forum

Come sta cambiando ...
 
Notifiche
Cancella tutti

Come sta cambiando la giustizia italiana

1 Post
1 Utenti
0 Reactions
42 Visualizzazioni
(@paolo-remer)
Post: 1000
Famed Member Registered
Topic starter
 

Appiattimento sui precedenti, più velocità, meno discussioni: il nuovo modo di pensare e di scrivere riguarda magistrati e avvocati. Cosa sta succedendo e chi ci rimette.

La giustizia italiana è malata da decenni; c’è chi è arrivato a dire che l’Italia è stata la culla del diritto, nei bei tempi andati del diritto romano, ma poi il bambino è stato cullato così bene che è rimasto addormentato e non è cresciuto più. Ma, al di là delle battute, bisogna seriamente chiedersi: come sta cambiando la giustizia italiana? Molte trasformazioni sono in atto: alcune sono evidenti, come la recente riforma del processo civile e penale elaborata dal ministro Marta Cartabia e varata dal governo Draghi, che entrerà presto in vigore; altre sono più latenti, nascoste e meno percepibili se non si hanno occhi attenti: corrono sottotraccia, come i fiumi carsici, e sono dovute a fenomeni di adeguamento spontaneo e naturale del mondo giudiziario alle moderne tendenze della società civile ed alle innovazioni tecnologiche.

Come cambia l’interpretazione delle norme

Le norme giuridiche sono «elastiche» e la loro interpretazione «evolutiva» consente di farvi rientrare casi non previsti all’epoca della loro emanazione, perché ancora non esistevano: basti pensare a Facebook, Instagram e gli altri social network, che vengono equiparati ai mezzi di stampa ai fini della diffamazione aggravata, sicché chi pubblica un post offensivo rischia di essere condannato come in passato poteva avvenire solo per i giornalisti, o ai messaggi su WhatsApp, con le relative chat e immagini, che fanno valida prova nei processi.

Insomma, oggi con uno screenshot o una clip video è possibile decidere rapidamente e in modo sicuro una vicenda giudiziaria (ad esempio, un’infedeltà coniugale valevole ai fini dell’addebito della separazione, un incidente stradale, una rapina a mano armata) che in passato richiedeva altri approfondimenti, con testimoni, indagini e perizie.

Perché i processi sono più veloci?

Ma non è soltanto l’evoluzione tecnica che sta cambiando la giustizia italiana: a un livello più profondo c’è un mutamento di mentalità degli operatori del diritto, coloro che con il loro lavoro quotidiano “producono giustizia” tutti i giorni: i magistrati che decidono e gli avvocati che patrocinano le cause civili o difendono gli imputati nei processi penali. Ed è proprio qui che si notano le variazioni più profonde rispetto al passato, anche recente, quello di un paio di decenni fa.

I tempi di durata dei processi si stanno progressivamente riducendo, e questo ha una spiegazione che va al di là degli intenti del legislatore e degli obiettivi dichiarati dalle forze politiche. Oggi le decisioni giudiziarie sono più agili perché vengono motivate in modo più succinto, sintetico, potremmo dire “svelto”. I continui incitamenti alla produttività e alla rapidità hanno prodotto questo effetto, che si nota semplicemente leggendo una qualsiasi sentenza recente: i testi sono molto più brevi e si basano quasi sempre su una «concisa esposizione» della vicenda, mentre nella parte decisoria – quella in cui il giudice deve spiegare perché ha raggiunto una determinata conclusione – la motivazione si appoggia ai precedenti analoghi, con un rimando alle vicende analoghe già decise da altri giudici, e specialmente dalla Corte di Cassazione, che ha una funzione di «nomofilachia», cioè di uniforme interpretazione del diritto.

Come cambiano i metodi degli avvocati

Anche nella produzione degli avvocati si nota un fenomeno di concisione simile a quello praticato dai giudici: atti di citazione e di costituzione, comparse, memorie e repliche sono, di solito, molto più corte rispetto al passato e tendono ad andare subito al sodo, evitando giri di parole, dotti virtuosismi e arricchimenti stilistici che nulla aggiungono al reale contenuto.

