forum

La sfida più grand...
 
Notifiche
Cancella tutti

La sfida più grande per l’economia israeliana

1 Post
1 Utenti
0 Reactions
55 Visualizzazioni
(@federico-bosco)
Post: 13
Eminent Member Registered
Topic starter
 

La risposta militare di Israele agli attentati del 7 ottobre sta mettendo alla prova la resistenza dell’economia israeliana come non è mai avvenuto in precedenza. Le chiamate militari, combinate con le chiusure parziali di uffici, cantieri, ristoranti e locali hanno innescato un crollo improvviso dell’attività economica che coinvolge tutti i settori, dalla finanza all’agricoltura, rievocando l’impatto dei lockdown del Covid-19. Le Forze di difesa israeliane hanno mobilitato trecentosessantamila riservisti, una cifra record pari all’otto per cento dell’intera forza lavoro dello stato ebraico. Una percentuale che risulta molto più alta nel settore dell’high tech, la punta di diamante della start-up nation che contribuisce al diciotto per cento del Prodotto interno lordo, dove la presenza di personale in età militare richiamabile (fino a trentacinque-quaranta anni) è maggiore. Ma il problema non si limita ai soldati richiamati in servizio.

Secondo le stime, quasi un milione le persone – tra il quindici e il venticinque per cento degli occupati – è de facto fuori dalla forza lavoro. Circa un terzo sono i riservisti mobilitati, un terzo i coniugi e genitori dei riservisti (che devono occuparsi della famiglia e quindi lavorano meno ore), e un terzo il personale delle imprese colpite direttamente e indirettamente dalla guerra, come i centoventimila sfollati nel sud e nel nord di Israele, i dipendenti delle fabbriche danneggiate e dei cantieri fermi, e chi lavorava nelle attività sospese per assenza di clienti come i ristoranti, i locali, le attività del tempo libero e del turismo.

La guerra con Hamas ha anche causato il blocco totale degli ingressi per lavoro dei palestinesi di Gaza e della Cisgiordania, privando l’economia israeliana rispettivamente di ventimila e centoquarantamila lavoratori, per lo più impiegati nel settore delle costruzioni. A uscire dalla forza lavoro è anche una parte significativa di immigrati asiatici, decine di migliaia di persone impiegate maggiormente come badanti e nell’agricoltura, molti di loro nei kibbutz e moshav colpiti degli attentati del 7 ottobre. Nell’attacco sono morti almeno ventiquattro asiatici, e a Gaza sono prigionieri cinquantaquattro ostaggi thailandesi e una dozzina tra nepalesi, filippini, cingalesi e cinesi.

Le prime stime sull’impatto macroeconomico sono preoccupanti. Secondo Mizrahi-Tefahot, uno dei principali istituti di credito israeliani, lo Stato di Israele sta perdendo l’equivalente di 2,5 miliardi di dollari al mese.

Il sistema di pagamenti Shva ha registrato che nei giorni successivi all’inizio della guerra i consumi privati sono diminuiti di quasi un terzo rispetto alla media settimanale del 2023. La Banca Leumi ha rilevato che il calo degli acquisti con carta di credito è più grave di quello vissuto da Israele nel 2020 al culmine della pandemia. Quasi la metà delle cinquecento aziende dell’high-tech ha segnalato l’annullamento o il rinvio di un accordo di investimento.

Bank Hapoalim stima che il costo economico del conflitto ammonterà a circa l’1,5 per cento del Pil, mentre JP Morgan sostiene che nell’ultimo trimestre di quest’anno l’economia israeliana potrebbe contrarsi dell’undici per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. «Misurare l’impatto della guerra rimane difficile sia a causa dell’incertezza ancora elevata sulla portata e la durata del conflitto, sia per la mancanza di dati aggiornati con frequenza», scrivono gli analisti di JP Morgan. «I recenti conflitti di Israele – inclusa la guerra con Hamas del 2014 e la guerra con gli Hezbollah del 2006 – avevano a malapena influenzato l’attività economica, ma il conflitto attuale ha già avuto un impatto molto maggiore, sulla sicurezza e sulla fiducia interna», conclude il rapporto.

Il governo israeliano ha promesso un programma di aiuti «senza limiti», superiore a quello implementato durante la pandemia. Ma nonostante si tratti di un piano da un miliardo di dollari solo per ottobre, che dovrebbe diventare il triplo nei mesi successivi, è stato giudicato insufficiente da diversi membri del Parlamento (anche della maggioranza) e dagli imprenditori.

Israele ha i fondamentali per farcela anche stavolta. La sua economia non è solo la più solida del Medio Oriente, è anche tra le più performanti dei paesi occidentali. Il rapporto debito/Pil è del sessanta per cento e nel 2022 ha segnato un surplus di bilancio dello 0,6 per cento, degno delle migliori economie dell’Eurozona. Prima della guerra le stime di crescita per il 2023 erano del tre per cento, la disoccupazione a settembre si fermava al 3,2 per cento. Inoltre, la banca centrale israeliana ha accumulato duecento miliardi di euro di riserve in valuta straniera, e storicamente lo stato ebraico ha sempre superato le crisi economiche causate dalle guerre con un’economia più forte. 

Tuttavia, stavolta la sfida è senza precedenti. L’economia di Israele non è mai stata sviluppata, liberale e globale come negli ultimi vent’anni; un’era segnata da un’indiscussa supremazia militare e dalla normalizzazione delle relazioni, formali o informali, anche con paesi ostili o diffidenti nei confronti dello stato ebraico. È possibile che Israele non sarà in grado di tornare rapidamente all’apertura internazionale degli ultimi anni, che ha permesso al paese di ricevere una quantità mai vista prima di investimenti esteri, di aprirsi al turismo di massa, e di non subire boicottaggi significativi. 

La Banca centrale d’Israele ha ridotto la stima di crescita per quest’anno dal tre al 2,3 per cento, presupponendo però che la guerra sarà contenuta alla Striscia di Gaza. Il governatore Amir Yaron per adesso si oppone ai tagli dei tassi d’interesse, poiché si aspetta una rapida ripresa. «In passato abbiamo saputo riprenderci dai periodi difficili e tornare rapidamente alla prosperità», ha detto Yaron. «Non ho dubbio che sarà così anche stavolta». Ma a determinare realmente le conseguenze di lungo termine sull’economia israeliana saranno la durata e, soprattutto, la portata regionale del conflitto.

 
Pubblicato : 7 Novembre 2023 05:45
Tag argomenti