ancora soddisfatti che lo interpellino i dati dei condòmini morosi».
Se l’amministratore non fornisce tale elenco, il creditore può agire in tribunale per ottenere un ordine del giudice. Il Condominio che continui a restare inadempiente verso l’obbligo di consegna della lista dei condòmini morosi può essere altresì condannato al pagamento di una penale per ogni giorno di ritardo.
Entro quanto tempo l’amministratore deve agire contro i condomini morosi?
L’amministratore ha l’obbligo di avviare le azioni di recupero crediti contro i condomini debitori entro massimo 6 mesi dalla chiusura del bilancio a cui la morosità si riferisce.
Egli non può limitarsi a inviare una lettera di sollecito o una diffida con raccomandata a.r.: deve anche nominare un avvocato di propria fiducia (senza dover prima ottenere il nullaosta dall’assemblea) affinché agisca in via giudiziaria contro il condomino debitore.
Inoltre la legge attribuisce al capo condomino il potere, se la morosità persiste per sei mesi, di sospendere il debitore dall’uso dei beni condominiali suscettibili di godimento separato (come il cortile condominiale, il riscaldamento, l’acqua, ecc.).
Cosa fare se non si riesce a pagare le spese condominiali?
Veniamo alle soluzioni per chi non può pagare le spese condominiali.
Spesso si ritiene che la soluzione possa essere fare opposizione contro il decreto ingiuntivo e lì sollevare contestazioni sul merito della spesa o della delibera che l’ha approvata. In realtà è troppo tardi. Il condomino che intenda impugnare le decisioni del condominio non può farlo quando riceve il decreto ingiuntivo ma entro 30 giorni dalla delibera stessa (che decorrono dalla sua approvazione per gli astenuti e i dissenzienti ed entro invece la comunicazione del verbale per gli assenti). Diversamente, la contestazione è da considerarsi fuori termine e verrà rigettata.
È bene peraltro muoversi prima dell’avvio delle azioni giudiziarie che implicano sempre un aumento di spese che ricadono inevitabilmente sul debitore.
L’unico modo per cercare una via d’uscita è la «transazione» ossia l’accordo: accordo tuttavia che non compete all’amministratore firmare. Ci vuole sempre il previo consenso dell’assemblea, unica titolare dei bilanci condominiali e delle relative entrate. E, a tal fine, è necessaria una apposita delibera. Quanto alla maggioranza per approvare la transazione con i condomini morosi questa è costituita dalla maggioranza dei presenti in assemblea che rappresentino almeno la metà dei millesimi.
L’amministratore che firmasse una transazione senza il consenso dell’assemblea ovvero senza una sua ratifica si esporrebbe ad un’azione di responsabilità civile, poiché avrebbe travalicato i propri poteri.
L’accordo che può essere stretto con il condominio può essere di vario tipo. Il più delle volte si tratta di una moratoria, ossia della concessione di un termine più ampio per pagare. Ma ciò, spesso, finisce per aggravare la condizione del debitore, su cui si accumulano nel frattempo anche i debiti per le successive scadenze.
Meglio sarebbe invece una rateazione del debito spalmato in più mensilità. Sul numero delle mensilità e sui tempi di pagamento decidono le parti: la legge non entra nel merito e lascia libero il condominio e il condomino di trovare l’intesa che più li soddisfa.
Più complicato sarebbe approvare un saldo e stralcio anche se vale sempre la pena tentare. Il saldo e stralcio infatti finisce per creare un buco di bilancio, determinando a carico degli altri condomini la necessità di coprirlo. Il che richiede l’unanimità: difatti, imporre a chi ha già pagato di pagare una seconda volta implica una revisione dei criteri di ripartizione delle spese che si basano invece sui millesimi di proprietà. Dover versare un extra per sopperire alle quote dei morosi sfasa la regola dei millesimi e, appunto, secondo la Cassazione, ciò è possibile solo se c’è il consenso di tutti i condomini.
Un’ultima soluzione per risolvere i problemi dei debiti con il condominio, quanto questi sono affiancati da ulteriori debiti, è ricorrere alla procedura di sovraindebitamento. Si tratta di una richiesta, presentata al giudice attraverso un avvocato e un “Organismo di composizione della crisi” con cui si fa presente – e si dimostra – la propria incapacità a uscire fuori da una grave situazione debitoria e gli si chiede una decurtazione dei debiti stessi. Se non si tratta di debiti collegati al lavoro non è neanche richiesto il consenso dei creditori.
Il giudice accorda il piano di uscita dai debiti tenendo conto delle possibilità economiche del richiedente ed eventualmente chiedendo un rientro in percentuale (ad esempio anche il 20%) tramite ad esempio la cessione di un bene o di una quota dello stipendio o della pensione. In presenza di un nullatenente il giudice può disporre la decurtazione del debito anche senza contropartita.
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