Certo, a volte scrivere meno può significare scrivere meglio, ed è sicuramente un bene che siano state abbandonate le ridondanze barocche che in passato infarcivano i provvedimenti giudiziari e le arringhe degli avvocati in udienza, e che oggi suonano quasi comiche. Tuttavia c’è il serio rischio che ciò vada a scapito del ragionamento giuridico e della stessa qualità delle decisioni giudiziarie.

Quando il ruolo degli avvocati si riduce

Nelle udienze penali, dove l’esposizione è prevalentemente verbale anziché scritta, talvolta il ruolo del difensore è svilito dalle Corti, che invitano continuamente gli avvocati ad essere brevi e quasi li costringono a condensare la loro discussione – che in alcuni casi è davvero complessa e meriterebbe un’esposizione articolata – in pochissimi minuti. Il processo penale, al pari di quello civile, rischia di ridursi ad un vuoto rituale, dove gli interventi dell’avvocato vengono percepiti come una formalità, o addirittura quasi come un fastidio, da alcuni giudici. E i margini di protesta dei legali si stanno progressivamente riducendo.

La riforma della giustizia

La riforma del processo civile, di prossima introduzione, accentua queste tendenze che abbiamo indicato, introducendo alcuni meccanismi acceleratori nell’istruttoria – come quello in base al quale le parti dovranno esporre tutto e subito, senza nascondere assi nella manica da produrre in momenti successivi – ma soprattutto disponendo [1] che: «La sentenza è motivata in forma sintetica, anche mediante esclusivo riferimento al punto di fatto o alla questione di diritto ritenuti risolutivi o mediante rinvio a precedenti conformi». Bando, quindi, alle lungaggini, che però non erano sempre inutili, ma anzi rappresentavano la necessaria e ponderata analisi delle vicende da decidere.

Chi ha studiato giurisprudenza sa bene che lo snodo fondamentale del ragionamento giuridico è tra il fatto e il diritto: da un lato la situazione controversa, e dall’altro lato le norme applicabili a quel caso. Dal raffronto tra i due elementi scaturisce la decisione. Perciò in passato le sentenze distinguevano nettamente la parte in fatto da quella in diritto; oggi invece, il più delle volte, le riuniscono (e mescolano) entrambe in un unico paragrafo espositivo, intitolato «fatto e diritto». Nel prossimo futuro, con l’entrata in vigore della riforma, questa tendenza sarà ancor più accentuata.

L’appiattimento sui precedenti

Si nota già adesso, da qualche anno, un pericoloso appiattimento dei giudici sui precedenti, che risulta molto comodo per decidere rapidamente una determinata vicenda senza dover compiere gli opportuni approfondimenti. «Sul punto c’è un precedente conforme della Cassazione, l’orientamento consolidato è questo», sembrano dire molte sentenze, esprimendo il ragionamento dei giudici, e così la vicenda è chiusa. Del resto dal 2009 una riforma del Codice di procedura civile ha consentito che le ragioni della decisione, possano essere fornite non con una disamina analitica, ma anche, e più semplicemente «con riferimento a precedenti conformi», cioè con il mero richiamo di altre decisioni alle quali si rinvia, punto.

La violazione delle regole processuali

In giurisprudenza da qualche anno si sta affermando il «principio della ragione più liquida» [2], in base al quale, se nei giudizi di secondo o di ultimo grado si lamentano violazioni processuali – ad esempio, del diritto al contraddittorio fra le parti o dell’esercizio del diritto di intervento e di difesa – ma il giudice ravvisa altri motivi, più assorbenti e sostanziali, che gli consentono di arrivare a una decisione nel merito, può sorvolare e scavalcare le questioni dedotte dal ricorrente sotto il profilo della violazione delle regole del rito.

Così – diciamolo brutalmente – si arriva a sanare le varie irregolarità, anche gravi, che possono essersi verificate durante il processo, chiudendo entrambi gli occhi e passandoci sopra, pur di ottenere il risultato di respingere il ricorso. E questo avviene anche in Cassazione, che dovrebbe essere il giudice di legittimità anche per le norme processuali.

