La profezia di Zalone, e la tragica intervista di Sangiuliano con sbrego muliebre in testa
Per tutta l’intervista del ministro Sangiuliano al Tg1 – un’intervista in cui gli si rompe la voce due volte, in cui agita parecchissimo dei fogli con dei biglietti aerei a prezzi totalmente fuori mercato sottolineati in rosso, in cui dice che non lascerebbe mai la moglie come se questa fosse una notizia in una repubblica fondata sull’adulterio – gli italiani temo abbiano pensato soprattutto: ma a noi cosa ce ne frega di chi ha pagato i biglietti, dicci piuttosto delle corna.
Per tutta l’intervista del ministro Sangiuliano al Tg1 – un’intervista sullo scandalo della non consulenza su Pompei d’una tizia che si occupa di abiti da sposa appunto a Pompei – gli italiani temo abbiano pensato soprattutto alla profezia del giovane Checco Zalone a “Zelig”: «Ehi, sono Fragola 86 e sono di Pompei: tu, tu chi sei?» «Uè, sono Banana33, ma 33 l’età non è, capisci a me. Da dove digiti?» «Te l’ho detto, ti sei già scordato?» «Io pensavo che Pompei era un verbo al passato».
Per tutta l’intervista del ministro Sangiuliano al Tg1 – un’intervista eccezionalmente mandata in onda fuori dal Tg1, facendo slittare i pacchi – io ho pensato soprattutto: ma quello sbrego che ha in fronte gliel’ha fatto la moglie? Lanciandogli cosa? Aveva un cerotto e se l’è tolto per registrare sperando il taglio arrossato si notasse meno del cerottone?
Ma ho pensato anche: quella sugli occhiali è una telecamera? (No, era la decorazione della montatura, ma da quando Maria Rosaria Boccia – che Sangiuliano chiama «dottoressa», perché in Italia siamo tutti medici e quelli che parlano di noi sono tutti parcheggiatori – ha fatto dei video a Montecitorio con la telecamera degli occhiali, la paranoia di venire sempre spiate, sempre filmate, sempre registrate si è moltiplicata nelle persone normali, figurarsi in noialtre con la coda di paglia, figurarsi in noialtre che abbiamo visto concretizzarsi gli occhiali a raggi x che quand’eravamo piccole si vendevano nell’ultima pagina del Monello).
Soprattutto, arrivati al punto «Credo che tutti gli italiani che hanno relazioni di tipo affettivo scambino chat», in risposta alla domanda su cos’altro potrebbe uscire su di lui dagli archivi della signora Boccia, ho pensato: ministro, mica le avrà mandato degli autoscatti alla Anthony Weiner. Ministro, mi dica di no pure se è sì.
Moltissimi anni fa conobbi un uomo bruttino ma di gran successo presso le femmine, per le ragioni per cui gli uomini adulti hanno successo presso le femmine, ragioni che possono andare dalla parlantina ai soldi, dalla posizione lavorativa al senso dell’umorismo (il cliché femminile «voglio un uomo che mi faccia ridere» non ha eguali nel desiderio maschile: una donna che ti fa ridere la vedi perlopiù come sorella, non come una che vuoi sbattere al muro).
Tuttavia quell’uomo era un coacervo di complessi rispetto al genere femminile che mi pareva inspiegabile, finché capii una delle cose più importanti che abbia compreso in giovinezza: al liceo non gliel’avevano data mai.
È un’eventualità che vale solo per i maschi, perché una liceale che voglia che qualcuno frequenti le sue mutande deve alzare un mignolo perché si mettano in fila in dieci (è un divario tra i sessi che durerà tutta la vita, compensato dal vantaggio maschile nel diventare più fotogenici invecchiando, una parabola per le femmine rarissima).
Il tizio che avevo conosciuto da adulto rubacuori, dunque, al liceo era stato solo bruttino, non aveva ancora quei vantaggi che ti concedono la vita, il passare del tempo, e persino il tuo stesso essere bruttino: se sei bruttino ti applichi, se sei bruttino sviluppi altre qualità, se sei bruttino cerchi d’essere almeno interessante.
E tuttavia, una volta diventato interessante e spiritoso e di eloquio mirabile, non c’è successo con le donne in età adulta che possa farti superare la frustrazione d’essere stato quello cui al liceo non la davano. Neanche se a quaranta ti acclamano gli stadi, questo basterà a consolarti dell’essere stato il sedicenne che vedeva gli altri limonare nei bagni della scuola e mai veniva il suo turno d’essere il limonatore.
