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Il lungo elenco dei nomenominati che hanno fatto del loro (cog)nome un destino

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(@maurizio-assalto)
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Tristram Shandy, l’eroe eponimo e voce narrante del romanzo di Laurence Sterne, riferisce un’idea stravagante coltivata da suo padre: «Riguardava la scelta e l’imposizione dei nomi di battesimo, da cui, a suo avviso, dipendono molte più cose di quante non sono capaci di immaginare menti superficiali. Secondo la sua opinione, esisterebbe uno strano genere d’influsso magico che i buoni o i cattivi nomi, com’egli li chiamava, esercitano irresistibilmente sulle nostre qualità e sulla nostra condotta».

Il padre di Tristram Shandy ha bussato alla mia memoria quando, nei giorni scorsi, un post su Facebook di Taffo Funeral Services, l’impresa di onoranze funebri (romana, nonostante la ragione sociale albioneggiante) diventata famosa in tutta Italia per il dissacrante umorismo nero delle sue iniziative pubblicitarie, ha scatenato una bufera social puntualmente ripresa dai giornali. Ho così scoperto, con una punta di ammirata sorpresa, che Taffo è il cognome del titolare: il signor Alessandro Taffo. Ero convinto che fosse un nome di fantasia, dissacrantemente concepito con intenzione allusiva al ramo di attività un po’ come le cliniche Quisisana sparse nella Penisola, o (per restare in ambiente “taffico”) le associazioni Exit e Libera Uscita che, a richiesta dell’interessato, si occupano di chi di sanarsi ha perso ogni speranza.

Il vizio etimologista mi aveva ingannato. Perché il nome sembrava davvero scelto bene. Nel greco antico (e anche il quello moderno) táfos vuol dire tomba, sepoltura, funerale, e da questa lugubre parola ci sono derivate epitaffio o epitafio (ma la forma più frequente è quella con raddoppiamento della f: come in Taffo), cenotafio, oltre a una serie di termini di formazione moderna come tafonomo, tafonomia, tafografia. E dunque è chiaro: questo signor Taffo aveva il destino segnato, il suo è un (quasi) perfetto esempio di nomen omen, ossia di nome che è al tempo stesso un presagio.

La categoria dei nomina omina (locuzione latina derivata, al singolare, dalla commedia di Plauto Il persiano) è una malauguratamente feconda fonte di ispirazione per discutibili facezie del tipo “il nome della prostituta russa”, o del ministro dei trasporti cinese, o del nuotatore tedesco – in cui è inevitabile prima o poi imbattersi: sono ovviamente nomi inventati che giocano con i doppi sensi e le assonanze con l’italiano. Anche la realtà, tuttavia, si incarica non di rado di proporcene: e qui la cosa si fa interessante.

C’è il caso di quello che non foss’altro per il ruolo avuto negli anni Ottanta sulla scena politica americana, e quindi mondiale, come portavoce del presidente Ronald Reagan – si potrebbe assumere a nume tutelare di tutti i nomenominati: Larry Speakes, ossia (con una “e” di troppo, ma nella pronuncia non si avverte) “Lorenzo parla” – autore peraltro (e poteva essere altrimenti?) di un libro intitolato Speaking out, in cui rivelava i retroscena della sua esperienza alla Casa Bianca. Restando all’estero, come non ravvisare un sinistro presagio nel nome del generale serbo-bosniaco noto come “il boia di Srebrenica”, vale a dire Ratko Mladić? Nella lingua serbo-croata rat significa guerra, e infatti per crimini di guerra e genocidio questo galantuomo è stato condannato all’ergastolo dal Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia. Non ha invece bisogno di spiegazioni, perché il suo cognome richiama lo stesso concetto in serbo-croato come in italiano, Zvonimir Šeparović, ministro degli Esteri della Croazia che all’inizio degli anni Novanta procedeva alla secessione dalla Repubblica Socialista Federale orfana del maresciallo Tito.

Dai Balcani all’Esagono: ve lo ricordate Raymond Peynet, l’illustratore dei fidanzatini tutti baci e cuoricini? L’amore della sua lunga vita, conosciuta quando avevano 17 anni, si chiamava Denise, ma non è questo che conta: di cognome faceva Damour (senza apostrofo: nessuno è perfetto). Mentre non poteva che chiamarsi (Henri) Duparc il maestro dei giardini alla francese sceso nel Settecento da Parigi a Torino per adornare le adiacenze delle dimore sabaude.

