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Il difetto della critica al consumismo e le inquietanti alternative al capitalismo

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(@rainer-zitelmann)
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Nella sua enciclica del 2015 Laudato si’, una fiammeggiante requisitoria contro il capitalismo, Papa Francesco ha proclamato: «Poiché il mercato tende a promuovere un consumismo estremo nel tentativo di vendere i propri prodotti, le persone possono facilmente farsi prendere da un vortice di acquisti e spese inutili. Il consumismo compulsivo è un esempio di come il paradigma tecno-economico influisca sulle persone». In modo simile, il sociologo svizzero Jean Ziegler ha scritto: «La società dei consumi si basa su alcuni semplici principi: i suoi membri sono clienti che vengono portati ad acquistare, consumare e buttare via beni in numero sempre maggiore, e invogliati ad acquistare nuovi beni anche quando non ne hanno realmente bisogno».

Questa critica al consumismo non è una novità. Quando la tesi secondo cui il capitalismo porta all’impoverimento delle grandi masse della classe operaia è stata confutata dagli sviluppi negli Stati Uniti e nell’Europa occidentale dopo la Seconda Guerra Mondiale, la Nuova Sinistra ha praticamente ribaltato l’argomento: il vero male del capitalismo, sostenevano, non era il poco, ma il troppo consumo. Si parlava addirittura di «terrore del consumo». Questo implicava che le aziende capitaliste prima creassero artificialmente dei bisogni tra i consumatori attraverso la pubblicità, poi li soddisfacessero in parte con prodotti scadenti e a basso costo, creando così la società dell’usa e getta. 

Il filosofo britannico Roger Scruton ha descritto la critica della sovrabbondanza e della società dei consumi in questi termini: «Questo fenomeno trasforma la prova della nostra libertà – cioè che possiamo ottenere ciò che vogliamo – nella prova della nostra schiavitù, poiché i nostri desideri non sono veramente nostri».

Per gli intellettuali – sia di destra che di sinistra – la critica al consumismo era ed è un mezzo per distinguersi sia dall’élite economica che dalle grandi masse. Gli intellettuali, fautori della critica del consumismo capitalistico, disprezzano fondamentalmente tutti coloro che non sono come loro: le masse, che indulgono in consumi superficiali, e i capitalisti, che mancano anche di un’adeguata istruzione e cultura. Sia le masse che i capitalisti, sostengono questi critici, sono accomunati da un materialismo sdegnoso, che si contrappone completamente all’idealismo dei veri valori e della cultura elevata che caratterizzano la borghesia colta. 

La critica al capitalismo consumistico continua a essere formulata dagli intellettuali fino ai giorni nostri, e sta diventando sempre più stridente e implacabile. Nel 2009, lo scrittore britannico Neal Lawson ha pubblicato un articolo sul Guardian con il titolo: «Vogliamo fare acquisti o essere liberi? È meglio scegliere in fretta». La sua critica era la seguente: «Consumiamo per acquistare identità, ottenere rispetto e riconoscimento e assicurarci uno status. Lo shopping è il modo predominante in cui conosciamo noi stessi e gli altri, ed è al punto di escludere altri modi di essere, conoscere e vivere […] Il mercato è come uno squalo; non ha una morale, ma si nutre incessantemente di noi per farci comprare di più, perché le vendite e i profitti devono aumentare sempre di più».

La critica di Lawson culmina nell’equiparazione dell’Arcipelago Gulag, la rete di campi di lavoro forzato e di concentramento dell’Unione Sovietica di Stalin dove milioni di persone hanno trovato la morte, con il marchio di lusso italiano Gucci, che egli considera l’incarnazione del capitalismo consumistico: «Il totalitarismo, una società in cui le alternative sono escluse, doveva arrivare con gli stivali della sinistra comunista o della destra fascista. Ora arriva con il sorriso sulle labbra e ci seduce con l’ennesimo acquisto. Gli stivali sono del colore e dello stile di questa stagione. Siamo osservati, registrati e ordinati non in base alle nostre convinzioni politiche ma ai nostri desideri di shopping. Il gulag è sostituito da Gucci».

Naturalmente, il capitalismo crea tutta una serie di prodotti che voi o io definiremmo inutili e superflui, semplicemente perché sono inutili e superflui per noi personalmente. Ma il capitalismo è un sistema libero e democratico, in quanto lascia che le persone decidano da sole ciò di cui hanno bisogno o non hanno bisogno (con l’eccezione di prodotti che sono vietati per una buona ragione, come la pornografia infantile). L’alternativa sarebbe un’economia di comando gestita dal governo, in cui politici e funzionari pubblici decidono quali prodotti servono o non servono alle persone. Ludwig Erhard, che introdusse l’economia di mercato nella Germania Occidentale dopo la Seconda Guerra Mondiale, una volta osservò ironicamente: «Se le signore vogliono i cuculi sui loro cappelli, che abbiano i cuculi. Non ho certo intenzione di vietare la produzione di cappelli ornati di cuculi».

 
Pubblicato : 10 Novembre 2023 05:45