Cosa fare in caso di violenza verbale?
Tutti gli illeciti, civili e penali, che possono essere commessi insultando e denigrando una persona.
La violenza non presuppone necessariamente l’uso della forza fisica. Lo sa bene la legge che non si limita a punire solamente le percosse e le lesioni ma anche le condotte aggressive che si manifestano sotto forma di minacce, denigrazioni, insulti e calunnie. Cosa fare in caso di violenza verbale?
In effetti, sporgere denuncia per violenza verbale non è semplicissimo, visto che una cosa è provare di aver subito una lesione personale (una ferita, una frattura, ecc.) altro è dimostrare di essere stati vittime di insulti. Le cose si sono complicate ancor più a seguito dell’abrogazione dell’ingiuria che, oggi, non può essere più oggetto di denuncia penale. Ciò non significa però che non si possa fare nulla in caso di violenza verbale.
Cos’è la violenza verbale?
La violenza verbale è un’aggressione che si manifesta con le parole anziché con la forza bruta.
La violenza verbale si caratterizza in genere per l’utilizzo di espressioni offensive, diffamatorie o calunniose, che spesso si accompagnano alla volontà di prevaricare sulla vittima al fine di soggiogarla e gettarla in uno stato di prostrazione morale.
In questo senso, la violenza verbale è una forma di violenza morale, cioè di abuso psicologico che, come vedremo, è perseguibile penalmente.
La violenza verbale è reato?
La violenza verbale è reato quando integra gli estremi della minaccia, della diffamazione, dei maltrattamenti o dello stalking.
Anche quando non costituisce reato, la violenza verbale è comunque un illecito, in quanto costituisce ingiuria. Analizziamo ciascuna ipotesi.
Violenza verbale: quando c’è minaccia?
La violenza verbale integra il reato di minaccia quando le espressioni utilizzate sono intimidatorie e prospettano un male ingiusto [1].
“Ti ammazzo”, “Te la faccio pagare”, “Dopo facciamo i conti”, “Ci vediamo dopo”: sono tutte tipiche aggressioni verbali che possono essere denunciate a titolo di minaccia.
Violenza verbale: quando scatta la diffamazione?
La violenza verbale diventa diffamazione se i commenti ingiuriosi sono rivolti alla vittima in sua assenza ma in presenza di almeno altre due persone che possano udire le offese [2].
In questa ipotesi la legge punisce l’autore della violenza verbale a titolo di diffamazione in quanto c’è un’offesa alla reputazione della vittima.
È diffamazione anche pubblicare sul proprio profilo social commenti denigratori o foto che mettono in ridicolo la persona offesa.
Maltrattamenti tramite violenza verbale
La violenza verbale può far scattare il grave reato di maltrattamenti, se le offese sono ripetute nel tempo e dirette nei confronti di una persona convivente [3].
In ipotesi del genere l’autore delle ingiurie pone in essere una vera e propria serie di abusi psicologici che, secondo la giurisprudenza oramai pacifica, sono idonei a integrare i maltrattamenti.
È il caso, ad esempio, dell’uomo che non perde occasione di umiliare pubblicamente la propria compagna, al fine di gettarla in uno stato di prostrazione psicologica.
Si badi bene: perché scatti questo reato occorre che gli episodi di violenza verbale siano molteplici, abituali, e che il risultato sia quello di annichilire la vittima convivente.
Violenza verbale: quando c’è stalking?
La violenza verbale diventa stalking quando si tramuta in una vera e propria persecuzione ai danni della vittima, la quale non riesce a liberarsi della condotta molesta dell’autore [4].
A differenza dei maltrattamenti, lo stalking non presuppone la convivenza tra vittima e carnefice; c’è invece sempre bisogno dell’abitualità delle offese.
Inoltre, per aversi questo tipo di reato occorre che la vittima subisca una delle seguenti conseguenze:
- viva in un costante stato d’ansia;
- abbia timore per la propria o per l’altrui incolumità fisica;
- sia costretta a cambiare stile di vita per sfuggire alle molestie.
Cosa fare se c’è violenza verbale?
Se la violenza verbale integra uno dei reati appena elencati, allora la vittima potrà sporgere denuncia presso il più vicino presidio di polizia giudiziaria.
La querela dovrà essere presentata nel termine di tre mesi nel caso di minaccia o di diffamazione, entro sei mesi nell’ipotesi di stalking. Se, invece, si tratta di maltrattamenti, la vittima non dovrà rispettare un termine preciso, visto che trattasi di reato procedibile d’ufficio.
Se la violenza verbale si inserisce nell’ambito di un contesto di violenza familiare o di genere, allora la polizia dovrà dare priorità alla segnalazione: si applica in altre parole il cosiddetto codice rosso, una sorta di corsia privilegiata per delitti ritenuti particolarmente gravi.
Nello specifico, la polizia deve avvisare immediatamente il pm il quale deve sentire la persona offesa entro il termine di tre giorni al fine di decidere se adottare un’eventuale misura cautelare nei confronti del soggetto denunciato, come ad esempio l’allontanamento dalla casa familiare oppure il divieto di avvicinamento alla vittima.
Al termine della conclusione delle indagini, se il magistrato disporrà il rinvio a giudizio, la vittima delle violenze verbali potrà costituirsi parte civile per chiedere il risarcimento dei danni.
Cosa fare nel caso di ingiuria?
Se la violenza verbale non integra alcuno dei reati sopra elencati, allora non resta che agire in sede civile al fine di chiedere il risarcimento dei danni per ingiuria.
Al termine del procedimento, il giudice potrà riconoscere:
- un risarcimento in favore della vittima, stando a quanto il magistrato avrà modo di accertare sulla base del danno che è stato effettivamente procurato. In mancanza di elementi certi, si procederà a una liquidazione del danno in via equitativa, ovvero sulla base della prudente valutazione del magistrato;
- una sanzione da 100 euro a 8.000 euro, da pagare in favore dello Stato all’esito della sentenza civile di condanna.
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