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Che differenza c’è tra giudice e magistrato?

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(@paolo-remer)
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Come si classificano e suddividono per ruoli e funzioni gli appartenenti all’ordine giudiziario; come sono inquadrati, cosa fanno e quali prerogative hanno.

Nel linguaggio comune sono parole interscambiabili e apparentemente equivalenti, ma, se vogliamo utilizzare la terminologia corretta, dobbiamo chiederci: che differenza c’è tra giudice e magistrato?

È bene saperlo non solo per cultura personale ma anche a fini pratici, ad esempio se ci si rivolge ad un “togato” e si vuole usare l’appellativo giusto (che non è quello dei film americani: Vostro Onore) o se si desidera intraprendere la carriera giuridica e tentare il concorso per l’ingresso in magistratura, con il quale si diventa giudici ma non soltanto: anche pubblici ministeri, almeno fino a quando non si realizzerà la sempre annunciata separazione delle carriere.

Volendo usare la logica, visto che il diritto è organizzato per definizioni e categorie, possiamo iniziare dicendo che tutti i giudici sono magistrati, ma non tutti i magistrati sono anche giudici. In altre parole, i magistrati sono una categoria più ampia rispetto ai giudici. C’è quindi un rapporto di genere a specie, che ben conosciamo in natura: ad esempio, ogni gatto è un felino, ma non è una tigre, un leopardo o un leone, eppure sono tutti animali.

Quanti magistrati abbiamo in Italia?

Iniziamo dai numeri per comprendere, a livello quantitativo, l’entità del fenomeno. Stando alle statistiche elaborate dal Csm (Consiglio Superiore della Magistratura) in Italia i magistrati sono quasi diecimila, e precisamente 9.787 unità, con una leggera prevalenza delle donne rispetto agli uomini (il 54% del totale).

Il “sorpasso” si è realizzato nel 2015 e da allora la prevalenza femminile è stata costante, anche se il numero delle donne diminuisce nei gradi direttivi e apicali (ma attualmente il primo presidente della Corte di Cassazione è, per la prima volta nella storia, una donna: il giudice Margherita Cassano).

Funzioni giudicanti e requirenti

La distinzione tra magistrati e giudici passa per la diversità delle funzioni svolte: i magistrati possono avere anche funzioni requirenti, o anche inquirenti, mentre solo i giudici hanno le funzioni giudicanti, cioè decidono i casi loro sottoposti, nei vari uffici e gradi in cui si articola la giurisdizione: dal giudice di pace, ai tribunali, alle corti d’appello, fino alla Cassazione, in cui – come in tutti gli altri uffici giudiziari – sono in organico anche magistrati non giudici, come gli appartenenti alla Procura Generale.

Quindi il giudice decide le cause (civili, penali, amministrative, tributarie o contabili) e dirige il processo, mentre altri magistrati – come i pubblici ministeri – lo istruiscono e vi partecipano, in condizioni di parità con le altre parti. E tutti i magistrati, non solo i giudici, come vedremo meglio fra poco, hanno le garanzie di autonomia dal potere politico ed esecutivo.

A sua volta nelle articolazioni interne delle funzioni, il giudice può essere monocratico, quando decide da solo, oppure collegiale, quando partecipa insieme ad altri in un organo chiamato, appunto, Collegio. Ad esempio, il Gip – giudice per le indagini preliminari, è monocratico, mentre il Tribunale del Riesame è collegiale; il Tribunale può essere sia monocratico sia collegiale, la Corte d’Appello è sempre collegiale, come anche la Corte di Cassazione.

Magistrati togati e non togati

Un’altra importante distinzione in seno alla categoria dei magistrati – che abbraccia trasversalmente la sottocategoria dei giudici – è quella tra togati e non togati: ci sono sia giudici sia pubblici ministeri in entrambe le posizioni previste dalle norme sull’Ordinamento giudiziario.