Naturalmente questo non c’entra nulla col ministro Sangiuliano, che al liceo era certamente il più desiderato della scuola e non mi permetterei mai d’inferire dalle vicende riportate dai giornali in questi giorni un suo bisogno di rivalsa: è solo una riflessione generale sugli uomini, le donne, il desiderio, il potere.
Non c’entra nulla col ministro Sangiuliano così come, naturalmente, Maria Rosaria Boccia non c’entra con l’archetipica categoria femminile di quelle che imparano presto che bisogna portarsi il bicchiere da casa. Le ragazze ambiziose, le ragazze che vogliono stare alla festa giusta, le ragazze che non hanno ereditato il diritto a esserci: quelle, le riconosci perché conoscono il trucco del bicchiere.
Lasci il cappotto in macchina, tiri fuori la flûte dalla borsa, ti dirigi con sicumera all’entrata. Nessun servizio di sicurezza ti fermerà per controllare se il tuo nome sia in lista, daranno per scontato tu sia uscita a fumare una sigaretta portandoti dietro lo champagne che ti era già stato servito giacché eri legittimamente entrata. Un bicchiere di scorta e sei un’invitata, tecnicamente non hai neanche mentito, sono loro che ti hanno creduta tale.
Una volta dentro, ti procurerai abbastanza contatti da essere, la volta successiva, invitata davvero, se sei sveglia – e di solito lo sei, se sei una che ha pensato di portarsi il bicchiere da casa per avere accesso a un’occasione. L’occasione d’incontrare uno che poi ti omaggerà d’un Roma-Bari da settecentocinquantanove euro.
Il mondo si divide in quelle che non si sono mai imbucate a una festa giacché la vita con loro è stata generosa, ha dato loro eredità da spendere e stage in cui impratichirsi dei settori senza bisogno di guadagnare subito per mantenersi, ha dato loro amici di famiglia che le invitassero qua e là e vantaggi competitivi inimmaginabili per le Jay Gatsby non ben nate; e nelle altre, che hanno imparato a cavarsela. Le seconde sono più imbarazzanti, più oggetto di pettegolezzi, e quindi assai più interessanti.
Lo scandalo riguardo al contratto di Maria Rosaria Boccia con cui si sta baloccando la stampa italiana da una settimana – si comportava come una consulente del ministero, ma non era stata contrattualizzata come tale – è uno scandalo ridicolo, è uno scandalo che può trovare scandaloso solo chi non ha mai avuto a che fare con la burocrazia italiana e non sa che i contratti quasi sempre arrivano a lavoro finito.
Un’amica mi manda i post della Boccia da settimane, e io da settimane le dico ma figurati, sei proprio romana, pensi sempre ci sia qualcosa sotto (i romani, di fronte a ogni ascesa inspiegabile, dicono di chiunque «ha i dossier»). Poi la Boccia ha davvero cominciato a pubblicare le mail e le registrazioni, mi sono ricordata di quando ci sembrava sconvolgente che Patrizia D’Addario si fotografasse nel bagno di casa Berlusconi, ho pensato a quanta strada abbiamo fatto nell’impudicizia, e mi sono scusata con la mia amica.
Ieri sera il direttore del Tg1 ha chiesto a Sangiuliano a cosa alludesse la Boccia dicendo che la voce che ha chiesto di stracciare il contratto era femminile, e lui ha detto che gliel’ha detto sua moglie di «interrompere ogni rapporto con questa persona» (echi del «that woman» di Bill Clinton, non di ottimo auspicio), e lui non sa se la Boccia li abbia ascoltati. Ma nel senso che era nascosta in un armadio? Che gli ha messo le microspie in casa? «Io non registro nessuno», ha detto, spiegando che aveva interrotto la relazione quando aveva capito che la Boccia invece registrava tutti e tutto. Sembrava quel funzionario Rai del primo maggio, quello che fornì a Fedez un’intera telefonata da far sentire all’intero Instagram, chi se lo sarebbe potuto aspettare che registrasse, ma tu pensa.
O, se vogliamo fare un riferimento più di nicchia, sembrava il vicepresidente in “The West Wing”, quando la sua amante si mette a scrivere una biografia con dentro i segretucci di stato che lui le ha raccontato per far vedere che era davvero importante, e il presidente gli chiede «Ma non ti aveva dato l’impressione d’essere una che chiacchiera?», e lui risponde «Non lo sembrano mai» (potremmo dedurne che, nella vita come negli sceneggiati, gli uomini di potere non capiscono niente di niente; oppure, che nulla rende cieco un uomo quanto avercelo barzotto).
