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Il dilemma informativo dei social in tempi di guerra

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(@pietro-minto)
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La guerra tra Israele e Hamas ha sorpreso il settore dei social in una delicata fase di confusa transizione. Da mesi si parlava di come i social network stessero attraversando un momento difficile, tra il trionfo di TikTok e la mutazione di Twitter in X, e come la loro funzione stesse cambiando. A partire dall’attacco di Gaza dello scorso 7 ottobre, su X e TikTok sono circolate fake news d’ogni tipo, che hanno potuto diffondersi grazie alla cosiddetta fog of war, la confusione che circonda i primi momenti di un conflitto, ma anche allo smantellamento del team dedicato alla moderazione dei contenuti voluto da Elon Musk, nuovo proprietario del fu Twitter. Il tutto è successo poche settimane dopo un importante cambiamento voluto da Musk, che ha tolto i titoli di giornale dai link condivisi sulla piattaforma, rendendone la condivisione più difficile. I fatti degli ultimi giorni hanno spinto Thierry Breton, Commissario europeo per il mercato interno e i servizi della Commissione europea, ad ammonire sia X che ByteDance, azienda proprietaria di TikTok, a sua volta osservata speciale per via dei suoi legami col governo cinese.

Ma il problema non riguarda solo le fake news ma un diverso approccio che i social network sembrano avere nei confronti dell’informazione. Threads, il nuovo social network testuale creato da Instagram, è forse l’esempio più rappresentativo di questa impasse: nato per approfittare della crisi di Twitter, si ostina a promuovere temi e contenuti leggeri, tenendosi a debita distanza dalle news. Il motivo di tanta cautela è facilmente immaginabile: Meta – gruppo che possiede Facebook e Instagram, tra le altre cose – è rimasta fin troppo scottata negli anni scorsi, con i vari scandali sulle fake news e le critiche ricevute sia dalla destra che dalla sinistra. Negli ultimi anni, Facebook si è quindi distanziata dalle notizie, cambiando addirittura il nome del suo News Feed (oggi chiamato semplicemente feed).

Adam Mosseri, capo di Instagram, ha recentemente confermato che Threads «non ha intenzione di amplificare le notizie sulla piattaforma» ma è difficile immaginare che un clone di Twitter possa crescere senza proporsi come un luogo in cui discutere degli eventi in corso. Non tutte le variabili sono sotto il controllo di Meta: in seguito alla fallimentare prova di X durante la crisi di Gaza, infatti, molti giornalisti e appassionati di news si sono comunque spostati su Threads, trovando comunque un ambiente migliore di X.

Instagram sembra quindi di fronte a un dilemma: continuare a evitare le notizie sacrificando la crescita di Threads o abbracciare le news, rischiando di ripiombare nelle polemiche politiche degli anni più bui di Facebook (quelli post-2016, per dire, quando Wired mise la foto di un Mark Zuckerberg pieno di botte ed ematomi in copertina). L’unica voce fuori dal coro sembra essere quella di YouTube, che ha appena presentato una nuova «esperienza immersiva» per le app mobile, dove darà più spazio ai contenuti dei media tradizionali, con l’obiettivo di «aiutare gli utenti ad accedere a una gamma di voci diverse e credibili». Parallelamente, YouTube punta a investire 1,6 milioni di dollari per incentivare le stesse testate a produrre contenuti brevi per la piattaforma Shorts, l’anti-TikTok di YouTube.

Decidere di non concentrarsi più sulle notizie, poi, non vieta agli utenti di continuare a commentare i fatti del giorno sui social, producendo contenuti che vengono risucchiati da algoritmi pensati per ben altre discussioni. Lo scrittore Kyle Chayka ha scritto un commento sul New Yorker sull’abdicazione dei social network alla causa giornalistica in cui ha notato che «se i social media non sono più una fonte di informazione in tempo reale, sono comunque rimasti un terreno di scontro per influenzare l’opinione pubblica». Molti utenti, ad esempio, hanno notato come l’algoritmo di X abbia a lungo promosso contenuti filopalestinesi mentre Instagram è stata accusata di averli oscurato con quello che viene definito uno shadowban (Meta ha attribuito il fenomeno a un bug).

Ci risiamo con le camere dell’echo, insomma. Nonostante la lotta alle notizie, infatti, il conflitto di Israele e Hamas si riverbera anche sui social network – per non parlare di app come Telegram, dove l’influenza del gruppo terroristico è aumentata molto negli ultimi giorni. La vera domanda è: con tutti i danni che l’influenza di Facebook ha causato al giornalismo, vogliamo davvero che Threads cominci a occuparsi di politica? Forse stiamo meglio così.

 
Pubblicato : 25 Ottobre 2023 04:45