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Il fallimento europeo del Fair Share

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(@stefano-carli)
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Il Fair Share è tornato nel cassetto di Thierry Breton. Tramonta l’idea di creare un sistema normativo per far partecipare le Big Tech americane agli investimenti delle telco europee sulle nuove reti in banda ultralarga. Il 10 ottobre scorso la Commissione europea ha reso noto la conclusione della consultazione sul tema lanciata in primavera. E al successivo vertice informale dei ministri europei competenti sulla digitalizzazione e l’Ict, tenutosi a Leon, in Spagna, il 23 e 24 ottobre, è arrivato il colpo finale: l’Ue non creerà un progetto di norme per il coinvolgimento dei grandi generatori di traffico dati in una qualche forma di sostegno ai costi di sviluppo e agli investimenti delle telco sulle reti in fibra.

Tutto si è consumato in diciotto mesi. Nei primi giorni di maggio 2022, Thierry Breton e Margrethe Vestager, vicepresidente della Commissione e commissario alla Concorrenza, a due giorni di distanza l’uno dall’altra, avevano rilasciato dichiarazioni simili: l’Ue sta lavorando a come far compartecipare le Big Tech agli investimenti in fibra. Innocenzo Genna, giurista specializzato in strategie, public affairs e regolamentazione europee nel settore delle tlc e del digitale, ha lodevolmente e puntualmente ricostruito i principali passaggi avvenuti in questo anno e mezzo e lo ha condiviso in rete nel suo blog.

Le motivazioni dei due esponenti europei erano diverse. Per Vestager, che per tutto il quadriennio precedente si era opposta a ogni tipo di consolidamento del mercato europeo delle tlc, imponendo per ogni fusione societaria il ripristino di un nuovo operatore, come nel caso di Wind3 in Italia, che ha aperto la strada allo sbarco di Iliad a sud delle Alpi, poteva trattarsi di una generica presa d’atto delle difficoltà delle telco.  Breton, commissario Ue al mercato unico, che dal mondo delle telco proviene, essendo stato ceo di Orange, ossia la ex France Telecom, aveva preso la palla al balzo ed è diventato il paladino del progetto Fair Share. Non a caso le prime reazioni positive vengo ovviamente dal mondo delle telco. Ma non tutte. Sono stati soprattutto francesi, spagnoli e italiani a sostenerlo, mentre dalla Germania sono arrivate reazioni più fredde e dai paesi scandinavi un no deciso.

Che cosa non ha convinto del progetto? Non certo la paura di colpire Google e Facebook, Amazon e Netflix o Disney perché su altri versanti, come la privacy e il trattamento dati la Commissione sta agendo in modo risoluto. E punta inoltre a consolidare ancora di più il suo sforzo di imporre ai mercati il punto di vista europeo in tema di regole della rete con i due nuovi regolamenti sul mercato digitale Dma, e sui servizi digitali, Dsa. Da questo punto di vista l’approccio del Fair Share sembra meno sistematico e meno coordinato. In sostanza, un’iniziativa preparata poco e male.

Una volta stabilito il principio della fair contribution, la compartecipazione agli oneri, non si è capito più come andare avanti. Se come calcolare il contributo può essere relativamente agevole, molto più complicato è capire chi dovrà raccoglierlo e gestirlo: i singoli paesi? Un organismo centrale? Entrambe le soluzioni sono poco percorribili. Perché – è l’obiezione principale del “fronte del no” – non tutti i paesi sono allo stesso livello. Alcuni, specie quelli del nord Europa, sono molto avanti nel numero di connessioni in fibra in rapporto alla popolazione. Chi è rimasto più indietro dovrebbe quindi raccogliere un contributo maggiore ma questo falserebbe la competizione a livello continentale penalizzando quanti gli investimenti li hanno già fatti e se li sono pagati da soli.

Ma non si è trattato del solito fronte che oppone i paesi frugali del nord agli spendaccioni mediterranei. Proprio l’Italia ha fatto un passo indietro, lo scorso agosto, con il sottosegretario alle Comunicazioni Alessio Butti, che ha invitato lo stesso Breton alla cautela, annunciano la astensione del governo italiano. Un cambiamento drastico rispetto all’immediata adesione ricevuta un anno prima dall’allora ministro del Digitale del governo Draghi, Vittorio Colao. 

Al momento tirare le somme della consultazione, navigando tra quattrocentotrentasette risposte, centosessantancinque position papers, e un altro centinaio di contributi arrivati da soggetti istituzionali e dalle imprese private, dalle associazioni di settore e anche da privati cittadini, pur senza stilare una classifica, la Commissione ha chiuso la vicenda con un non luogo a procedere. 

Lo scorso luglio una lettera di diciotto ministri europei del Digitale (su ventisette) ha rilevato come sul tema del Fair Share mancasse una qualsiasi analisi degli effetti conseguenti all’introduzione del contributo, e mancasse anche l’evidenza di uno stato di sofferenza sugli investimenti delle telco nelle nuove reti. Il governo tedesco aveva già fatto sapere che il suo piano di sviluppo della banda ultralarga non aveva bisogno di supporti.  Lo scorso maggio l’Autorità antitrust di Berlino ha dichiarato di non rilevare alcun tipo di pressione eccessiva della domanda di traffico dati da parte degli Ott (gli operatori di servizi sulla rete, ossia in primo luogo le Big Tech) tali da giustificare costi addizionali per i network operator, ossia le telco. Nel complesso, poi, tutto l’insieme delle Autorità di regolazione del settore tlc dei governi europei si è dichiarata non convinta della necessita e della opportunità di introdurre il contributo.

Il colpo definito è arrivato quando le telco hanno tirato le somme dei loro conti al terzo trimestre dell’anno, vedendo tutti conti in crescita. Da Orange a Telefonica a Deutsche Telekom, i ricavi sono cresciuti, tra i due e i quattro punti. I margini ancora un po’ di più. E sono proprio le reti fisse che soddisfano manager e azionisti. Deutsche Telekom ha festeggiato il primo trimestre da anni in cui il numero di utenti fissi è tornato a risalire.

Insomma, fine dei giochi. Adesso Thierry Breton, per minimizzare la sconfitta, ha spostato i termini del problema. Ha promesso che entro il primo trimestre del 2024, ossia quando sarà ancora in carica, prima del voto europeo di giugno, impegnerà la Commissione nella produzione di un white paper, ossia uno studio preparatorio che dovrebbe preludere a un riassetto complessivo di tutto il settore delle tlc europeo. Ma il compito sarà poi demandato, come è ovvio, alla prossima Commissione Ue.

Quanto alle telco, archiviato il caso Fair Share, continueranno per altre via la ricerca di soluzioni ai loro problemi di marginalità. Adesso si riparla di come procedere con il consolidamento, ma qui ognuno va per conto suo. Orange aspetta il via libera alla fusione in Spagna con Mas Movil. In Italia Tim deve avere l’ok europeo all’operazione di scorporo e vendita della rete. E se i paletti posti dall’Ue alle fusioni si abbassano anche di un poco, non è difficile prevedere una nuova stagione di fusioni e acquisizioni per il lungo e il largo di tutto il mercato unico europeo.

 

 
Pubblicato : 17 Novembre 2023 05:45
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