Tre cose non posso perdonare a Sangiuliano. Una è l’essere comparso in tv a dire «La prima persona a cui devo chiedere scusa, perché è una persona eccezionale, è mia moglie, poi chiedo scusa a Giorgia Meloni, che mi ha dato fiducia, per l’imbarazzo», con la voce che gli si rompeva sempre più, all’ora di cena, facendomi fare tardi per gli spaghetti alle vongole e costringendomi a smontare l’articolo: ministro, i biglietti sovrapprezzati pazienza, le corna pazienza, ma non sarò certo io l’italiana che le perdona d’averla fatta lavorare.
Un’altra è avermi costretta a guardare i talk-show. Ieri, mentre Maria Rosaria Boccia postava su Instagram la sua insofferenza per le inesattezze dette da «una persona che stimo e voglio bene», e tutti ridevano della sua sintassi, io recuperavo un talk della sera prima. Amici che sanno la mia tendenza a perdermi le cose mi avevano segnalato che il conduttore, percependosi Fiorello, aveva letto in diretta i messaggi che in diretta gli mandava la signora Boccia.
Il programma aveva un inviato fuori dal ministero della cultura, e l’inviato usava formule da bocciatura in quinta elementare come «almeno che». Il problema non è Maria Rosaria Boccia, il problema è che l’italiano non lo sa più nessuno, il problema è che interi settori del lavoro culturale parlano un italiano simile a quello di Rosalia Cefalù, la moglie del barone Fefè in “Divorzio all’italiana”.
La terza e più importante è che io mi ero baloccata tutto ieri con la commedia arcitaliana ideale, quella che avrebbe dovuto girare Paolo Virzì, quella in cui Maria Rosaria l’aveva promessa a Gennaro e lui aveva perso la testa senza bisogno di consumare, quella in cui non era successo niente e lui si era rovinato la vita solo per un desiderio, quella in cui la moglie l’aveva mandato a dormire sul divano senza che il poverino avesse neppure avuto accesso alle mutande della dottoressa.
Avevo anche già la prima scena, il cui realismo viene rafforzato da quei fogli che sventolava alla tele, quelli con le stampate dei biglietti. C’era, chiuso in una macchina sotto la pioggia, questo omino di potere in balìa del desiderio senile che, chino su un attrezzo elettronico, fa i biglietti per la sua bella, che poi lo cazzia perché non ha inserito il numero di Millemiglia, o come si chiamano adesso i punti di Ita. Era una commedia con un forte messaggio sociale, e il messaggio era che le relazioni adulte le hanno rovinate le app, e com’era tutto più dignitoso quando l’organizzazione dei viaggi con speranza d’adulterio si delegava alle segretarie.
E invece niente, lui arriva e dice che c’è stata una relazione sentimentale, che le ha detto che lui era disposto a tutto ma non a lasciare la moglie, che può capire la delusione, e il direttore del Tg1 gli dice ma lei l’ha chiamata ieri, ma perché l’ha chiamata, e lui dice «L’ho chiamata per dirle di essere corretta e precisa nelle sue affermazioni», ed è subito filmetto di questo secolo sulle zitelle disperate che vogliono spiegazioni altrimenti dicono che hai fatto ghosting, è subito roba non all’altezza della grande commedia all’italiana, ma sei scemo che la chiami quando ormai è evidente che quella registra tutto, pubblica tutto, ti sputtana con tutto, non bisogna toglierti il ministero, Sangiulia’: bisogna toglierti il cellulare e la carta di credito. Per l’utilizzo dei quali dovresti chiedere scusa a tua moglie assai prima che per le corna.
Della Meloni, il ministro ha riferito «Mi ha detto: sii sempre sincero e di’ sempre la verità». Chissà se ha anche aggiunto «Sii te stesso» e «Hai fatto un bel percorso»; mi piace immaginare Giorgia che guarda Gennaro col disprezzo con cui Filippo Bisciglia, a “Temptation Island”, guardava Lino. Mi piace pensare che l’abbia congedato, la Meloni, e subito dopo abbia telefonato alla sua psicanalista, e le abbia chiesto: dottoressa, ma perché tendo a scegliere uomini senza alcun senso del loro posto nel mondo?
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