I magistrati togati sono dipendenti pubblici dello Stato, che hanno superato il concorso per l’accesso in magistratura ed hanno ottenuto stabilmente le funzioni giudiziarie; i non togati, invece – detti anche magistrati onorari – sono assunti a tempo determinato e per attività specifiche, come i Giudici di pace, o i Vpo (Vice procuratori onorari) che svolgono le funzioni di pubblico ministero in udienza al posto dei sostituti procuratori togati, con un’apposita delega del Procuratore capo.

Così i magistrati togati vengono assunti a tempo indeterminato e ricevono un vero e proprio stipendio, mentre i non togati percepiscono un’indennità commisurata all’attività svolta (il numero di sentenze emesse, o di udienze cui hanno partecipato). Ciò non toglie che nel corso degli anni si è assistito ad una progressiva “stabilizzazione” della magistratura onoraria, i cui componenti sono stati più volte confermati e prorogati nell’incarico da vari provvedimenti legislativi che hanno impedito la loro scadenza, e alcune recenti sentenze della Corte Europea gli riconoscono diritti analoghi a quelli dei magistrati togati, fino a lambire un vero e proprio rapporto di pubblico impiego instaurato con lo Stato.

Giudici e pubblici ministeri

I pubblici ministeri hanno un ruolo completamente diverso e distinto da quello dei giudici: nel processo accusatorio, nato con la riforma del 1989 in sostituzione del precedente modello inquisitorio, il Pm svolge innanzitutto le indagini (e in tale ambito dirige la Polizia giudiziaria, di cui dispone) per prendere contezza dei reati, e poi, acquisiti gli elementi probatori, se non chiede l’archiviazione del caso esercita l’azione penale e sostiene l’accusa nel processo, in cui è egli stesso una parte, insieme all’imputato e alla sua difesa, mentre il giudice ha sempre un ruolo super partes. Inoltre compete al pubblico ministero l’esecuzione dei provvedimenti disposti dal giudice, come le sentenze che all’esito del processo statuiscono la condanna e irrogano una pena detentiva.

Il pubblico ministero ha anche importanti ruoli al di fuori dei processi penali, perché, in base all’art. 73 della Legge sull’Ordinamento giudiziario, deve «vegliare sull’osservanza delle leggi» intese in senso lato: anche quelle civili, specialmente se finalizzate «alla pronta e regolare amministrazione della giustizia, alla tutela dei diritti dello Stato, delle persone giuridiche e degli incapaci».

Per questo si dice spesso che il Pm è la “parte pubblica”, deputata alla cura degli interessi generali. Così il Pm può promuovere determinati procedimenti civili per tutelare tutti coloro che, per vari motivi, non possono provvedere ai loro interessi né personalmente né attraverso un rappresentante, e in taluni casi partecipa alle udienze civili, esprime pareri, può chiedere l’emissione di provvedimenti cautelari o formulare istanze di fallimento.

Magistrati e giudici: le garanzie costituzionali

Secondo l’articolo 104 della Costituzione, la magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere. Quindi, tutti i magistrati, sia giudicanti sia requirenti – e dunque non soltanto in giudici – rientrano in questa garanzia costituzionale, che li preserva da interferenze ed ingerenze del potere politico o esecutivo, e, in particolare, del Governo.

Perciò pure i pubblici ministeri, in quanto magistrati, godono delle stesse prerogative di autonomia e indipendenza stabilite per i giudici: ad esempio – come precisa l’articolo 107 della Costituzione – sono anch’essi «inamovibili», cioè in mancanza del loro consenso non possono essere trasferiti, sospesi o rimossi se non a seguito di un’apposito provvedimento del Csm (che infatti è definito come l’organo di “autogoverno” della magistratura) adottato a seguito di un particolare procedimento regolato dalle leggi sull’ordinamento giudiziario.

 
Pubblicato : 28 Maggio 2023 10:15