La prima volta del breaking alle Olimpiadi
La maggior parte degli sport, ridotti alla loro essenza, sono una sequenza di gesti tecnici e atletici, preparati a tavolino, studiati, o magari improvvisati all’ultimo per sorprendere un avversario. Gli sportivi più bravi sono quelli che vanno più veloce, più in alto, più forte, come suggerisce il motto olimpico: citius, altius, fortius. In questa prospettiva, il breaking è uno sport olimpico proprio come gli altri. Al netto dello scetticismo che circonda questa disciplina a Parigi. I corpi dei breaker si contorcono, si piegano, esplodono in movimenti fulminei, sfidano la gravità e il tempo, compongono coreografie spettacolari a ritmo di musica.
La danza di Bboys e Bgirls – sempre in gara con dei nickname – è un concentrato di highlights, fatto di top rock (in posizione eretta) e down rock (a terra), power move (rotazioni e spin) e freeze, suicide e flare. Tutto da eseguire sulla base che mette il DJ. Un’arte performativa che ruba l’attenzione nello scroll di TikTok o tra i reel di Instagram proprio come i dribbling di Kylian Mbappè, le schiacciate di LeBron James o i volteggi di Simone Biles.
Il breaking arriva ai Giochi Olimpici come unico nuovo sport di Parigi 2024, con trentadue atleti, sedici uomini e sedici donne (tra queste c’è l’italiana Antilai Sandrini, nota come Bgirl Anti). Ogni sfida, nota in gergo come battle, è al meglio di tre round da un minuto. I giudici valutano le performance assegnando i punteggi in base alla musicalità, al vocabolario dei movimenti, all’originalità, e ovviamente alla tecnica e all’esecuzione, quindi alla fluidità dei movimenti e alle transizioni con cui si passa da un movimento all’altro. Un po’ come accade già in discipline che vediamo da sempre alle Olimpiadi, come la ginnastica, i tuffi o il nuoto artistico – quest’ultimo inserito nel programma a partire dal 1984, dietro le critiche di chi lo vedeva come troppo performativo e poco agonistico.
Si gareggia il 9 e il 10 agosto, al parco urbano di Place de la Concorde, dove si svolgeranno tutti gli sport più urban (basket 3×3, Bmx freestyle, skateboard e breaking). Ci saranno quattro gironi composti da quattro breaker: i primi due di ogni girone passeranno alla fase a eliminazione diretta e ci saranno quindi quarti di finale, semifinali e finali.
«Speriamo che possa essere un trampolino di lancio per tutte le altre discipline sportive che fanno parte della nostra Federazione», dice a Linkiesta la presidente della Federazione Italiana Danzasportiva e Sport Musicali Laura Lunetta. «Sarà veramente un momento di massima visibilità, un aumento di credibilità che porterà grandissimi vantaggi sia diretti, quindi con sponsorizzazioni e altro, sia in modo più intangibile, con l’attenzione di un grande pubblico verso questa disciplina».
Il breaking è una delle colonne portanti dell’hip hop, proprio come il rap, il writing e il Djing. È nato all’inizio degli anni Settanta tra le comunità afroamericane e latine del South Bronx, a New York. Negli anni Ottanta è diventato famoso grazie alla Rock Steady Crew, ai Dynamic Rockers e ai New York City Breakers, che hanno inventato nuovi movimenti, nuove forme, nuovi stili. È un mondo molto distante dalle grandi istituzioni sportive globali. Nella community molti vedono le competizioni come un imborghesimento che sfregia la purezza di un’arte, molti praticanti e appassionati non apprezzano questa svolta sportiva che stravolge e snatura la vocazione originaria del breaking. Altri sostengono che l’hip hop sia già eccessivamente mercificato, commercializzato e sfigurato.
«Non credo che quello che vedremo a Parigi sia una rappresentazione accurata di cosa sia il breaking», aveva detto Odylle Beder, una Bgirl di Brooklyn conosciuta come Mantis, al New York Times lo scorso autunno. «Il breaking è molto più organico e il modo in cui si svolge alle Olimpiadi è tipo “Fai un round. Fermati, guarda qual è il tuo punteggio, ora fai un altro round”. Ma il vero breaking non è così».
