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Come comportarsi se arriva una cartella esattoriale

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(@angelo-greco)
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Cartelle pazze: quando fare ricorso contro le cartelle di pagamento errate e quali sono i motivi di impugnazione. 

Non è facile descrivere come ci si senti quando arriva una cartella esattoriale a casa. Il più delle volte però, dopo lo shock iniziale, si sente il commercialista e l’avvocato per verificare se c’è una via d’uscita. E di scappatoie, in realtà, ne esistono parecchie. Questo perché, secondo una stima del 2022 di Federcontribuenti, le cartelle errate (le cosiddette “cartelle pazze”) sono circa il 56% delle emissioni. Ma una cosa deve essere chiara sin dall’inizio: non si possono riesumare, con la notifica della cartella, i vizi che andavano contestati con l’atto a monte di essa (la multa stradale, l’accertamento fiscale, l’omesso versamento della Tari o dell’Imu, ecc.). Gli unici motivi di contestazione sono quelli che attengono alla cartella stessa, alla sua formazione o comunque successivi alla notifica, non anche quelli attinenti al merito del debito. 

Detto ciò vediamo dunque come comportarsi se arriva una cartella esattoriale e quali sono i motivi per fare ricorso.

Cartelle pazze: quali sono i vizi?

Dicevamo che i vizi per cui è possibile impugnare una cartella sono solo quelli della cartella stessa e non possono riguardare il cosiddetto “atto prodromico”. I più ricorrenti motivi di ricorso che rendono “pazza” (ossia errata e quindi contestabile) la cartella sono:

  • decadenza e prescrizione del tributo: si tratta della decorrenza dei termini massimi per chiedere il pagamento al contribuente; 
  • emissione di cartelle per tributi già pagati: a tal fine sarà bene, prima di fasciarsi la testa, verificare in archivio se sia stato già effettuato il versamento in passato;
  • imposte annullate da decisioni dei giudici tributari;
  • tasse automobilistiche annullate dai Giudici di Pace;
  • tassa dei rifiuti su immobili locati richiesta al proprietario invece che al conduttore;
  • somme per le quali è intervenuta una sanatoria o l’annullamento a seguito della famosa “pace fiscale”;

Attenzione: il contribuente che paghi subito solo per evitare danni maggiori può, anche successivamente, fare ricorso purché non decorrano i termini (che elencheremo a breve).

Cartelle pazze: cosa fare?

La prima cosa da fare, anche senza bisogno di scomodare un avvocato, è inviare una Pec o una raccomandata a.r. all’Agenzia delle Entrate o comunque all’amministrazione titolare del credito (ad es. il Comune per l’Imu e la Tari). In essa si presenta ciò che tecnicamente viene chiamato ricorso in autotutela. Si tratta di una richiesta di riesame dell’atto ai fini dell’annullamento dello stesso. È un’istanza informale che però non garantisce risposta: l’ente potrebbe cioè rimanere in silenzio. In più il ricorso in autotutela non sospende i termini per presentare ricorso al giudice. 

L’istanza in autotutela va inviata, per presa conoscenza, anche all’Ente riscossore che ha inviato la cartella (ad esempio Agenzia Entrate Riscossione).

Se l’ufficio annulla la cartella è necessario assicurarsi che venga emesso un provvedimento di sgravio della cartella e del tributo/sanzione a monte di essa. Diversamente il debito resta in piedi e il contribuente potrebbe un giorno essere vittima di un pignoramento. 

Lo sgravio andrà poi comunicato, a cura dello stesso contribuente, all’Agente della riscossione per evitare che questi intraprenda azioni esecutive. 

Se il contribuente ha già pagato ha diritto a chiedere il rimborso. 

Che succede se l’amministrazione non risponde?

Il più delle volte le istanze di autotutela non vengono riscontrate o ricevono risposta negativa. In questi casi il contribuente deve fare ricorso: 

  • entro 60 giorni alla Corte di Giustizia Tributaria se si tratta di cartelle relative a imposte e tasse;
  • entro 30 giorni al Giudice di Pace se si tratta di sanzioni amministrative e multe stradali;
  • entro 40 giorni al Tribunale ordinario sezione lavoro se si tratta dei contributi dovuti all’Inps o all’Inail. 

Per evitare che, nelle more del giudizio, l’Agente per la riscossione avvii le procedure esecutive (ossia attivi un pignoramento o il fermo amministrativo dell’auto o l’ipoteca sulla casa) è bene, nel ricorso, chiedere al giudice la sospensione della cartella. Su tale istanza il giudice si pronuncerà alla prima udienza o con lo stesso decreto che, in risposta al ricorso, fissa la data della prima udienza. 

La sospensione obbligatoria della cartella

In presenza di specifici vizi, la legge riconosce al contribuente il diritto a ottenere immediatamente la sospensione della cartella. La richiesta di sospensione va presentata necessariamente entro 60 giorni dalla notifica della stessa. Gli agenti della riscossione sono tenuti a sospendere immediatamente ogni attività esecutiva (fase che dovrebbe riguardare le operazioni espropriative) e cautelare (fermi, ipoteche) sulla sola base della dichiarazione presentata dal debitore. Il contribuente deve dimostrare, con documenti alla mano, che il credito è stato interessato da:

  • prescrizione o decadenza intervenute in data antecedente a quella in cui il ruolo è stato reso esecutivo (si tratta ad esempio del mancato rispetto dei termini di accertamento, non della cartella di pagamento);
  • provvedimento di sgravio emesso dall’ente creditore;
  • sospensione dichiarata da un’autorità amministrativa ossia dall’ente creditore (ad esempio, contro una richiesta di pagamento, è stata presentata domanda di sgravio all’Inps che ha sospeso l’atto);
  • sospensione dichiarata da un giudice (succede quando si presenta ricorso e, nelle more del processo, il giudice sospende la richiesta di pagamento);
  • sentenza che abbia annullato in tutto o in parte il credito in un processo in cui l’Agente della Riscossione non ha preso parte;
  • pagamento effettuato in data antecedente alla formazione del ruolo.

Le cause di cui sopra devono essere antecedenti alla formazione del ruolo (data che si può evincere dalla lettura della cartella poiché indicata nell’estratto della stessa).

Quando conviene fare ricorso contro la cartella?

I vizi di notifica della cartella sono tra i più frequenti (si pensi alla cartella inviata a un vecchio indirizzo o firmata da chi non aveva i poteri per ricevere le raccomandate). Tuttavia contro di essi non conviene fare ricorso in un primo momento. Difatti, sarebbe come ammettere che la cartella è giunta a destinazione e il vizio verrebbe sanato. In tal caso il contribuente deve far finta di non aver ricevuto nulla per poi impugnare il successivo atto inviato dall’Esattore (ad esempio un preavviso di fermo o di ipoteca) sostenendo in quella sede di non aver mai avuto contezza della cartella esattoriale.

Un motivo tipico di ricorso è la prescrizione del credito che decorre dalla data in cui si è ricevuto l’ultimo sollecito o intimazione di pagamento.

La prescrizione è di:

  • 10 anni per le imposte dovute allo Stato (Iva, Irpef, Canone Rai, ecc.);
  • di 5 anni per tutte quelle dovute agli enti locali (Imu, Tasi), per le multe stradali e per i contributi previdenziali Inps e Inail;
  • di 3 anni per il bollo auto. 

Anche dopo la notifica della cartella inizia a decorrere nuovamente la prescrizione, sicché la stessa cartella potrebbe andare prescritta se, in tale termine, non giunge alcuna azione esecutiva o intimidazione di pagamento. 

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Pubblicato : 21 Novembre 2022 16:00