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Chi deve provare la simulazione?

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(@angelo-greco)
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Come provare il pagamento nel caso di simulazione di vendita immobiliare con una donazione?

Nel complesso mondo delle transazioni immobiliari, la questione della simulazione di un atto di vendita e del conseguente onere della prova del pagamento del prezzo da parte dell’acquirente rappresenta un tema di notevole rilevanza giuridica. La recente sentenza n. 5372 del 29 febbraio 2024 della Cassazione offre importanti chiarimenti in merito, stabilendo criteri precisi per l’accertamento della realtà. Alla luce di tale importante sentenza vedremo qui di seguito chi deve provare la simulazione e come si ripartisce l’onere della prova tra le parti. Ma procediamo con ordine.

Quanti tipi di simulazione esistono?

La simulazione nei contratti può essere definita come una sorta di “finzione legale” dove le parti coinvolte creano un accordo che non riflette la loro vera intenzione o accordo. Questo può avvenire in due modi.

Simulazione assoluta.

Immagina due amici, Marco e Luca. Marco ha molti debiti e teme che i creditori possano pignorargli la casa. Allora, lui e Luca escogitano un piano: firmano un finto contratto di vendita in cui Marco “vende” la casa a Luca. Tuttavia, in realtà, non c’è nessuna vera vendita: Marco continua a vivere nella propria abitazione come se fosse sua, gestendola e godendone come prima. Il contratto è solo uno stratagemma per far apparire ai terzi che Marco non è più l’intestatario del bene, sottraendolo quindi a qualsiasi forma di azione esecutiva. In questo caso l’immobile resta al sicuro dai creditori. In tale scenario, il contratto di vendita è una pura finzione, perché nessuna delle parti vuole davvero che gli effetti del contratto si realizzino.

Dunque la simulazione assoluta si verifica quando viene firmato un contratto di cui entrambe le parti non vogliono gli effetti, né vogliono realizzare un diverso tipo di contratto. Esse vogliono che, nei fatti, la realtà non muti. Nel caso di specie, infatti, Marco continua ad essere l’effettivo proprietario del bene anche se formalmente non ne è più l’intestatario.

Simulazione relativa

Prendiamo il caso di una madre Anna che voglia intestare alla figlia Giulia la propria casa, senza far sapere agli altri suoi figli che si tratta di un regalo. Le due decidono quindi di recarsi dal notaio e di mascherare questa donazione come una vendita. Firmano quindi un contratto di compravendita, ma in realtà, non c’è scambio di denaro. Il loro vero intento è quello di dar vita a una donazione. I motivi possono essere i più svariati: questioni fiscali, relazioni personali, problemi ereditari, timore di generare invidia e così via.

Qui, il contratto di vendita è solo un mezzo per raggiungere un altro scopo: la donazione della casa da Anna a Giulia.

A differenza della simulazione assoluta, nella simulazione relativa le parti non vogliono realizzare gli effetti del contratto che firmano ma vogliono quelli di un altro tipo di contratto, diverso dal primo.

Similitudini e differenze tra simulazione assoluta e relativa

In entrambi i casi, la simulazione riguarda la creazione di un accordo che non corrisponde alla reale intenzione delle parti. Nella simulazione assoluta, l’atto è fittizio e non si vuole che produca alcun effetto pratico. Nella simulazione relativa, invece, le parti hanno l’intenzione di realizzare un certo effetto (ad esempio, il trasferimento di un bene), ma attraverso un tipo di contratto diverso da quello che realmente desiderano.

Come contestare una simulazione?

Chi può essere interessato a contestare la simulazione? Si può trattare di una delle parti che ha firmato il contratto oppure di terzi. Il tipo di prova richiesto però è diversamente ripartito a seconda del soggetto.

Ti invito però, prima di tutto, a leggere l’articolo Quanto tempo ha un erede per impugnare una vendita fittizia.

Se a contestare la simulazione è una delle parti

Partiamo dalla prima delle ipotesi: quella in cui a contestare la simulazione sia una delle parti che hanno firmato il contratto.

