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Come contestare un licenziamento economico

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(@angelo-greco)
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Cosa deve fare il datore di lavoro per licenziare un dipendente per giustificato motivo oggettivo: cos’è e come funziona il repêchage.

Per contestare un licenziamento disciplinare, è sufficiente dimostrare di non aver mai commesso il fatto (nel qual caso si ha diritto alla reintegra sul posto) o che la valutazione del datore di lavoro è troppo severa rispetto all’illecito (nel qual caso si può sperare solo nel risarcimento). Quando invece si ha a che fare con un licenziamento per motivi economici (ad esempio per cessazione della mansione, crisi o ristrutturazione aziendale) le cose si complicano. La legge infatti riconosce al datore ampi margini di discrezionalità nell’organizzare la propria azienda e nel decidere ciò che è più conveniente per essa.

Ciò nonostante la giurisprudenza ha fornito alcune indicazioni su come contestare un licenziamento economico. La sostanza è che, prima di risolvere il rapporto di lavoro, l’imprenditore deve valutare se vi sono altre posizioni lavorative, non occupate o che si potrebbero liberare a breve, in cui allocare il dipendente in questione. È il cosiddetto repêchage, ossia “ripescaggio”: un istituto che, sebbene non previsto da alcuna legge, è dai giudici ritenuto essenziale per poter ritenere valido il licenziamento. In altri termini, il datore – dinanzi alla contestazione del dipendente – deve poter fornire la prova di non averlo potuto riallocare in un’altra mansione compatibile con le sue capacità e formazione.

In questo breve articolo spiegheremo come funziona il repêchage, quali sono gli obblighi del datore di lavoro prima di inviare la lettera di licenziamento e come questi può difendersi in un’eventuale causa. Ma procediamo con ordine.

Cos’è il licenziamento economico

Il licenziamento economico è anche chiamato, in termini più tecnici, licenziamento per giustificato motivo oggettivo. “Oggettivo” perché dipende da questioni estranee al comportamento del dipendente (che potrebbe essere stato integerrimo e fedele) ma che dipendono dall’organizzazione dell’azienda. Si distingue quindi dal licenziamento per giustificato motivo soggettivo e da quello per giusta causa che invece sono licenziamenti di natura “disciplinare” e dipendono dalla condotta colpevole del lavoratore. Il secondo (quello per giusta causa) si distingue dal primo (per giustificato motivo soggettivo) perché la contestazione è tanto grave da giustificare un licenziamento in tronco, senza neanche il periodo di preavviso.

Quando c’è licenziamento per giustificato motivo oggettivo?

Il licenziamento economico si fa di solito risalire a situazioni di crisi aziendale, non necessariamente riconducibili a una irreversibile crisi di liquidità prodromica al fallimento. Potrebbe dipendere da un calo delle commesse (purché non rientri in una normale stagionalità del tutto strutturale e fisiologica) o dalla soppressione della mansione a cui è adibito il dipendente.

Ma non è solo da un calo del fatturato che può dipendere il licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Esso può essere giustificato anche in un’ottica di ristrutturazione interna, per ridurre i costi ed aumentare i profitti, o perché i dipendenti sono stati sostituiti da software o da robot; o ancora perché si è inteso esternalizzare determinate mansioni affidandole a soggetti o ditte esterne.

Cosa deve fare il datore di lavoro prima di un licenziamento per giustificato motivo oggettivo?

Come anticipato, il datore di lavoro, prima di disporre il licenziamento economico, è tenuto a verificare se sia possibile il repêchage: si tratta di valutare se sia possibile adibire il lavoratore in questione a diverse – anche inferiori – mansioni. Pena, l’illegittimità del recesso.

Dinanzi alla contestazione del licenziamento effettuata dal lavoratore (con lettera da spedire all’azienda entro 60 giorni dal ricevimento del licenziamento e successivo ricorso giudiziale da depositare in tribunale entro i 180 giorni dopo l’invio della suddetta lettera) spetta al datore di lavoro dimostrare la mancata possibilità di “ripescaggio”. Egli deve ad esempio dimostrare:

  • che al tempo del recesso i posti di lavoro residui erano stabilmente occupati e che dopo il licenziamento (per un congruo arco temporale successivo: Cassazione, 31495/2018) non è stata effettuata alcuna nuova assunzione a tempo indeterminato in qualifica analoga a quella del lavoratore licenziato;
  • che il lavoratore non aveva la capacità professionale richiesta per occupare una diversa posizione libera in azienda (Cassazione, 6085/2021 e 23340/2018);
  • che non sussistono, al momento del licenziamento, posizioni analoghe a quella soppressa e che il lavoratore non ha prestato consenso alla prospettata possibilità di reimpiego in mansioni inferiori, rientranti nel suo bagaglio professionale (Cassazione, 24491/2019); il datore di lavoro non è tenuto a fornire una diversa formazione al lavoratore per la salvaguardia del posto di lavoro (Cassazione 5981/2022 e 7218/2021).