Lo scetticismo dei puristi si scontra però con l’ambizione di chi vorrebbe dare visibilità a questa forma d’arte, anche a costo di perdere una parte della sua natura urban. Come dopotutto è già successo allo skateboard alle Olimpiadi di Tokyo nel 2021. «Questa è un’opportunità per noi di crescere e istruire le persone sul breaking», ha detto a Nbc Jeffrey Louis, noto come Bboy Jeffro, numero cinque al mondo. Ed è stato proprio il fondatore dei New York City Breakers, Michael Holman, a immaginare per primo l’introduzione breaking alle Olimpiadi. Nel 1983. In una lettera al Cio descriveva «la breakdance come un futuro sport olimpico e noi siamo pionieri nel rendere questo sogno una realtà».
Quest’evoluzione può sembrare naturale o forzata, ma è già una realtà. Perché ogni giorno il breaking diventa un po’ più disciplina e un po’ meno arte performativa. Sempre più spesso Bboys e Bgirls sono seguiti da allenatori e preparatori, si allenano e fanno attenzione a tutti i dettagli che compongono le loro performance. Proprio come i migliori atleti del mondo, di qualsiasi disciplina.
«Sappiamo che il breaking nasce dalla cultura hip hop e danza urbana quindi se vogliamo era la meno organizzata in termini di sistema di giudizi, criteri di qualificazione a delle competizioni ufficiali, e quindi ha dovuto fare dei grandi passi in avanti per potersi organizzare in breve tempo per entrare nell’elenco degli sport olimpici», dice ancora Lunetta. Questa velocità rivela che probabilmente il Cio non ha seguito proprio alla lettera i vecchi valori decoubertiniani: visibilità, attenzione mediatica, capacità di attrazione di nuovi sponsor hanno permesso al breaking di sorpassare a destra diversi sport che attendono di entrare nell’elenco delle discipline olimpiche da tempo, come il cricket (che ci sarà a Los Angeles 2028), ma questo non vuol dire necessariamente che una singola edizione dei Giochi sia intaccata da una disciplina che esce dal tracciato, diversa da tutte le altre. Anzi, questa può portare un elemento di novità che non guasta mai.
Di fronte a un’arte che diventa sport può nascere una specie di guerra santa tra i suoi praticanti. Non è un caso che la proposta ufficiale per portare il breaking ai Giochi non sia arrivata dalla community. Ci ha pensato la World DanceSport Federation, l’organismo di governo della danza sportiva, che da tempo ha in qualche modo messo le mani sulla disciplina nonostante le proteste di molti praticanti. Negli ultimi anni il successo e la popolarità del breaking sono cresciuti moltissimo. Molti Bboys e Bgirls si filmano e pubblicano i loro contenuti sui social, trovando follower e sponsor qui e lì. Anno dopo anno aumenta il pubblico che segue i grandi eventi, con le battle che si svolgono in giro per il mondo – gli appuntamenti più importanti e seguiti spesso vengono finanziati da grandi multinazionali (come ad esempio Red Bull).
La nuova attenzione ricevuta da questa disciplina ha convinto la Wdsf e il Cio a fare un tentativo. Prima con i Giochi olimpici giovanili di Buenos Aires del 2018, dove le gare sono state seguite sui social da oltre 2,5 milioni di spettatori, e poi come sport provvisorio per le Olimpiadi di Parigi, già non confermato per Los Angeles del 2028. «Breaking, skateboard, arrampicata sportiva e surf contribuiscono a portare le Olimpiadi fuori dagli stadi, raggiungere un pubblico nuovo e collegare sport e cultura, contribuiscono a rendere il programma più equilibrato a livello di genere e più urbano, e offrono l’opportunità di entrare in contatto con le giovani generazioni», ha dichiarato il presidente del Cio Thomas Bach.
Per il breaking è una fase di transizione, l’inizio di un progetto di sviluppo di lungo periodo. Inevitabilmente è un momento delicato, ma con la giusta visione prospettica si possono unire la cultura e la tradizione con l’agonismo e la modernità della dimensione sportiva: «Bisogna avere una visione – conclude la presidente Lunetta –, sapere che si può fare un’integrazione che non snaturi il breaking, mantenendo il suo punto di forza, cioè l’espressione artistico-culturale, aggiungendo la componente sportiva e agonistica di chi vuole sempre migliorare, superare i propri limiti e alzare l’asticella proprio come fanno i grandi atleti di tutte le discipline. Così il breaking può diventare ancora più bello, più interessante, più godibile per il pubblico. E questa deve essere l’ambizione che dobbiamo avere come sportivi e come dirigenti».
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