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Assegno di divorzio: se la moglie ha un lavoro che non la gratifica

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(@adele-margherita-falcetta)
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Quali sono i diritti del coniuge economicamente più debole che ha sacrificato le proprie aspirazioni di carriera per dedicarsi alla famiglia.

Laura, dopo anni di matrimonio, si trova a dover affrontare il difficile percorso del divorzio. Sebbene abbia un impiego, la sua carriera non le ha mai offerto vera soddisfazione né stabilità economica: ha infatti rinunciato alle sue aspirazioni professionali per accettare un lavoro compatibile con il ruolo di moglie e madre. Questo contesto familiare ed emotivo ci porta a considerare una questione delicata e spesso controversa nel diritto di famiglia: l’assegno di divorzio se la moglie ha un lavoro che non la gratifica. Questa prestazione economica è dovuta dal marito, oppure il fatto che l’ex lavora fa venir meno tale obbligo? Questa situazione, comune a molte donne, solleva interrogativi fondamentali sulla equità e sulle dinamiche economiche del divorzio, invitando a una riflessione approfondita sui criteri che guidano la determinazione degli assegni post-matrimoniali. Questo articolo fornisce delle risposte in merito, alla luce delle più recenti indicazioni fornite dalla Corte di Cassazione.

Cos’è l’assegno divorzile?

L’assegno divorzile è un contributo economico che uno dei due coniugi deve corrispondere all’altro, a seguito del divorzio, se questi non ha mezzi adeguati o non può procurarseli per ragioni oggettive.

L’assegno di mantenimento, invece, viene stabilito con la separazione personale dei coniugi e ha presupposti e finalità diverse. In particolare, l’assegno di mantenimento è finalizzato a garantire al coniuge più debole un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio, mentre l’assegno divorzile è finalizzato a sostenerlo economicamente qualora non disponga di mezzi sufficienti.

L’art. 5 comma 6 della legge sul divorzio (n. 898/1970) stabilisce che il Tribunale, con la sentenza di divorzio, può stabilire l’obbligo di uno dei coniugi di corrispondere all’altro un assegno divorzile, quando quest’ultimo si trova in una situazione di bisogno economico. La decisione del Tribunale deve tenere conto di una serie di criteri, tra cui:

  • le condizioni dei coniugi, in particolare l’età, la salute, l’istruzione, la capacità lavorativa e la situazione economica;
  • le ragioni della decisione di divorzio;
  • il contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune;
  • la durata del matrimonio.

In particolare, il Tribunale deve valutare se il coniuge richiedente l’assegno divorzile abbia contribuito alla formazione del patrimonio familiare, sia in termini economici che di lavoro domestico. Inoltre, deve valutare se il coniuge richiedente abbia la possibilità di procurarsi mezzi adeguati per il proprio sostentamento, anche attraverso il lavoro.

La durata del matrimonio è un altro elemento che viene preso in considerazione dal Tribunale. In generale, si ritiene che il coniuge che ha contribuito alla formazione del patrimonio familiare per un periodo di tempo più lungo abbia diritto a un assegno divorzile più elevato.

L’assegno divorzile può essere corrisposto in forma periodica o in forma una tantum. La forma di corresponsione è stabilita dal Tribunale in base alle circostanze del caso.

Qual è la funzione dell’assegno di divorzio?

L’assegno divorzile ha una triplice funzione:

  • assistenziale. Questo aspetto si concentra sull’assicurare che il partner meno autosufficiente mantenga un livello di vita decoroso dopo il divorzio. Tale sostegno è principalmente inteso a bilanciare la perdita dell’apporto, sia finanziario che morale, dell’altro partner;
  • compensativa. Questa componente dell’assegno mira a riconoscere e compensare i sacrifici e le rinunce sostenute dal partner meno autonomo durante la vita matrimoniale. Si tratta tener conto del suo contributo, sia in termini personali che finanziari, alla costruzione del patrimonio familiare e di quello personale dell’altro coniuge;
  • perequativa. Questo aspetto si occupa di equilibrare le condizioni finanziarie dei due ex-coniugi dopo il divorzio. L’intento è di mitigare le disparità economiche che emergono a seguito della fine del rapporto coniugale.

La funzione assistenziale è quella prevalente dell’assegno divorzile, ma le altre due funzioni sono comunque rilevanti. In particolare, quella compensativa è stata valorizzata dalla giurisprudenza, in particolare a seguito della sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 11504/2017.

Il coniuge che fa un lavoro che non gli piace ha diritto all’assegno di divorzio?

Può succedere che uno dei coniugi (di solito la moglie) rinunci a concrete opportunità di carriera per svolgere un lavoro che, pur non essendo gratificante, sia compatibile con la gestione della famiglia. È dovuto l’assegno di divorzio se la moglie ha un lavoro che non la gratifica?

Con diverse, recenti pronunce la Corte di Cassazione ha dato una risposta affermativa a questa domanda. Con ordinanza n. 27945/2023 la Corte ha chiarito che, per stabilire il diritto all’assegno di divorzio, il giudice deve prendere in considerazione il sacrificio professionale fatto per la famiglia. Questo non implica necessariamente l’abbandono completo del lavoro, né che il patrimonio familiare sia aumentato unicamente per merito del coniuge che si è dedicato esclusivamente alla gestione domestica. Le ragioni che hanno spinto il coniuge a mettere la carriera in secondo piano non sono di rilievo.

Ciò che è fondamentale è che il coniuge meno abbiente abbia rinunciato a opportunità lavorative o di sviluppo professionale per dedicarsi alla famiglia, indipendentemente dalle motivazioni personali che hanno influenzato tale decisione, che è stata comunque accettata e condivisa dall’altro coniuge. Non sono pertanto rilevanti le ragioni dietro questa scelta, come l’amore per i figli o il partner, o la volontà di evitare un ambiente lavorativo ostile. L’assegno di divorzio ha lo scopo di compensare lo squilibrio economico risultante dalla decisione di impiegare le proprie capacità all’interno della famiglia piuttosto che in ambito lavorativo o in occasioni di sviluppo professionale.

Non occorre che vi sia stato un sacrificio totale dell’attività lavorativa, in quanto la legge non richiede un impegno esclusivo. L’entità del sacrificio è rilevante per determinare l’importo dell’assegno.

In altre parole, non è necessario dimostrare di aver completamente abbandonato il lavoro; piuttosto, è importante il sacrificio di attività lavorative o di opportunità professionali, come scegliere di lavorare part-time o optare per un impiego meno remunerativo che lasci più tempo per la famiglia, o rinunciare a promozioni, nuovi incarichi o avanzamenti di carriera per gli stessi motivi. Princìpi, questi, ribaditi dalla Suprema Corte con la sentenza n. 35434/2023.

 
Pubblicato : 25 Febbraio 2024 09:00