Il fascino immortale del Period drama tra realtà e romanticismo
Nel panorama dei film e delle serie, emergono generi che si impongono come pilastri culturali. Uno di questi è il Period drama, un termine che evoca soprattutto l’universo delle opere di Jane Austen e le vicende della monarchia inglese, ma nello specifico comprende tutte le produzioni ambientate fino alla seconda metà del Novecento. Un amore tra pubblico e industria cinematografica sbocciato negli anni Trenta – pensiamo a Gone with the Wind – e cresciuto e consolidato negli anni Novanta, un decennio soggetto a una vera e propria ondata di adattamenti di classici letterari, contraddistinti da uno spiccato romanticismo.
A partire dagli anni Dieci del duemila, il Period Drama ha vissuto un’esplosione in termini di popolarità, estendendo la sua portata di pubblico e canali di trasmissioni. Ma perché serie come Downton Abbey, The Gilded Age, Bridgerton o film come Moulin Rouge e Little Women ci hanno conquistato a tal punto, divenendo talvolta dei veri e propri cult? Per lo stesso motivo per cui certe opere letterarie dello stesso periodo continuano a ispirare profondamente giovani e non di ogni generazione: essi ci consentono una fuga affascinante in un passato che sia abbastanza lontano da farci sognare, ma al contempo sufficientemente vicino da permetterci di riconoscerci nelle ambizioni e nelle esigenze emotive dei personaggi.
«Nessun ragazzo, per la prima volta libero e con venti ghinee in tasca, si sente veramente triste. E Barry partì alla volta di Dublino senza tanto pensare alla cara mamma rimasta sola e al focolare lasciato alle sue spalle, quanto al domani, con tutte le meraviglie che gli avrebbe portato», recita la voce narrante nel film — a lungo sottovalutato — del film Barry Lyndon di Stanley Kubrick (1975), celebre per la sua fotografia straordinaria. Basti pensare che il regista, per ricreare le atmosfere del periodo, ha ricorso esclusivamente alla luce naturale. Il risultato sono scene in cui i volti sono scolpiti, nella loro felicità o nella loro disperazione, dalla fioca luce delle candele.
Paura del cambiamento, lotta per i propri diritti, dilemmi generazionali, desiderio di accettazione, libertà e indipendenza: compiere un viaggio nel passato non corrisponde esattamente al ritorno a una comfort zone. La realtà dei Period Drama infatti è sempre duale. Nei suoi risvolti più positivi, la mancanza delle moderne comodità non è un ostacolo alla meraviglia e al “potere” nelle sue forme più elevate, ma oltre i costumi elaborati e le ambientazioni magnificamente realizzate – apparentemente familiari e rassicuranti -, ci troviamo vis-à-vis anche con molto “orrore” e tanta tristezza.
Qualcosa che ha catturato la sensibilità della regista Sofia Coppola, da sempre attratta da personaggi tutt’altro che bidimensionali, che nel 2006 restituisce complessità alla figura di Maria Antonietta, regina consorte di Francia, col film Marie Antoinette, ispirato alla biografia scritta da Antonia Fraser. La peculiarità del film, che ha come protagonista Kirsten Dunst è proprio lo slittamento giocoso che la regista compie tra le due epoche, quella settecentesca e contemporanea: da un lato sono molte le scene girate nelle location originarie, come il Palazzo di Versailles e i Petit e Grand Trianon, dall’altro Coppola sceglie di includere nella colonna sonora brani rock di artisti come The Strokes, New Order e Bow Wow Wow. Una scelta stilistica che ha conferito al film un forte senso di energia giovanile e ha enfatizzato il parallelismo tra la giovinezza moderna e quella della regina.
Inoltre, in una delle scene più iconiche del film, cioè quando Maria Antonietta sì da a folli spese per colmare il vuoto che il re genera nella sua vita affettiva, tra cumuli di macarons, dolci, ventagli e pizzi coloratissimi, in un angolo scorgiamo un paio di scarpe Converse. Inizialmente considerato un errore, la scelta deliberata di Coppola indebolisce l’immagine di una sovrana altezzosa e apatica, per restituircene una più esauriente su Maria Antonietta, che alla sola età di quattordici anni venne data in sposa a Luigi XV con la responsabilità di cementare l’alleanza tra Francia e Austria.
Marie Antoinette di Sofia Coppola rimane un esempio di come un argomento storico raccontato tramite un’estetica moderna possa stabilire una connessione tra passato e presente; ma soprattutto del crescente interesse del pubblico nei confronti delle vite dei reali e, nello specifico, di come certi personaggi del passato si sono destreggiati tra amore e dovere. Ne sono esempi film successivi come Elizabeth (1998) e Elizabeth – The Golden Age (2006) diretti da Shekhar Kapur, The Favourite (2018) diretto da Yorgos Lanthimos e la serie Victoria (2016-2019) scritta da Daisy Goodwin.
Napoleon è il nuovo attesissimo film diretto dal regista britannico Ridley Scott, previsto nelle sale italiane il 23 Novembre 2023 e basato sulla figura — eterna — di Napoleone, interpretato da un Joaquin Phoenix all’apice del proprio talento, il quale ha già collaborato con Scott in un altro film storico divenuto cult, Gladiator (2000), dove ricopre il ruolo di Commodo, figlio dell’imperatore Marco Aurelio, che gli vale anche una nomination agli Oscar come migliore attore non protagonista.
«Le scene girate con lui (Joaquin Phoenix) sono così vere. È stato straordinario nel suo saper cogliere il ritratto peculiare di una persona imprevedibile», confida alla stampa Vanessa Kirby, scelta per l’interpretazione di Giuseppina di Beauharnais, prima moglie di Napoleone.
La storia di Napoleone Bonaparte, che si ispirò per le sue imprese a quelle di Alessandro Magno e Cesare, è per l’appunto nota soprattutto per le conquiste militari e la relazione burrascosa vissuta con la moglie Giuseppina, ed è stata già molte volte portata sul grande schermo, ma l’approccio viscerale di Scott promette di fornire una visione completa e profonda di questo personaggio storico, mostrandolo non solo come il generale e l’imperatore che tutti conosciamo, ma anche come un uomo in balia di mancanze, sogni e fragilità.
Una vera e propria ossessione per Scott, che ha sempre guardato a Napoleone con fascino per il suo percorso, che è iniziato praticamente dal niente. «Non mi sono mai dato alternative: o lui o nessuno. Il nostro Napoleone è attualissimo in tutte le sue contraddizioni e nella sua multiforme natura. Per un attore è sempre una sfida impersonare un personaggio reale. Joaquin ci si è dedicato con una passione totale. Lo vedrete genio militare e uomo innamorato».
Le prime immagini di Napoleon ci anticipano la spettacolarità estetica del film, nello specifico per la scena della battaglia di Austerlitz (1805) per la quale Scott ha impiegato trecento comparse, cento cavalli e undici telecamere. «È stato incredibile perché ho potuto ricreare per davvero l’evento. Ho iniziato a pensare come Napoleone». Un’influenza che anche a detta di Scott, può risultare positiva o fatale.
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