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Casse di previdenza: l’evoluzione del patrimonio

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(@paolo-rosa)
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L’arte di affabulare nella comunicazione strategica per convincere sulla bontà del servizio così da entrare in empatia con gli iscritti.

L’affabulazione, cioè la capacità di sviluppare un argomento in forma narrativa, è una componente essenziale degli strumenti di comunicazione di chiunque aspiri ad acquisire una posizione di leadership. In questa logica, evidentemente, le voci contrarie al mainstream corrente non hanno spazio e vengono cancellate anche dalle manifestazioni ufficiali. Un esempio classico, a mio giudizio, è segretare agli iscritti, obbligati per legge ad esserlo, una riforma previdenziale per “rigore istituzionale” siccome soggetta alla approvazione ministeriale. A Santa Lucia, l’AdEPP ha presentato il XII Rapporto sulla previdenza privata (Santa Lucia, patrona di Siracusa, protegge la vista). È una miniera di dati che invito a leggere direttamente sul sito istituzionale ancorché mancanti di quelli utili a valutare la sostenibilità di lungo periodo, che non è proprio un aspetto trascurabile per delle Casse di Previdenza che hanno volontariamente rinunciato agli aiuti di Stato.

In questo articolo, focalizzo l’attenzione sull’evoluzione del patrimonio e sugli investimenti.

Il patrimonio complessivo

Negli ultimi sette anni, il patrimonio delle Casse di Previdenza ha registrato una crescita continua e costante passando dai circa 65,6 miliardi di euro del 2013 ai circa 108 miliardi di euro di fine 2021 con un incremento complessivo di 64 punti percentuali. Tale incremento ha riguardato tutti gli anni in analisi con un tasso di crescita percentuale pari al 9,55% tra il 2013 e il 2014, al 4,96% tra il 2014 e il 2015 e al 6,05% tra il 2015 ed il 2016, 6,6% tra il 2016 ed il 2017, 2% tra il 2017 ed il 2018, 10,33% tra il 2018 ed il 2019, 4,25% tra il 2019 ed il 2020 e 7,84% nell’ultimo anno considerato con una media di incremento annuale pari a circa il 6,5%.

La crescita va analizzata alla luce di due fattori interconnessi ovvero da un lato i contributi complessivamente incassati sono superiori alle uscite derivanti dalle prestazioni erogate – per un saldo positivo complessivo di circa 25 miliardi nel periodo di analisi – e dall’altro i rendimenti conseguiti sugli attivi che ammontano a circa 1,9% netto annuo in media tra il 2013 ed il 2021.

L’asset allocation

Tutte le Casse di Previdenza hanno adottato, negli anni, una gestione del patrimonio volta a ridurre il rischio di esposizione proprio degli investimenti. Per raggiungere un basso rischio è stato necessario, negli anni, diversificare il portafoglio, ridistribuendo in maniera appropriata il patrimonio nei diversi asset.

Come vedremo in seguito, le Casse oltre ad aver modificato in “cosa” investire (emblematico in tal senso la contrazione degli investimenti di carattere immobiliare) hanno anche adeguato il “come” investire, affiancando o sostituendo alle scelte gestionali tradizionali nuovi strumenti finanziari.

In Figura 5.2, vengono riportate le diverse asset class con le relative percentuali investite a fine 2021. Si nota come vi siano tre componenti predominanti ovvero i fondi di investimento mobiliari per una quota del 32,4%, altri fondi di investimento per il 21,8% e Titoli di Stato con una quota del 13,7%. Nella voce “altre attività” sono ricompresi i crediti di natura previdenziale.

Evoluzione dell’asset allocation dal 2013 al 2021

In Tabella 5.1, viene riportata la composizione dell’attivo dal 2013 al 2021 a valori di mercato. La tabella mostra come vi sia stato – nel corso degli anni – un cambiamento degli investimenti nelle diverse asset class sempre secondo il criterio della diversificazione e della riduzione del rischio che non può non considerare la congiuntura economica.

In termini assoluti, sono molto rilevanti le variazioni degli investimenti in:

  • fondi mobiliari, passati da 8,3 miliardi di euro del 2013 ai quasi 35 di fine 2021, quindi più che quadruplicati;
  • immobili direttamente posseduti – passati da 11,5 miliardi di euro del 2013 ai circa 4,7 miliardi attuali;
  • componente azionaria, quasi raddoppiata (da 4,1 miliardi di euro a 7,7 miliardi di euro).

