Il design variopinto e multiculturale di Ozwald Boateng
Quando Poltrona Frau ha annunciato la collaborazione con Ozwald Boateng, l’immaginazione si è subito orientata verso colori caldi, motivi esotici e tribali. E così è stato nel concreto. La collezione “Culture and Craft” – in cui dominano i toni del rosso, del giallo e dell’arancione – prevede la rivisitazione dell’iconico divano Chester e della poltrona Vanity Fair, oltre alla carta da parati e agli accessori per la casa come candele, vasi o il Mancala, un famoso gioco da tavola diffuso in Africa. Insomma, è come se l’austero, elegante e impeccabile design di radice britannica fosse stato illuminato dalle atmosfere del Ghana, contemporanee e antiche, moderne e arcaiche. Del resto, per chi non lo conoscesse, Ozwald Boateng viene da lì, essendo figlio di due emigrati del Ghana alla fine degli anni Sessanta.
Nato nel quartiere londinese di Muswell Hill, la moda lo ha sorpreso come fosse un richiamo ancestrale, il solo possibile per un ragazzo inizialmente destinato a studiare informatica e che invece, a neanche vent’anni, ha inaugurato la sua prima collezione (con la scusa di preparare degli abiti a un amico) e il suo primo negozio a Covent Garden. È lui stesso a raccontarci di quegli esordi ormai lontani, che risalgono a più di quarant’anni fa. «Sì, a breve compio quarant’anni nel settore», ammette con voce profonda, sicura e implacabile. Oswald Boateng è un sarto, di fatto, anche se la definizione potrebbe risultare riduttiva, considerando che nel 2004 è stato nominato da Lvmh direttore creativo dell’abbigliamento maschile per Givenchy. In più, ha progettato una nuova carta di credito insieme a Coutts e uniformi per British Airways. E ha perfino collaborato con il cinema e la televisione, imbastendo spettacoli, cortometraggi e progetti d’animazione.
La sua visione della manifattura ha inciso profondamente l’ambiente in cui si muoveva all’epoca, e cioè a Savile Row, l’appendice a sud di Vigo Street, nel quartiere Mayfair di Londra. L’imperativo è stato svecchiare: svecchiare l’abbigliamento maschile, renderlo appetibile per i giovani, imporre un nuovo panorama di riferimento. Un’operazione non da poco, considerando che Savile Row è la strada in cui converge il maggior numero di sarti, da sempre, nel mondo. Una strada, dunque, dalla tradizione antichissima. Come conciliare tradizione e innovazione? «Savile Row stava morendo. La sfida consisteva nel rilanciarla, e attraverso qualcosa di nuovo», spiega. «La tradizione può sopravvivere solo se evolve». Un’aggiunta interessante, che mira a difendere, a proteggere ciò che risiede nelle regioni più profonde e remote del nostro spirito convertendolo di volta in volta con la realtà immanente che ci circonda. «Credo che la moda, come il design, sia automaticamente una questione politica, anche se forse non è l’espressione giusta. Il design è intrinsecamente creativo, ecco. Dunque influenza, ed ispira. Per questo, può consentire che le persone vedano e sentano le cose in modi diversi, in modi che prima non sospettavano neppure. Per questo, molti si scoprono spesso prevenuti nei confronti della moda».
Una riflessione che si intreccia, inevitabilmente, al rapporto con l’Africa, patria elettiva per quanto mai abitata. Oswald Boateng non è fuggito dall’Africa, ha potuto conservarla dentro di sé tramite i ricordi distratti, nostalgici dei suoi genitori, muoversi in una nazione che gli apparteneva per diritto di nascita, pur con le contraddizioni che ancora oggi questo comporta, sempre, a ogni latitudine. Essere stranieri. Sentirsi stranieri. Tentare di unire due continenti all’interno della propria arte è un modo per sanare quel conflitto, in un certo senso. «Quando ho iniziato non c’erano molte persone di colore che lavoravano nel settore creativo. Oggi, invece, ci troviamo in un momento storico che tenta di controbilanciare le disuguaglianze. Eppure, in Africa continua a mancare lo sviluppo delle infrastrutture. Il Regno Unito deve necessariamente dimostrarsi più solidale. Soltanto quando l’Africa avrà elettricità e acqua corrente, potrà usufruire di ciò che ha, di ciò che la terra spontaneamente offre». Dunque, questa continua ricerca di accostamenti, di familiarità tra un luogo e l’altro, tra una geografia e un’altra, tra istanze culturali tanto diverse è un modo per tentare strenuamente di farle comunicare tra loro. Un compito arduo, forse davvero possibile solo ai creativi. Si vede dalle collaborazioni, dagli incontri, dagli interlocutori che continuamente crea e cerca per lo sviluppo delle sue idee, delle sue intuizioni.
«Per me è importante domandarmi sempre perché dovrei abbracciare proprio questo progetto invece di un altro progetto. In quest’ultimo caso, mi sono scontrato con un tradizionale marchio di artigianato italiano. Mi sono reso conto che potevamo dare vita a qualcosa di unico, rispettando ciò che siamo, da dove veniamo». Un pratico esempio di multiculturalità eversiva, etica, trasversale. «È sempre bello sapere da dove inizi. Sai, le tue fondamenta. A volte i fondamenti vengono ignorati in questo nuovo mondo tecnologico in cui giudichiamo solo le cose. Cosa è successo cinque minuti fa? A volte è bello rispondere alla storia di qualcosa e al perché è quello che è. E quindi trovare un nuovo linguaggio intorno a questo per me è un’attraente opportunità creativa».
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