Consumazione non pagata: quando è reato?
Si può essere denunciati per essere andati via da un bar o da un ristorante senza aver pagato? Quando scatta il reato di estorsione?
Salvo ipotesi davvero eccezionali (a tal proposito, si legga l’articolo dal titolo Chi non paga i debiti va in galera?), chi fa debiti non commette reato: ciò che può accadergli nella peggiore delle ipotesi è di finire sul lastrico a causa del pignoramento di casa e stipendio. Ecco perché il quesito posto nel titolo del presente articolo (“Consumazione non pagata: quando è reato?”) può sembrare provocatorio o perfino un tentativo di fare visualizzazioni facili.
In realtà la Corte di Cassazione, in una sentenza piuttosto recente [1], ha chiarito che anche rifiutarsi di pagare la consumazione al bar oppure pretendere di avere uno sconto può costituire un grave reato: il rischio è di finire imputati addirittura per estorsione. Vediamo perché.
Cosa si rischia a non pagare la consumazione?
Come spiegato nell’articolo dal titolo Cosa rischia chi scappa senza pagare il conto, andare via dal locale (ristorante, pub, ecc.) senza pagare quanto dovuto non costituisce un reato ma solo un illecito civile.
In pratica, le conseguenze di questa condotta illegale si ripercuotono solo sul piano civilistico, col rischio quindi che il creditore chieda al giudice l’emissione di un provvedimento (il decreto ingiuntivo, ad esempio) con cui il debitore sarà prima o poi costretto a pagare.
Quando c’è insolvenza fraudolenta?
Eccezionalmente, consumare e non pagare può integrare il delitto di insolvenza fraudolenta, che scatta quando, pur sapendo perfettamente di non avere i soldi per pagare, un soggetto contrae comunque un’obbligazione fingendo di essere in grado di potervi far fronte. La pena è la reclusione fino a due anni o la multa fino a 516 euro [2].
È proprio il caso di chi, sapendo di non avere un soldo bucato, si siede al tavolo di un ristorante e, all’arrivo del conto, vada tranquillamente via, gabbando così il proprietario del locale.
In un’ipotesi del genere è possibile querelare chi, pur sapendo di non poter pagare, ha consumato senza farsi alcuno scrupolo.
Per la precisione, la Corte di Cassazione ha stabilito che, ai fini della sussistenza del reato di insolvenza fraudolenta, la condotta di chi tiene il creditore all’oscuro del proprio stato di insolvenza al momento di contrarre l’obbligazione assume rilievo quando sia legata al preordinato proposito di non adempiere la dovuta prestazione, mentre non si configura alcuna ipotesi criminosa, ma solo illecito civile, nel mero inadempimento non preceduto da alcuna intenzionale preordinazione [3].
Insomma: affinché ci sia insolvenza fraudolenta occorre la “premeditazione”, cioè la precisa intenzione di approfittare del fatto di non poter pagare.
Consumare e non pagare: quando c’è truffa?
Sussiste invece il reato di truffa quando l’avventore pone in essere una vera e propria “messa in scena” per evitare di pagare [4].
Si pensi, ad esempio, al “trucco” di mettere alcuni corpi estranei nelle pietanze (insetti morti, cocci, ecc.) con lo scopo di ingannare il gestore e ottenere, così, di mangiare gratuitamente.
Pertanto, mentre per aversi insolvenza fraudolenta occorre solo maliziosamente tacere circa la propria condizione economica, la truffa richiede qualcosa in più, cioè un vero e proprio raggiro ben studiato.
Consumazione non pagata: quando c’è estorsione?
Secondo la sentenza della Corte di Cassazione citata in apertura, costringere il gestore del bar a concedere uno sconto non dovuto costituisce il reato di estorsione, in quanto il mancato pagamento rappresenta fonte di un ingiusto profitto (pur se di modestissimo importo) con correlativo danno per la persona offesa.
Nel caso di specie, gli imputati avevano preteso di consumare bevande corrispondendo somme arbitrariamente determinate, avvalendosi di reiterate minacce e finendo poi per aggredire il gestore del locale.
Ebbene, il barista che applica uno “sconto forzato” subisce un’estorsione in piena regola, in quanto il reato scatta ogni volta che la vittima, destinataria di minacce o violenze, è di fatto costretta a subire un danno a vantaggio di qualcun altro [5].
La Cassazione precisa peraltro come il reato scatti anche nell’ipotesi in cui il barista applichi lo sconto oppure rinunci del tutto a essere pagato pur in assenza di un’espressa richiesta degli avventori minacciosi o violenti, se tale condotta è posta in essere per scongiurare ripercussioni ancora più gravi.
Si pensi al gestore del bar che, per evitare che la situazione degeneri, decida di “calmare” gli avventori applicando loro uno sconto sulle bevande consumate.
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