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Se vuole unire le opposizioni, il Pd deve aprire un dialogo con Renzi

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(@mario-lavia)
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Matteo Renzi «uno di noi». O no? Questo è uno dei problemi strategici cui il Partito democratico dovrebbe dare una risposta. La “pancia” non ha dubbi: no. Tantomeno il gruppo dirigente degli ex seguaci di Nichi Vendola e Pier Luigi Bersani, per non dire di Massimo D’Alema o Rosy Bindi, l’esponente forse più popolare e culturalmente egemone in questo Partito democratico.

Ma Elly Schlein ascolta anche altre voci, sempre che ci sia ancora qualcuno che voglia ragionare. Onore dunque a Marianna Madia che ha posto la questione senza girarci intorno. Deve esserci, il “reprobo” fiorentino in un’alleanza? «Ma assolutamente! In nome di quello che abbiamo fatto noi del Partito democratico in quegli anni, quelli del suo governo, per il Partito democratico e per il Paese. Credo che lui abbia dei valori democratici. Che sia uno di noi».

Discutetene. Intendiamoci bene: nessuno lo chiamerebbe più, come fece il compianto Umberto Minopoli a una Leopolda, “il compagno Renzi”.

Il punto è capire se oggi il Partito democratico voglia assemblare solo appunto i “compagni” o puntare a vincere (perché da che mondo è mondo in Italia i “compagni”, pure quelli più bravi, da soli non vincono). Se, cioè, immagini una nuova ed eterna alleanza strategica con Giuseppe Conte e gli “untorelli”, avrebbe detto Giorgio Amendola, di Nicola Fratoianni, quelli che in queste ore inneggiano a Toni Negri, gran studioso che teorizzò la lotta armata e dunque la delinquenza politica (quanto c’entri questi esito con Baruch Spinoza almeno noi poveri mortali non l’abbiamo capito, avendo riletto diverse volte il pezzo di Massimo Cacciari in morte del filosofo padovano); oppure lavorare a ricucire vecchie ferite per costruire un’alternativa a una premier innamorata da un picchiatello miliardario e infuriata con una nota influencer.

Se prevalesse questa seconda opzione ci sarebbe da chiedersi se l’espulsione del renzismo (cioè della politica di Renzi più che della persona) sia stata un’operazione politicamente corretta o se non sia invece un rigurgito dovuto a un eccesso di errori e illusioni e dunque domandarsi se dopo il riflusso non sarebbe il caso di far subentrare un esame più obiettivo della politica di ieri e di oggi di Matteo Renzi. Se cioè l’esperienza del suo governo con tutte le contraddizioni e gli errori stia dentro l’orizzonte progressista.

Una riflessione seria, di merito, non si è veramente fatta, avendo sacrificato l’analisi al rito della dannazione di quella memoria. Questo pare il senso del discorso di Marianna Madia. E se si stabilisse che non tutta quella esperienza debba andare al rogo, e che oggi è spesso più efficace Renzi di tutti gli altri nella polemica diretta con Giorgia Meloni, e che si è dinanzi a una prospettiva europea che richiederà la convergenza di socialisti e democratici, allora forse si potrebbe discutere tutti insieme sul da farsi.

Ora che è stata insignita da Romano Prodi del ruolo di possibile federatrice, Elly Schlein dovrebbe prendere l’iniziativa di confrontarsi con tutti i partiti di opposizione. Per capire se esiste la possibilità di mettere in piedi un embrione di strategia. Sarebbe un gesto forte. Il segno che qualcosa si muove. Meloni ne avrebbe qualche timore.

Ascolti Fratoianni e Carlo Calenda, ascolti Conte senza subalternità, ma anche Matteo Renzi e i suoi parlamentari, e poi tiri le somme. E lui si dimostri davvero florentin come il Magnifico, che fu «l’ago della bilancia intra principi». Magari con meno spocchia di Lorenzo e più disponibilità a verificare un’opzione sin qui troppo velocemente scartata.

 
Pubblicato : 18 Dicembre 2023 05:45