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Schlein scopre l’arte della mediazione, sembra quasi Franceschini

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(@mario-lavia)
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Non è cambiato l’aspetto esteriore, le sneakers ai piedi, le giacche larghe, i jeans, la voce, il gesticolare, l’incedere spedito. È cambiato il posizionamento politico, la collocazione al Nazareno. La ragazza che voleva occupare il Partito democratico ora è diventata l’adulta leader che guida “il partito” allo stesso modo dei segretari, da Palmiro Togliatti, si parva licet, in poi: cioè dal centro. La leader più movimentista che “il partito” abbia mai avuto si mostra ora accorta come un funzionario cresciuto nell’oscuro apparato del Pci o allevato in una corrente di maggioranza della Dc.

Giorno dopo giorno, Elly Schlein pare almeno in parte aver imparato l’arte di tenere insieme gli opposti, scoprendo l’arte della mediazione e persino dando da bere agli assetati di potere, con un occhio al manuale Cencelli interno e l’altro ai guanti di velluto da usare con i partiti “alleati” – o presunti tali.

Guardate Elly stretta tra i sindaci, gli unici che ormai portano voti, e tutti gli altri, il partito è diviso e dunque si decide di non decidere, nulla di meglio che una bella commissione per discutere di questo terzo mandato, o guardatela come soppesa le parole sulla politica estera, preventivamente discusse con i big della destra e della sinistra interne, appuntate su carta mentre sul resto va a braccio. Guardatela mentre non affonda mai il colpo su quel provocatore di Giuseppe Conte, «siamo testardamente unitari», guardatela come lima al telefono la mozione sul Medio Oriente con la dirimpettaia Giorgia Meloni, ora verifico e ti richiamo, ok, bene così, astenetevi sul nostro documento.

Solo sul maledetto premierato è intransigente, non tratta: per ora almeno, poi sarà costretta dalla realtà. E dunque esattamente dopo un anno tribolato di leadership, Elly si è fatta sottilmente più democristiana, è diventata una “Franceschina”, così che adesso tutti si sentono (relativamente) rassicurati da una segretaria che non sbatte mai i pugni sul tavolo, state buoni che c’è gloria per tutti.

Le liste per le europee? Calma ragazzi, ci saranno gli esterni ma anche i dirigenti, lo spazio si trova. Si candida? Sì ma non come capolista così sono contenti tutti, chi la vuole in lista magari per massacrarla meglio in caso di disfatta, chi la vuole perché pensa che porterà voti, e anche chi non vuole il partito del leader e infatti lei starà dietro, numero due, numero tre: metafora di quel vado-non vado che la salda idealmente a Nanni Moretti e un po’ anche al Walter Veltroni del famoso «ma anche», che poi altro non era che la versione buonista del centralismo leaderistico.

Chi l’avrebbe mai detto che la radical col sacco a pelo davanti al Nazareno si sarebbe trasformata nella rassicuratrice di un partito ontologicamente nevrastenico, che alla sanguigna “americana” sarebbe toccato in sorte il destino di distribuire bromuro a piene mani a dirigenti bizzosi, a parlamentari coi nervi a pezzi, di soddisfare le ambizioni di questo e a calmare le ansie di quello? Pare disporre, lei che non ha mai frequentato “il partito”, del giusto savoir-faire, con il paradosso di escludere progressivamente tutti dalla stanza dei bottoni dove c’è lei – la fida Marta Bonafoni e Flavio Alivernini il portavoce, e non si sa chi sia il prediletto, mentre tutti gli altri fanno anticamera per sapere cosa pensi Elly, magari lei non sta pensando niente di particolare e quelli si agitano e gli sudano le mani.

Se può, Elly concede. All’ansioso Nicola Zingaretti ha dato addirittura una Fondazione culturale, a sindaci e governatori ha lasciato la porta socchiusa per un terzo mandato, gli ex sindaci andranno a Bruxelles, lascia chiacchierare i Boccia, gli Orlando, le Boldrini, ascolta Guerini e Bonaccini, sempre con il gran sorrisone. Sì, la “Franceschina” è diventata grande ma forse era più intrigante quella di prima, chissà che ne pensa “il partito”.

 
Pubblicato : 21 Febbraio 2024 05:45