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Assegno mantenimento figli fino a che età

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(@mariano-acquaviva)
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Deve essere il figlio maggiorenne a dimostrare di avere ancora diritto al mantenimento, provando di aver fatto tutto il possibile per trovare un lavoro.

Tutti sanno che i figli vanno mantenuti anche se maggiorenni. Ciò vale anche in caso di separazione: il genitore non affidatario deve continuare a versare il mantenimento anche dopo i diciotto anni. Ciò accade perché i diritti dei figli prescindono dal fatto che i genitori stiano ancora insieme: anche se separati o divorziati, devono provvedere alle spese occorrenti alla prole. Con questo articolo ci concentreremo su uno specifico aspetto, e cioè fino a che età spetta l’assegno di mantenimento ai figli.

Sin da subito possiamo dire che la legge non stabilisce un limite d’età superato il quale i figli perdono il diritto a essere mantenuti. La giurisprudenza, tuttavia, ha individuato una serie di criteri che consentono di porre un freno al “mantenimento senza limiti” di cui godono alcuni figli oramai adulti. Se l’argomento t’interessa, prosegui nella lettura: vedremo insieme fino a che età spetta l’assegno di mantenimento ai figli.

Assegno di mantenimento: cos’è?

L’assegno di mantenimento è la somma periodica che il genitore non affidatario deve versare per provvedere alle spese che riguardano i figli.

In pratica, con l’assegno di mantenimento la legge fa sì che il genitore che, a seguito della separazione, non vive più con la prole, possa continuare a rispettare l’obbligo di mantenimento previsto dal Codice civile.

Obbligo di mantenimento: cos’è?

Come detto sul finire del precedente paragrafo, il Codice civile [1] prevede espressamente l’obbligo di mantenimento della prole in capo ad entrambi i genitori.

Tale dovere comprende l’obbligo di fornire al figlio quanto necessario a sostenere le spese di una vita di relazione consona all’ambiente sociale in cui la famiglia vive (o viveva, in caso di separazione), sempre tenendo conto delle disponibilità economiche dei genitori.

In pratica, ciò significa che nel mantenimento non rientrano solamente le spese essenziali (vitto, alloggio, vestiario, farmaci, ecc.), ma anche tutte le attività utili per lo sviluppo psicofisica del ragazzo (corsi sportivi, ricreativi o artistici, gite scolastiche, vacanze, ecc.). Tutto ciò, parametrato al tenore di vita della famiglia.

Assegno di mantenimento: come si determina?

Come ricordato nel primo paragrafo, la funzione dell’assegno è quella di non far perdere il mantenimento al figlio di genitori separati o divorziati: questo diritto, infatti, sopravvive alla fine del matrimonio, così come ogni altro diritto della prole (istruzione, educazione, ecc.).

Quindi, mentre in costanza di matrimonio il figlio riceve ciò di cui ha bisogno direttamente dai genitori (i quali gli pagano la palestra, la piscina, le attività extrascolastiche, il computer, il telefonino, ecc., oltre ovviamente al vitto e all’alloggio), dopo la separazione egli riceve il mantenimento sotto forma di assegno, cioè di prestazione economica, da parte del genitore con cui non vive.

A dire il vero, l’assegno di mantenimento, fintantoché il figlio è minorenne, viene versato all’altro genitore; raggiunta la maggiore età, è possibile pagarlo direttamente alla prole.

Per quanto riguarda l’entità dell’assegno di mantenimento, il Codice civile [2] stabilisce che tale prestazione deve essere proporzionale al reddito del genitore che lo versa, tenendo altresì conto di altri elementi, quali:

  • le attuali esigenze del figlio;
  • il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori;
  • i tempi di permanenza presso ciascun genitore.

Nel determinare l’entità del mantenimento, quindi, il giudice dovrà tenere in considerazione anche le esigenze della prole, con riferimento anche alla loro età.

Ad esempio, se è lecito far rientrare, all’interno dell’assegno, le spese per il corso di arti marziali che il figlio stava già seguendo prima della separazione, tale spesa non sarà più giustificata se il figlio ha oramai trent’anni.

Il mantenimento va poi determinato anche in base alla tipologia di affido: in caso di affidamento esclusivo, infatti, l’importo dell’assegno sarà sicuramente maggiore rispetto all’affidamento condiviso, vista la necessità di compensare l’assenza del genitore.

Assegno di mantenimento: fino a che età spetta?

Come ricordato in apertura, la legge non stabilisce il limite d’età superato il quale il figlio perde il mantenimento. Ciò che è certo, però, è che più passa il tempo, più tale diritto si affievolisce.

In linea di massima, il principio è il seguente: i figli perdono il diritto al mantenimento quando diventano economicamente indipendenti.

Il problema, però, è che tale momento potrebbe anche non giungere mai. Cosa fare in questi casi? Quand’è che il genitore può rifiutarsi legittimamente di mantenere i figli?

Secondo l’insegnamento della giurisprudenza, il figlio che non dimostra di impegnarsi concretamente nella ricerca di un impiego perde il diritto al mantenimento.

Ciò significa che, se il genitore chiede al giudice la revoca dell’assegno, dovrà essere il figlio a dimostrare di averne ancora diritto nonostante abbia oramai raggiunto l’età adulta.

La “dead line” è rappresentata, in genere, dalla soglia dei trent’anni: giunti a questa età, i figli devono dimostrare che il mancato raggiungimento dell’autosufficienza economica non sia imputabile a una loro colpa, bensì alle oggettive difficoltà di inserirsi nel mercato del lavoro.

Insomma: se il figlio è ancora disoccupato a trent’anni anni, è presumibile ritenere che il suo stato di dipendenza dai genitori non derivi dalle colpe del mercato ma dalla propria incapacità di adattarsi ad esso. Scatta quindi una presunzione di responsabilità che tocca al figlio stesso sconfessare, dimostrando di aver fatto di tutto per ottenere un impiego.

La Corte di Cassazione [3] ha recentemente affermato che non spetta il mantenimento nemmeno al figlio con lavoro a tempo determinato, purché tale impiego sia in grado di renderlo indipendente.

Peraltro, va precisato che, una volta raggiunta l’autonomia economica, l’assegno di mantenimento si perde definitivamente, senza possibilità alcuna di poterlo recuperare.

Ciò significa che, se il figlio viene licenziato, non potrà poi chiedere il mantenimento ai genitori, ma al massimo gli alimenti, che consistono in una prestazione economica inferiore, idonea solamente a garantire i beni primari (vitto e alloggio, in pratica).

Quasi scontato dire che perde il diritto al mantenimento anche il figlio trentenne ancora impelagato nel percorso universitario, a meno che non dimostri che il ritardo non è imputabile a una propria colpa.

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Pubblicato : 4 Dicembre 2022 19:00