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Concessione demaniale senza gara: quando è illegittima?

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(@salvatore-cirilla)
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Ho fatto richiesta di concessione demaniale marittima ma il comune ha provveduto ad affidare in house la gestione. Si chiede se vi sia una violazione del diritto comunitario.

Con specifico riguardo alle concessioni demaniali, occorre fare riferimento all’art. 36 del codice della navigazione, secondo cui la legge sottopone a concessione l’occupazione e l’uso, anche esclusivo, di beni demaniali e di zone di mare territoriale per un determinato periodo di tempo.

L’art. 42 del d. lgs. n. 96/1999 stabilisce, poi, che il rilascio di concessioni di beni del demanio della navigazione interna, del demanio marittimo e di zone del mare territoriale per finalità diverse da quelle di approvvigionamento di fonti di energia sono trasferite ai Comuni.

Come Lei saprà, l’art.192 del D.Lgs. 50/2016 ha dettato i requisiti che la P.A. deve individuare per valutare la congruità della scelta dell’affidamento in house, piuttosto che del ricorso al mercato.

Tale scelta passa da alcune necessarie e preventiva valutazioni:

  • benefici per la collettività;
  • obiettivi di universalità;
  • obiettivi di economicità;
  • obiettivi di efficienza e qualità del servizio;
  • ottimale utilizzo delle risorse pubbliche.

Detto ciò, per il caso di specie, può richiamarsi la consolidata giurisprudenza, secondo cui, in base al principio comunitario di concorrenzialità, le concessioni demaniali, in quanto concernenti beni economicamente contendibili, devono essere affidate mediante procedura di gara (C.d.S. V, 11 giugno 2018).

Pertanto, per l’affidamento del relativo contratto (attivo e non passivo) è necessario, in assenza di specifici autovincoli posti dalla P.A, il “rispetto dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità, pubblicità, tutela dell’ambiente ed efficienza energetica”.

Infatti, l’art.12 della direttiva 2006/123/CE richiede che l’affidamento avvenga sulla base di “una procedura di selezione tra i candidati potenziali, che presenti garanzie di imparzialità e di trasparenza e preveda, in particolare, un’adeguata pubblicità dell’avvio della procedura” (Consiglio di Stato sez. VII, 04/12/2023, (ud. 07/11/2023, dep. 04/12/2023), n.10455).

Giova rammentare, invero, che, conformemente ai principi del diritto unionale, come desumibili anche dalla giurisprudenza della CGUE, la concessione della gestione di arenili per finalità turistico-ricreative deve rispondere a criteri di imparzialità, trasparenza e par condicio : in particolare, l’art. 12 della direttiva 2006/123/CE e il novellato art. 37 del cod. nav. subordinano il rilascio di concessioni demaniali marittime all’espletamento di procedure selettive ad evidenza pubblica (Cassazione civile, sez. II, 25/01/2021, n. 1435; si veda anche la sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato del 9 novembre 2021, nr. 18, in particolare al punto 17 secondo cui “l’obbligo di evidenza pubblica discende, comunque, dall’applicazione dell’art. 12 della c.d. direttiva 2006/123, che prescinde dal requisito dell’interesse transfrontaliero certo, atteso che la Corte di giustizia si è espressamente pronunciata sul punto ritenendo che “l’interpretazione in base alla quale le disposizioni del capo III della direttiva 2006/123 si applicano non solo al prestatore che intende stabilirsi in un altro Stato membro, ma anche a quello che intende stabilirsi nel proprio Stato membro è conforme agli scopi perseguiti dalla suddetta direttiva” (Corte di giustizia, Grande Sezione, 30 gennaio 2018, C360/15 e C31/16, punto 103)”).

Il Giudice unionale ha rilevato che l’art. 12 dir. Bolkestein si applica anche a tutte le concessioni demaniali, anche a quelle prive di interesse transfrontaliero certo.

Tale norma consente una valutazione della scarsità delle risorse anche in base a un mero approccio generale e astratto eseguito su ambito nazionale, dando però chiara manifestazione di preferire un approccio “combinato” che tenga conto, oltre che del suddetto approccio generale e astratto, anche di un approccio caso per caso garantito dalle singole Amministrazioni comunali; ha l’effetto diretto di obbligare gli Stati a svolgere una procedura di selezione per affidare le nuove concessioni.

