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La sfida populista e la difficile arte del democristiano

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(@francesco-cundari)
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Il successo degli estremisti di Afd alle elezioni in Turingia e Sassonia si intreccia in vari modi con la formazione della nuova commissione presieduta da Ursula von der Leyen, riproponendo per l’ennesima volta uno dei problemi più antichi (cioè irrisolvibili) della politica interna e internazionale: stabilire dove passi il confine tra un’utile operazione di allargamento, inclusione, coinvolgimento di nuove forze nelle responsabilità di governo (come in Italia è avvenuto con qualche successo per gran parte della cosiddetta Prima Repubblica) e un cedimento sconsiderato a formazioni estremiste capaci di trascinare l’intero sistema in una spirale autodistruttiva (vedi ad esempio come il progressivo assorbimento dei movimenti più estremisti nel partito repubblicano ha finito per trascinare la democrazia americana sull’orlo del collasso).

È il dilemma con cui si confronta oggi in Germania la Cdu, alla quale la leader di Afd, Alice Weidel, profetizzava ieri il destino della Democrazia cristiana italiana, qualora si ostinasse a escludere qualunque alleanza di governo con l’estrema destra. Ma è anche vero, come ricorda oggi sulla Stampa Marco Follini, che proprio la Dc, in particolare con Alcide De Gasperi e Aldo Moro, seppe fare egregiamente i propri interessi e anche quelli del paese scegliendo sempre una «rigorosa via di mezzo». Senza dimenticare come all’epoca «De Gasperi arrivò a incrociare politicamente i ferri persino con il Papa (e con don Sturzo) quando gli venne prospettata la scelta di allearsi a Roma con tutte le destre dell’epoca pur di sbarrare il passo del Campidoglio alle liste del fronte popolare». Ben consapevole delle possibili conseguenze: «Se avesse perso, sarebbe stato travolto. Avendo vinto, fu solo maltrattato (dal Pontefice stesso, che gli negò un’udienza)».

Con lo stesso dilemma si deve confrontare oggi – sia pure, forse, con qualche tormento interiore in meno – Ursula von der Leyen. Ieri il quotidiano tedesco Welt anticipava una generosa apertura della presidente della Commissione alle richieste di Meloni, con vicepresidenza esecutiva e pesanti deleghe economiche per Raffaele Fitto. Una scelta che rappresenterebbe un indubbio successo per la nostra presidente del Consiglio, consentendole di zittire anche i tanti critici (ai quali peraltro continuerei a unirmi) che ne avevano criticato le mosse, in particolare il voto contrario proprio a Von der Leyen, accusandola di isolarci in Europa.

Ovviamente non so come andrà a finire la partita. Sui giornali di oggi c’è anche chi, come David Carretta sul Foglio, invita alla prudenza, parlando di un possibile ballon d’essai. Personalmente continuo però a pensare che sulla disponibilità di Von der Leyen nei confronti di Meloni – e anche della stampa internazionale, dall’Economist a Die Zeit, che ha a lungo caldeggiato una simile apertura – pesi anche una diversa considerazione dell’Italia e della politica italiana, rispetto ad altri paesi (tipo la Germania).

L’idea che in fondo, per dir così, a convivere con qualche genere di populismo gli italiani sarebbero abituati, almeno dai tempi di Berlusconi, per non andare troppo in là con i possibili precedenti storici. E insomma, per riassumere il ragionamento in modo certamente sbrigativo e forse anche ingeneroso, meglio a loro che a noi.

 
Pubblicato : 4 Settembre 2024 07:37