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Appartamento in comunione: chi paga le spese?

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(@mariano-acquaviva)
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Come si dividono le spese che bisogna sostenere per la conservazione e la manutenzione di un bene di proprietà comune?

Spesso accade che la proprietà di un immobile appartenga a due oppure a più persone. È il caso dell’abitazione acquistata dai coniugi oppure ereditata dai figli dell’originario titolare. In casi del genere, come si dividono le spese dell’immobile?

Come diremo, quando una cosa è di più persone si applicano le regole previste per la comunione, le quali stabiliscono il coinvolgimento di tutti i proprietari. Le cose però si complicano allorquando sia solo uno dei contitolari a godere del bene, escludendo tutti gli altri. Cosa accade in questa ipotesi? Vediamo cosa dicono la legge e la giurisprudenza.

Chi paga le spese della comunione?

Secondo la legge [1], ciascun partecipante deve contribuire alle spese necessarie per la conservazione e per il godimento della cosa comune.

Ciò significa che tutti i proprietari dello stesso bene devono sostenerne i costi, ciascuno in proporzione alla quota posseduta [2]. Se il titolo di proprietà non specifica nulla, la quota si presume uguale.

Marco, Matteo e Carlo sono comproprietari dello stesso appartamento: i primi due al 30%, il terzo al 40%. Se i lavori di manutenzione del tetto costano 1.000 euro, Marco e Matteo dovranno pagare 300 euro ciascuno mentre Carlo 400 euro.

Chi paga le spese condominiali dell’appartamento in comune?

Quanto appena detto a proposito delle spese dell’immobile in comunione riguarda anche gli oneri condominiali, i quali dovranno essere corrisposti ciascuno in proporzione della quota di cui è titolare.

Lavori nella casa in comunione: chi decide?

Gli interventi sulla casa in comunione sono decisi dalla maggioranza dei proprietari calcolata secondo il valore delle loro quote, come avviene nell’assemblea condominiale.

In pratica, per decidere occorre che tutti i proprietari siano avvisati e messi nelle condizioni di poter esprimere il proprio voto; dopodiché, a decidere è la maggioranza, calcolata non per teste ma per quote.

Le deliberazioni adottate dalla maggioranza vincolano la minoranza, con la conseguenza che anche chi non è d’accordo per un certo intervento di ordinaria amministrazione è costretto a sostenerne i costi, in ragione della quota posseduta.

Gli atti di ordinaria amministrazione

Secondo la legge [3], per gli atti di ordinaria amministrazione le deliberazioni della maggioranza dei partecipanti sono obbligatorie per la minoranza dissenziente.

Per atti di ordinaria amministrazione si intendono gli interventi finalizzati a conservare il bene comune o a migliorarne il godimento senza però dar luogo a profonde trasformazioni del bene stesso.

Ad esempio, è un atto di ordinaria amministrazione quello volto a riparare le tegole del tetto, oppure a sostituire l’impianto citofonico guasto con uno nuovo di ultima generazione.

Se non riesce a formarsi alcuna maggioranza, ciascun proprietario può ricorrere al giudice, eventualmente anche per la nomina di un amministratore.

Gli atti di straordinaria amministrazione

Per deliberare gli atti di straordinaria amministrazione occorre invece una maggioranza che rappresenti i 2/3 del valore complessivo della cosa [4].

Stesso “quorum” vale anche per le innovazioni, cioè per le opere che comportano un’alterazione sostanziale o un mutamento di destinazione del bene. Si pensi alla trasformazione della casa in ufficio oppure del giardino in parcheggio.

Quando serve il consenso unanime?

È invece necessario il consenso di tutti i proprietari per gli atti di:

  • alienazione, cioè di vendita del bene comune;
  • costituzione di diritti reali, come ad esempio l’usufrutto;
  • locazione di durata superiore a nove anni.

Appartamento in comunione: chi paga in caso di uso esclusivo?

Accade frequentemente che un appartamento, pur essendo di proprietà di più persone, sia utilizzato solo da uno dei titolari, ad esempio perché gli altri sono disinteressati. In casi del genere, chi paga le spese?

Secondo la legge [5], il partecipante che, in caso di trascuranza degli altri partecipanti o dell’amministratore, ha sostenuto spese necessarie per la conservazione della cosa comune, ha diritto al rimborso.

Secondo la Corte di Cassazione [6], le “spese di conservazione” sono quelle necessarie a preservare l’integrità del bene; di conseguenza, non c’è alcun diritto al rimborso per le spese che riguardano il godimento della cosa, cioè quelle sostenute dal singolo proprietario per utilizzare appieno il bene.

Ad esempio, chi vive nella casa che appartiene anche ad altri non può pretendere il rimborso delle spese sostenute per pagare le bollette, in quanto dei servizi si è avvantaggiato solamente colui che ne ha materialmente fruito.

Secondo la Cassazione [7], quindi:

  • le spese per la conservazione, dovute in ragione della appartenenza, si ripartiscono tra tutti in proporzione alle quote;
  • le spese per il godimento, poiché riguardano l’uso per ricavare dalla cosa le utilità che la stessa può offrire, si imputano e si suddividono in proporzione all’uso ed alla misura di esso.

Appartamento in comunione: chi paga in caso di occupazione?

Può infine accadere che uno dei comproprietari decida di occupare stabilmente l’appartamento contro la volontà degli altri titolari. In questa ipotesi, chi paga le spese della casa in comunione?

Anche in questo caso si applicano i principi visti sinora. Secondo la giurisprudenza [8], tuttavia, il comproprietario che non gode dell’appartamento ha diritto al rimborso delle spese condominiali che l’amministratore gli ha chiesto pur non vivendo nell’immobile

Inoltre, il comproprietario che è stato estromesso dal possesso può chiedere un’indennità a titolo di mancato godimento del bene.

Secondo la Cassazione [9], nel caso in cui la cosa comune sia potenzialmente fruttifera, il comproprietario che durante il periodo di comunione abbia goduto dell’intero bene da solo senza un titolo che giustificasse l’esclusione degli altri partecipanti alla comunione, deve corrispondere a questi ultimi, quale ristoro per la privazione dell’utilizzazione pro quota del bene comune e dei relativi profitti, i frutti civili: frutti che, identificandosi con il corrispettivo del godimento dell’immobile che si sarebbe potuto concedere ad altri, possono, in mancanza di altri più idonei criteri di valutazione, essere individuati nei canoni di locazione percepibili per l’immobile.

 
Pubblicato : 1 Settembre 2023 09:45