La Cassazione (sent. n. 12132/2023) ha detto che la valutazione del ripescaggio deve essere effettuata non solo in base ai posti di lavoro disponibili al momento del recesso ma anche a quelli di prossima liberazione ossia che dovessero rendersi disponibili dell’immediato futuro (sempre ovviamente nei limiti della prevedibilità).

L’onere della prova

Tutte le volte che c’è una causa, è necessario comprendere chi abbia l’onere della prova, chi cioè debba dimostrare al giudice il proprio diritto. E in materia di repêchage, è il datore che deve provare l’assenza di altri posti a cui il dipendente poteva essere adibito. A quest’ultimo basta solo contestare licenziamento senza che debba individuare posti vacanti o possibilità di ricollocazione diverse (Cassazione, 6084/2021; 4673/2021; 29165/2018; 5592/2016).

Inoltre, se poco dopo il licenziamento l’azienda procede a nuove assunzioni per ricoprire mansioni equivalenti a quelle svolte dal dipendente licenziato, opera una presunzione di illegittimità del licenziamento stesso. Tuttavia, in una riorganizzazione aziendale, è possibile licenziare dei dipendenti per soppressione delle posizioni da questi ricoperte e assumerne di nuovi, qualora i nuovi assunti non vadano a ricoprire le posizioni lasciate vacanti dai dipendenti licenziati.

Per il dirigente c’è il repêchage?

In caso di licenziamento di dirigenti non opera il repêchage: il datore non deve cioè verificare la possibile ricollocazione per il dipendente. Tale eventualità è inconciliabile con la stessa posizione dirigenziale del lavoratore: posizione che, d’altro canto, giustifica la libera recedibilità del datore di lavoro senza che possano essere richiamati i principi elaborati dalla giurisprudenza per la diversa ipotesi del licenziamento per giustificato motivo del non dirigente (Cassazione, 2895/2023 e 1581/2023).

Giurisprudenza sul licenziamento per giustificato motivo oggettivo

Cassazione, sentenza 12132 dell’8 maggio 2023: Prima di licenziare un lavoratore, l’azienda deve verificare se ci sono altri posti di lavoro disponibili o che si libereranno presto, per poterlo spostare lì.

Cassazione, ordinanza 12244 del 9 maggio 2023: Se un’azienda vuole ridurre le ore di lavoro di un dipendente, deve dimostrare che ci sono valide ragioni organizzative per cui quel lavoratore non può lavorare a tempo pieno.

Cassazione, ordinanza 2895 del 31 gennaio 2023: I dirigenti, quando vengono licenziati a causa di cambiamenti in azienda, non hanno diritto al “repêchage” (ovvero alla possibilità di essere ricollocati in un altro ruolo) perché la loro posizione lavorativa ha regole diverse.

Tribunale di Trani, sez. lavoro, sentenza 426 del 2 marzo 2023: Se un’azienda fa parte di un gruppo di società e licenzia un dipendente, non è obbligata a cercare posti di lavoro in tutte le società del gruppo, a meno che non si dimostri che tutte le società operano come un’unica entità.

Cassazione, ordinanza 5981 del 23 febbraio 2022: Se un’azienda licenzia un dipendente perché il suo posto di lavoro non esiste più, deve dimostrare che questa decisione era necessaria e che ha cercato di trovare un altro posto per il dipendente.

Tribunale di Parma, sez. lavoro, sent. 85 del 15 settembre 2022: Se un dipendente non può più svolgere il suo lavoro originale, l’azienda deve cercare di spostarlo in un altro reparto o dargli un altro lavoro, anche se è di livello inferiore, prima di licenziarlo.

Tribunale di Ravenna, sez. lavoro, sentenza del 31 maggio 2022: Se un’azienda non rispetta l’obbligo di “repêchage” e licenzia un dipendente, il lavoratore ha diritto a essere reintegrato nel suo posto di lavoro.

 
Pubblicato : 19 Settembre 2023 06:00