Un nomen omen può essere insidioso, come nel caso del botanico ceco Josef Velenovský (1858-1949), noto per avere descritto circa duemilasettecento nuove specie di funghi, molti dei quali, ovviamente, velenosi. Oppure parzialmente mendace, è il caso dell’incisore Joseph Pennell (1857-1926), che in effetti non usava il pennello bensì il bulino, ma insomma sempre di arte figurativa si trattava. Ma può anche funzionare e contrario: il primo direttore d’orchestra donna (espressione orribile, però scrivere “la prima donna direttore” avrebbe lasciato spazio a un equivoco) è stata in Italia Elisabetta Maschio – che peraltro, come si può constatare in rete, ha un’omonima di professione ginecologa.

Certe volte il nomen omen è metonimico: il primo direttore di Italia Oggi, il quotidiano economico fondato nel 1986, è stato Marco Borsa. Così come è indubitabilmente figlio di una metonimia l’insigne astrofisico Luigi Stella, ordinario alla Sapienza di Roma e tra i curatori scientifici dell’Astrophysical Journal della American Astronomical Society; al pari di un suo non meno insigne collega dalle prospettive (nominali) anche più vaste, tendenzialmente senza limiti, quel Cristiano B. Cosmovici che setaccia lo spazio infinito alla ricerca di tracce della vita. Mentre, ritornando con i piedi sulla terra, o più precisamente sotto il tavolo, allo stesso genere si può ascrivere un Tramezzino che, ben prima di diventare il panino triangolare battezzato nel 1925 da D’Annunzio al Caffè Mulassano di Torino, è stato il cognome dello stampatore veneziano (di nome Michele) che nel 1570 pubblicò il ricettario del celebre cuoco rinascimentale Bartolomeo Scappi.

Altri nomina omina sono testimonianza parlante di un’incrollabile coerenza: Rocco Buttiglione, politico post-democristiano ma soprattutto filosofo cattolicissimo, membro della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, abitava negli anni Novanta a Roma, con la moglie Pia e il cane Theo, in via delle Tre Madonne; mentre sempre a Roma, ma un secolo prima, si era stabilito l’eminente medievista tedesco Ferdinand Gregorovius, naturalmente in via Gregoriana. Uomini tutti d’un pezzo, come direbbe Totò: con loro vai sul sicuro. Ma sempre più rari.

Per esempio, soffri di alopecia e ti rivolgi a uno dei migliori specialisti in materia, professore di endocrinologia alla Sapienza di Roma: che si chiama Giovanni Spera. Non è chiaro se “spera” sia una terza persona dell’indicativo o la seconda dell’imperativo, se cioè stia a esprimere la preoccupata cautela del terapeuta o se sia piuttosto la sua fatalistica esortazione augurale rivolta al paziente, ma almeno ha il pregio di dire le cose come stanno. E comunque non è detto che la speranza debba necessariamente andare delusa.

Ci sono tuttavia situazioni in cui è inutile illudersi e tocca farsene una ragione, perché è chiaro in partenza che non c’è gara. Al bando indetto nel 1551 dalla Serenissima per realizzare a Rialto un ponte in muratura, in sostituzione di quello di legno crollato un secolo prima, parteciparono i maggiori archistar dell’epoca, da Michelangelo a Palladio a Sansovino, ma chi vinse? Antonio Da Ponte, e il suo ponte, costruito tra il 1588 e il 1591, rimase fino a metà Ottocento l’unica possibilità di attraversamento a piedi del Canal Grande. Non era invece una gara ma una lotteria quella lanciata nell’ottobre del 1998 dal mensile cattolico Jesus, che metteva in palio per dieci fortunati estratti “un indimenticabile pellegrinaggio lungo le strade percorse da Gesù” in Terrasanta; una piccola notizia, beninteso, ma valeva la pena di conservarne memoria, perché tra i vincitori due signori avevano per nome uno Natale e l’altro Crocifisso, e due signore, per cognome, Casadei e Amodio. Facile presagio o divino papocchio?

Lasciamo impregiudicata la questione, perché occorrerebbe sondare i malfermi terreni della teodicea. E neppure ci avventureremo nell’ubertoso campo dei nomi evocativi dell’anatomia sessuale e del destino di chi li porta, perché si sconfinerebbe nell’umorismo da caserma. Resta una considerazione: forse non è così veritiera, quando è veritiera, la sentenza latina secondo la quale nomina sunt consequentia rerum; in certi casi si direbbe piuttosto che res sunt consequentia nominum.

 
Pubblicato : 12 Febbraio 2024 05:45
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