Prendiamo il caso di Marco che abbia venduto la casa a Domenico solo per evitare che i creditori gliela pignorassero. Cessato però tale rischio, Marco rivuole indietro la casa. Domenico invece la vuole per sé.

In questo caso, l’unico modo per Marco di dimostrare la simulazione è tirare fuori dal cassetto la scrittura privata che ha firmato con Domenico in cui si attesta che l’atto di compravendita è una semplice simulazione.

Ciò necessita un chiarimento. Nella prassi, avviene sempre – per ragioni di prudenza – che, quando si fa una finta vendita, le parti firmino un accorso “segreto” con cui dichiarano di non volere gli effetti di tale atto. Ebbene, secondo la giurisprudenza, l’unico modo che ha la parte della simulazione per contestare la simulazione stessa è la prova scritta, ossia un documento che attesti l’esistenza del cosiddetto “accordo simulatorio”.

Se a contestare la simulazione è un terzo

Prendiamo ora il caso della simulazione tra Anna e Giulia, che hanno firmato una compravendita volendo invece realizzare una donazione. Alla morte di Anna, i fratelli di Giulia sostengono di essere stati “discriminati” dalla madre e di aver da questa ricevuto meno di quanto spetterebbe loro per legge (la cosiddetta “quota di legittima”). Che prove dovranno fornire per dimostrare la finta vendita che nasconde una donazione? Secondo la giurisprudenza, il terzo – non potendo essere in possesso dell’accordo scritto simulatorio eventualmente stipulato tra le parti – può dare la prova della simulazione con qualsiasi mezzo, anche con presunzioni (i classici “indizi”).

Così, ad esempio, un creditore potrebbe dimostrare che la vendita è fittizia attraverso la relazione di un investigatore privato che attesti che il venditore è sempre rimasto nella propria casa e che l’acquirente non vi ha mai abitato.

Oppure i fratelli della donataria potranno dimostrare che quest’ultima non aveva alcun reddito per poter pagare il prezzo di compravendita.

Insomma, se a contestare la simulazione è un soggetto diverso dalle parti che l’hanno sottoscritta, a questi bastano semplici indizi per assolvere all’onere della prova.

Come si difende l’acquirente?

Ritorniamo al caso della simulazione tra Anna e Giulia, dove la figlia sostiene di aver effettivamente acquistato la casa dalla madre.

La Cassazione (sent. n. 5372/2024) stabilisce che, in caso di simulazione di vendita, spetta all’acquirente dimostrare il pagamento effettivo. Ricade quindi sull’acquirente l’onere di dimostrare l’effettivo pagamento del prezzo, al di là delle mere dichiarazioni contenute nel rogito notarile.

La sentenza della Cassazione si inserisce in un contesto in cui tre fratelli avevano citato in giudizio la propria sorella per l’accertamento della nullità di una vendita immobiliare, sostenendo che l’atto di vendita stipulato dalla madre in favore della sorella fosse in realtà una donazione mascherata, dato che non vi era stata alcuna effettiva corresponsione del prezzo. L’accusa si basava sull’affermazione che la firma dell’atto da parte della madre sarebbe stata ottenuta contro la sua volontà.

Cosa dice la legge riguardo la simulazione dell’atto di vendita?

In caso di contestazione della genuinità di un atto di vendita, la legge prevede che l’onere della prova ricada sull’acquirente, il quale deve dimostrare di aver effettivamente pagato il prezzo concordato per l’immobile. Non è sufficiente, a tal fine, la mera dichiarazione di pagamento inserita nel rogito notarile, in quanto potrebbe non rispecchiare la realtà dei fatti.

La sentenza n. 5372 della Cassazione ha importanti implicazioni pratiche: stabilisce infatti che, in presenza di indizi che suggeriscano la simulazione di un contratto di vendita, diventa cruciale per l’acquirente fornire prove concrete dell’avvenuto pagamento del prezzo.

 
Pubblicato : 1 Marzo 2024 16:00