Il ruolo degli avvocati

Purtroppo questa prassi semplificatoria dei magistrati ha contagiato anche gli avvocati, che tendono anch’essi a ragionare «per precedenti», contandone il numero, la fonte e la data: si dà prevalenza alle pronunce della Corte di Cassazione, specialmente a quelle più recenti. D’altronde i legali ben sanno che gli appelli e i ricorsi per cassazione rischiano una declaratoria di inammissibilità – cioè vengono scartati subito, senza essere decisi nel merito – se si discostano dai precedenti consolidati, e dunque il giudice ritiene che le tesi esposte dal ricorrente non abbiano alcuna probabilità di accoglimento.

Inoltre, già oggi se il legale suggerisce di intraprendere comunque una causa, nonostante i precedenti contrari e difformi, rischia di dover risarcire i danni al cliente e di subire un procedimento disciplinare dal proprio ordine forense. Insomma, l’avvocato – che, come il giudice, dovrebbe essere soggetto solo alla legge [3] – in realtà sta diventando sempre più dipendente dagli orientamenti della giurisprudenza, e sono guai per lui se non li considera e non vi si attiene.

Cosa rischiano i cittadini

Anche i cittadini subiscono gli effetti di questa impostazione, perché rischiano una condanna per “lite temeraria” se intraprendono un’azione giudiziaria infondata, pretestuosa o dilatoria: e questi parametri vengono valutati alla luce della giurisprudenza vivente e dominante.

Così la giustizia tende sempre più a funzionare in adeguamento alla mainstream, l’opinione prevalente nella maggioranza, la tendenza “di moda”. C’è, e ci sarà, sempre meno spazio per tesi ed argomentazioni innovative, evolutive o fantasiose che dir si voglia; ma perseguendo a tutti i costi l’obiettivo della rapidità dei processi, il rischio è quello di buttare via il bambino con l’acqua sporca, e di tagliare fuori vicende particolari che invece richiederebbero tutela giuridica, pur non rientrando nei precedenti già decisi, ma anzi proprio per il fatto che si discostano da quegli schemi consolidati.

Banche dati e giustizia predittiva: cosa succederà?

Nell’epoca attuale la ricerca dei precedenti è enormemente facilitata dalla disponibilità di banche dati – molte anche gratuite – in cui basta inserire determinati parametri di ricerca (nomi degli istituti giuridici e/o norme) per ottenere subito, in risposta, la lista dei provvedimenti giudiziari di interesse; in passato per reperire i precedenti bisognava andare in una biblioteca specializzata o acquistare quei volumoni di raccolte, commentari e riviste giuridiche che ancora adesso fanno sfoggio nelle librerie degli studi legali più prestigiosi.

Ma il cliente, quando va dall’avvocato per chiedergli un qualificato parere e valutare se impostare una causa, vuole sapere come la pensano i giudici e cerca di capire quali sono le probabilità di accoglimento della sua domanda o tesi: quindi punta subito a conoscere, prima di tutto, quali sono i precedenti, anziché sentire l’opinione in materia, per quanto autorevole e saggia, del suo avvocato. Questo apre ampi margini a quella che viene chiamata «giustizia predittiva»: se la decisione giudiziaria si fonda, essenzialmente, sui precedenti, basta conoscere quelli e adeguarsi. Ma questo lavoro non richiede una grossa preparazione giuridica o una buona capacità di ragionamento, tant’è che alcuni prefigurano che in futuro potrebbe essere svolto tranquillamente da un algoritmo: si arriverà così al giudice robotizzato? E quali spazi avranno gli avvocati, se non quello di raccontare, in un buon linguaggio, i fatti di causa al giudice, ma senza più arrivare a proporre e suggerire interpretazioni delle norme? Per fare questo non ci sarebbe bisogno di un esperto di diritto, basterebbe un valido narratore. Sono questioni aperte, che meritano un’adeguata riflessione.

The post Come sta cambiando la giustizia italiana first appeared on La Legge per tutti.

 
Pubblicato : 28 Dicembre 2022 12:15