forum

La lotta dei giovan...
 
Notifiche
Cancella tutti

La lotta dei giovani ucraini per difendere la loro identità dal neocolonialismo russo

1 Post
1 Utenti
0 Reactions
18 Visualizzazioni
(@simone-matteis)
Post: 1
New Member Registered
Topic starter
 

Secondo i giovani dell’Ucraina, riconoscersi nella bandiera gialla e blu è uno state of mind. «Essere ucraini significa vivere da persone libere mentre essere russi non dipende dalla lingua che si parla o dal colore del passaporto, quanto dalla mentalità e dalla visione del mondo». Modi di vivere e di pensare che appaiono diametralmente opposti. Bohdan ha ventotto  anni e vive con la moglie e la figlia a Poltava, una città a metà strada fra la sua Kharkiv e la capitale Kyjiv. Dopo settimane di relativa tranquillità, di recente i missili russi sono tornati a fare strage anche qui, in questa zona del Paese in cui la guerra viene percepita come un pericolo costante ma un po’ defilato, almeno rispetto alle aree del fronte. Più di quaranta morti e oltre centottanta feriti è il bilancio, drammatico, dell’attacco a una scuola, un ospedale e un centro militare.

«Mio nonno è russo e la mia famiglia ha parenti in Bielorussia, ma sono totalmente diversi da noi», dice Bohdan. «Non voglio avere nulla a che fare con la Russia: per chi vive lì, attaccare l’Ucraina o la Georgia è un pensiero normale, qualcosa che non necessita nemmeno di un minimo di rielaborazione logica». Quello delle famiglie spaccate dalle visioni diverse e poi dalla guerra è un tema ricorrente nella vita di tanti ucraini, fin dall’inizio delle ostilità nel 2014: «Ricordo che dieci anni fa, subito dopo l’invasione, i miei genitori ebbero delle discussioni fortissime con i nostri parenti in Russia perché ci avevano proposto di trasferirci da loro. Pensavano che fosse meglio vivere sotto il regime di Putin, mentre per noi era l’esatto opposto, siamo cittadini indipendenti in un Paese libero. Da quel momento abbiamo interrotto ogni forma di comunicazione».

Poi un collegamento con la Storia, quella con la esse maiuscola. «Mi rendo conto che è tutta una questione di mentalità: noi cosacchi siamo persone libere». Il riferimento è ai Cosacchi di Zaporizhzhya, considerati in tutta l’Ucraina simbolo di indipendenza dal giogo straniero: polacchi, ottomani e russi dovettero scontrarsi per oltre duecento anni contro il popolo cosacco riunito nel Sič, un’entità amministrativa che aveva come centro nevralgico la fortezza affacciata sul fiume Dnepr, dirimpetto alla diga di Zaporizhzhia che l’anno scorso fu gravemente danneggiata dalla Russia.

Simone Matteis

Storia. Quella che, da che mondo è mondo, viene scritta dai vincitori. «Suona come una frase fatta ma è la pura verità. Noi ucraini non vogliamo che nessuno scriva per noi la nostra storia», afferma Tetyana, ventiquattro anni, collega di Bohdan. Entrambi lavorano a Poltava come personale locale per conto della fondazione Avsi, un’organizzazione umanitaria presente in quaranta Paesi del mondo che, nella fattispecie, opera in Ucraina dal 2014 finanziando a oggi tredici progetti in ambiti che spaziano dalla protezione dell’infanzia all’educazione, fino all’empowerment femminile e il sostegno all’agricoltura.

Lavorare come operatore umanitario consente a Bohdan di essere esentato dalla leva, ma viaggiando molto per lavoro non è raro che ai checkpoint allestiti lungo le strade i militari in servizio lo fermino per chiedere di visionare il documento che attesta la sua condizione. Per seguire le attività da vicino, Tetyana ha scelto invece di lasciare il suo villaggio per trasferirsi in città. «Ricordo che all’inizio dell’invasione, nel febbraio 2022, vivevo con i miei genitori nelle campagne nell’oblast’ di Poltava. Io e mio padre non volevamo lasciare la nostra casa, mentre mia madre avrebbe preferito scappare e andare lontano. Non le importava il “dove”, voleva soltanto andare lontano dalla Russia». Anche nel suo caso, una serie di accese discussioni prima di prendere la decisione finale: «Non è stato facile mettere d’accordo tutti. L’unione fa la forza, sempre, per questo abbiamo deciso di rimanere insieme nella nostra terra, comunque vada. Conosciamo molte famiglie divise dal conflitto, tra uomini partiti per il fronte e donne fuggite all’estero o rifugiate in altre zone dell’Ucraina: la guerra non dividerà la nostra famiglia».

Simone Matteis

Per Tetyana, giovanissima all’inizio delle ostilità, la quotidianità della guerra ha innescato un vortice di emozioni fortissime, soprattutto tenendo conto dei suoi quattordici anni. «I primi tempi, quando vedevo in televisione quello che succedeva, volevo a tutti i costi arruolarmi nell’esercito. Crescendo ho continuato a studiare e ho lavorato come insegnante di lingua inglese». Dopo mesi vissuti anche all’estero tra Danimarca, Portogallo e Repubblica Ceca, l’opportunità di far parte di un’organizzazione umanitaria ha rappresentato per Tetyana una vera e propria svolta nella percezione di sé in relazione all’emergenza in corso: «Oggi lavoro a stretto contatto con decine di bambini e rifugiati e sento di avere un ruolo ben determinato. Sono stata tante volte all’estero ma lì nessuno aveva realmente bisogno di me, come se fossi invisibile, mentre adesso sento realmente di stare facendo la mia parte per il mio Paese e per la mia gente».

Quelle di Bohdan e Tetyana sono due storie che, assieme a migliaia di altre, contribuiscono a delineare una realtà in cui il sentirsi ucraini ha rappresentato in ogni momento sempre qualcosa in più rispetto alla “semplice” appartenenza nazionale. Costumi, tradizioni, lingua e cultura diventano tutti insieme vettore di un sentimento profondo che trascende la fisicità dei confini trovando nella diversità dal vicino, «il nemico» come viene chiamato, la cifra costitutiva della propria identità. Con la speranza che i rischi, sempre incombenti, possano cessare al più presto.

 
Pubblicato : 5 Settembre 2024 04:45
Tag argomenti