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Come denunciare lavoro in nero

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(@angelo-greco)
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Lavoro nero: consigli per denunciare senza correre rischi: ecco come far valere i propri diritti.

Si definisce lavoro in nero quello privo di una regolare assunzione. Quest’ultima richiede non solo un contratto scritto (o la lettera di assunzione) ma anche la comunicazione – cui deve provvedere il datore – ai Centri per l’impiego, all’Inps e all’Inail. Senza tali adempimenti, il rapporto si considera “irregolare”, anche detto “sommerso”.

Nonostante la violazione delle norme sulle assunzioni, il lavoro in nero genera comunque obbligazioni tra le parti. In particolare, il datore di lavoro è tenuto a corrispondere al dipendente la normale retribuzione per il lavoro svolto secondo i “minimi sindacali” stabiliti dai contratti collettivi nazionali di lavoro. Ma come denunciare il lavoro in nero? Come può difendersi il dipendente, far valere i propri diritti e, nello stesso tempo, non rischiare a sua volta un accertamento?

Cerchiamo di fare il punto della situazione.

Cosa rischia il dipendente che denuncia il lavoro in nero?

Il dipendente che denuncia il datore per lavoro in nero potrebbe essere licenziato come ripicca per aver fatto valere i propri diritti. Ma il licenziamento sarebbe nullo perché “ritorsivo”, sicché il lavoratore avrebbe diritto all’immediata reintegra.

Seri rischi per il lavoratore potrebbero derivare dall’aver percepito, durante il periodo di lavoro irregolare, sovvenzioni e contributi statali, come l’assegno di disoccupazione. In tal caso le autorità potrebbero contestargli due reati: il falso (per le dichiarazioni mendaci fornite alla Pubblica Amministrazione) e l’indebita percezione di contributi statali.

Il lavoratore che percepisce redditi e non li dichiara al fisco commette un’evasione punita con sanzioni di tipo amministrativo. Ma la comunicazione all’Agenzia delle Entrate non viene eseguita dalle autorità ispettive a cui si sia rivolto il dipendente. Sicché l’ufficio delle imposte dovrebbe avviare indagini in proprio, dimostrando la percezione di salari in nero.

Cosa rischia il datore di lavoro per una denuncia di lavoro in nero?

Maggiori sono i rischi per il datore di lavoro. In caso di lavoro irregolare, questi subisce innanzitutto una sanzione amministrativa pecuniaria, la cosiddetta “maxi-sanzione per lavoro in nero”, proporzionata al numero di giorno in cui si è svolta l’attività. In particolare la multa va da:

  • da 1.950 a 11.700 euro per ciascun lavoratore irregolare, se impiegato senza la preventiva comunicazione di assunzione sino a 30 giorni di effettivo lavoro;
  • da 3.900 a 23.400 euro, se il lavoratore è stato impiegato da 31 a 60 giorni;
  • da 7.800 a 46.800 euro, se il lavoratore risulta impiegato oltre i sessanta giorni.

Oltre a ciò, potrebbero scattare gli accertamenti fiscali se dal lavoro in nero sono derivati guadagni occultati al fisco.

Infine ci sarà la contestazione dell’omesso versamento delle ritenute previdenziali, la cui condotta integra un reato se l’importo supera 10mila euro annui.

Perché denunciare il lavoro in nero?

Denunciare il lavoro in nero implica una serie di vantaggi per il lavoratore quali:

  • il pagamento delle differenze retributive: il datore dovrà versare al lavoratore tutti gli stipendi di cui non riesca a dimostrare la percezione (cosa difficile visto che il pagamento avviene in contanti), secondo i parametri fissati dal contratto collettivo, compresi gli straordinari, le ferie e le tredicesime;
  • la ricostruzione della carriera ai fini previdenziali: il datore dovrà versare tutti i contributi maturati dal dipendente dal giorno dell’inizio dell’attività, contribuendo così al raggiungimento dei requisiti per la pensione;
  • la costituzione di un rapporto di lavoro regolare anche per il futuro, con impossibilità di licenziamento se non per fatti sopravvenuti.

Come denunciare il lavoro in nero?

Ci sono diversi modi per denunciare il lavoro in nero (anche se il termine “denuncia” non può essere considerato corretto, atteso che non si tratta di un procedimento di tipo penale):

  • con comunicazione all’Ispettorato Territoriale del Lavoro;
  • con segnalazione alla Guardia di Finanza;
  • con richiesta di intervento presso i sindacati;
  • con ricorso depositato presso il Tribunale civile.

Solo per il ricorso in Tribunale è necessario l’avvocato. Il ricorso può essere presentato entro 5 anni dalla cessazione del rapporto di lavoro. Bisognerà dimostrare ovviamente l’attività svolta, le mansioni, l’orario. Si potrà ricorrere a prove testimoniali, chat sul telefonino, videoregistrazioni sul luogo di lavoro.

Il giudice condannerà l’azienda a versare al lavoratore le differenze retributive e i contributi. Se il rapporto si è già interrotto, il dipendente potrà chiedere un risarcimento per l’illegittimo licenziamento.

La denuncia all’Ispettorato Territoriale del Lavoro andrà fatta in sede di “conciliazione monocratica”: l’ispettore convocherà le parti e, se queste non raggiungono un accordo, irrogherà le sanzioni all’azienda. È lo stesso dipendente a potersi recare presso l’Ispettorato, senza assistenza.

I sindacati invece possono richiedere il pagamento di una quota associativa in cambio di una intermediazione con il datore. Tuttavia, questa procedura non ha alcun valore legale e non può portare a una coercizione in assenza di accordo tra le parti.

Infine l’intervento della Guardia di Finanza potrà essere rivolto a rilevare ulteriori violazioni, specie di natura fiscale, da parte del datore. Non è ammessa la denuncia anonima.

 
Pubblicato : 26 Marzo 2024 19:00