Considerando le percentuali investite nelle diverse asset class nel corso degli anni, si possono interpretare in maniera più precisa e puntuale le variazioni. La composizione relativa dei vari asset fornisce, infatti, un quadro dei futuri risultati delle politiche di investimento adottate dalle Casse.

Dalla tabella, e dal successivo grafico in Figura 5.3, si possono trarre le seguenti conclusioni:

  • investimenti in titoli di Stato: pur rimanendo uno dei veicoli d’investimento maggiormente utilizzato, si registra un decremento non trascurabile della quota parte investita in tale asset, essendo questa passata dal 19,7% del 2013 al 13,7% del 2021;
  • fondi di investimento: si registra un aumento considerevole poiché circa il 53% degli investimenti delle Casse confluisce in fondi comuni (mobiliari e non). Tale quota era circa il 28,6% nel 2013.

Le Casse hanno distribuito, negli anni, in modo diverso il loro capitale nelle diverse asset class. Per meglio comprendere quanto siano diverse le percentuali del patrimonio investito nei diversi strumenti finanziari, in Figura 5.4 vengono mostrati, per ogni strumento, il valore medio percentuale, i valori massimo e minimo ed il secondo e terzo quartile. Dalla figura si può notare, per esempio, che gli investimenti in titoli di stato vanno dalla 0% al 80%. In modo simile si comportano gli investimenti in OICVM.

Mi pare di poter dire che nel corso degli anni vi è stata l’assunzione di un rischio maggiore negli investimenti del resto riconosciuto quando si legge che, «incremento giustificato anche dalla necessità di accrescere i rendimenti e compensare i bassi rendimenti sugli altri strumenti», con più del dimezzamento degli immobili direttamente posseduti, con la componente azionaria quasi raddoppiata e con il più del raddoppio degli investimenti in OICR/OICVM e polizze assicurative, passato dal 24,9% al 52,9%.

Il Report invece non offre dati, almeno io non li ho rinvenuti, su:

  • crediti delle Casse verso gli iscritti e loro esigibilità 8,6%, e quindi non proprio bruscolini, su 107,9 miliardi: sarebbe utile conoscere, attraverso il fondo di svalutazione crediti con cui si mira a coprire sia le perdite di inesigibilità dei crediti già manifestatesi, sia quelle perdite non ancora manifestatesi ma che l’esperienza e la conoscenza dei fatti di gestione inducono a ritenere siano già intrinseche nei saldi esposti in bilancio, la situazione reale che ha una immediata ricaduta sui saldi del bilancio stesso;
  • entità del debito previdenziale latente; non è una mia invenzione, esiste ed è un macigno di notevoli dimensioni;
  • funding ratio (il f.r. misura il rapporto tra il complesso delle attività e quello delle passività e valuta ad una certa data il livello di copertura di un trattamento previdenziale. Per i regimi a ripartizione, come le Casse, è un indicatore del grado di capitalizzazione del sistema e una parziale misura del livello di garanzia per gli iscritti attivi e pensionati);
  • esame dei vari bilanci tecnici e valutazione delle relative criticità prima di arrivare a situazioni critiche come, da ultimo, per INPGI1 riportata ex lege in Inps;
  • dipendenza, nel tempo, delle pensioni più che dai contributi, dal patrimonio e suo rendimento con tutti i rischi finanziari che ciò comporta, mancando la garanzia finale dello Stato;
  • perché le Casse che nelle varie aggiudicazioni si definiscono “Tipo di amministrazione aggiudicatrice Organismo di diritto pubblico” non applicano il codice appalti anche per gli investimenti?
  • descrizione degli advisory committee partecipati dalle Casse.

Sarebbe bello che il Centro Studi integrasse il Report, come da tempo vado segnalando, anche con queste valutazioni per offrire agli iscritti un rapporto completo, altrimenti è come ritrovarsi in cucina con Amadori o a Natale con la Coca Cola.

Fonte: Diritto e Giustizia

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Pubblicato : 23 Dicembre 2022 15:59