D’altronde, il mancato ricorso a procedure di selezione aperta, pubblica e trasparente tra gli operatori economici interessati determina, infatti, un ostacolo all’ingresso di nuovi soggetti nel mercato, non solo risultando invasa la competenza esclusiva statale in materia di tutela della concorrenza, in violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., ma conseguendone altresì il contrasto con l’art. 117, primo comma, Cost., per lesione dei principi di derivazione europea nella medesima materia (sentenze n. 171 del 2013, n. 213 del 2011, n. 340, n. 233 e n. 180 del 2010)” (Corte Cost. sent. n. 40/2017 cit.).

A questa lettura, per dovere di cronaca, se ne frappone un’altra, capitanata dal T.A.R. Genova, secondo la quale “la gestione di un porto turistico è qualificabile come servizio pubblico locale di rilevanza economica e a domanda individuale, giacché, nonostante la finalità turistico-ricreativa soddisfi interessi privati di una fascia ristretta di utenti, sussistono nondimeno rilevanti interessi pubblici quali la valorizzazione turistica ed economica del territorio, l’accesso alla via di comunicazione marina e la potenziale fruizione da parte dell’intera collettività laddove ricorrano eccezionali esigenze di trasporto pubblico; in virtù del principio di auto-organizzazione e in base al diritto euro-unitario, il Comune può esercitare anche i servizi pubblici di interesse economico (oltre a quelli privi di tale rilievo) nelle forme dell’amministrazione diretta, ossia internalizzandoli e gestendoli con la propria organizzazione” (T.A.R. Genova, (Liguria) sez. I, 09/11/2021, n.946).

Secondo questa lettura,  si tratta, quindi, di una figura complessa e peculiare, nella quale profili in tema di concessione di beni pubblici coesistono con aspetti attinenti all’affidamento di servizi pubblici.

Non è, infatti, il primo caso in cui i Comuni si autoaffidino in concessione il compendio portuale; secondo la lettura orientata del quadro normativo nazionale (artt. 112 e 113 del d. lgs. n. 267/2000), non ci sarebbe la sussistenza di obbligo da parte degli enti locali di affidare a terzi sul mercato i servizi pubblici di rilevanza economica, potendo optare per la gestione in via diretta.

Dette autorità potrebbero, quindi, decidere di espletare i loro compiti d’interesse pubblico avvalendosi delle proprie risorse o in cooperazione con altre amministrazioni aggiudicatrici o di conferirli a operatori economici esterni.

Questa sentenza del T.A.R. ricorda, tuttavia, che, “ai sensi dell’art. 192, comma 2, del d. lgs. n. 50/2016, per affidare ad una società in house un contratto avente ad oggetto un servizio remunerativo, l’Amministrazione deve dare conto delle ragioni del mancato ricorso al mercato e dei benefici per la collettività.

Pertanto, secondo il Collegio, davanti ad una congrua motivazione da parte dell’Ente sull’affidamento in house, ci sarebbe l’inapplicabilità dell’art. 37 cod. nav., in quanto la tradizionale incompatibilità tra demanialità e servizio pubblico — perché la sua erogazione sottrarrebbe il bene alla collettività — sarebbe superata dalla più recente elaborazione della nozione unitaria di “bene pubblico”, comprensiva della categoria dei beni demaniali e di quelli patrimoniali indisponibili, che si caratterizzerebbe per la “vocazione” a soddisfare interessi generali (c.d. proprietà-funzione); ed è proprio in tale prospettiva che “il bene demaniale marittimo costituito dal porto turistico, non diversamente da un bene del patrimonio indisponibile quale uno stadio, rappresenta uno strumento per realizzare fini pubblici, sì che la prospettata differenziazione fra le due tipologie di beni, ai fini della scelta delle modalità di gestione, si appalesa, a ben vedere, ingiustificata ed irragionevole.

Fatto questo approfondimento, e messe sul piatto le due letture giurisprudenziali, Le dico che ci potrebbero essere gli estremi per l’impugnazione della delibera consiliare.

Tale impugnazione passerebbe per l’eccezione di violazione di legge comunitaria e intracomunitaria, per eccesso di potere, oltre che – in subordine – per difetto di motivazione sulla scelta operata dal Consiglio Comunale.

Tuttavia, come prospettato, esiste un orientamento difforme, che potrebbe rendere tale impugnazione non accoglibile.

Come immagino saprà, tutto dipende dalle tendenze del singolo Collegio.

Specie in ambito amministrativo, ogni Collegio ha le proprie convinzioni e si potrebbe incorrere in un orientamento favorevole o, viceversa, in uno contrario alla propria tesi.

In questo senso, la delibera del consiglio comunale potrebbe essere impugnata davanti al TAR competente entro sessanta giorni dalla sua pubblicazione.

Articolo tratto dalla consulenza resa dall’avv. Salvatore Cirilla

 
Pubblicato : 10 Febbraio 2024 15:15