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C’è un grosso problema nella ristorazione. Sei tu

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(@alessio-cannata)
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Durante l’edizione numero 37 del Mix, il Festival di cinema Lgbtq+ che si è svolto al Teatro Piccolo di Milano lo scorso settembre, si è tenuto un piccolo talk dal titolo “Queering the food” in cui gli attivisti, in parte vicini al mondo del cibo, hanno avuto modo di aprire il dibattito sulla questione di genere nel mondo della ristorazione, sui problemi di machismo tossico nel settore e, tema preponderante dell’incontro, sulla necessità di supportare – come comunità queer – una dieta vegetariana/vegana.

Quello che scriverò da qui in poi potrebbe far innervosire diverse persone, ma è un problema loro. Se pensate che donne, minoranze etniche, persone appartenenti alla comunità Lgbtqia+ non siano più a rischio e meno tutelati di altri, prima di leggere questo articolo – che non potrà certo colmare questo vuoto culturale –, vi suggerisco una buona guida sul tema: “Questioni di un certo genere”, il secondo volume della rivista de Il Post “Cose, spiegate bene”.

Questione di genere in sala
Il sessismo, il machismo tossico e la discriminazione di genere dilagano nel mondo della ristorazione, non meno che in altri settori. Il lavoro in sala è l’avamposto fatto di due trincee: da un lato i clienti, dall’altro i titolari. L’impiego in sala rappresenta spesso il primo approccio al lavoro da parte dei giovani, e spesso si tratta di un ambiente in cui le donne, soprattutto, si ritrovano a dover ignorare o assecondare le battute sessiste o misogine che possono arrivare da clienti che non sono stati ancora raggiunti da un’educazione adeguata.

A differenza di quanto si potrebbe pensare, il problema non è certo solo dei ristoranti di terz’ordine, ma riguarda anche la ristorazione di alto livello o fine dining, dove può essere lo stesso proprietario (o chef) a suggerire di mantenere un atteggiamento lascivo con quei clienti che dimostrano attenzioni verso una persona di sala. Certo, non tutti i clienti! Ci mancherebbe. Solo quelli abbastanza influenti da poter decretare il successo o l’insuccesso del ristorante. No, non basta cucinare bene e avere un servizio impeccabile. In alcuni casi pare che sessualizzare il contesto possa aiutare le recensioni positive (Tripadvisor o guida che sia). Lo sdegno aumenta nel ricordare il caso di Enoteca Pinchiorri (ristorante tre stelle Michelin di Firenze) e del patteggiamento per stalking tra il proprietario, Giorgio Pinchiorri, e una ex dipendente. La vergogna su questa vicenda è rimasta, come anche le tre stelle Michelin.

Se per le donne lavorare in sala è difficile, per le persone con identità sessuale non conformi (ovvero tutte quelle persone la cui sessualità è storicamente definita “un’eccezione” alla normalità) è impossibile.

Omosessuali, lesbiche, trans o transgender sono spesso esclusi dai canali di selezione nelle professioni di ristorazione solo per un pregiudizio nei loro confronti. Non importa la competenza, la professionalità, l’aspetto. Tutto decade per lasciare spazio all’avversione, e all’ignoranza.

Su questo tema, durante l’incontro “Queering the Food” del Mix Festival, Lorenzo Mattiello, Digital Communication di Espressy.it (una company che offre consulenza e formazione per realtà che vogliono implementare politiche di sostenibilità sociale nelle aziende), ha raccontato la difficoltà nel relazionarsi con i ristoranti stellati a proposito di inclusività.

Nel proporre ai locali italiani di aderire a un progetto dedicato all’inclusività in fase di assunzione, proprio i fine dining hanno mostrato maggiore timore nel dichiarare uno spirito inclusivo. L’insicurezza di guidare la comunicazione di queste attività prende il sopravvento sulla capacità di saper guardare avanti.

Il progetto in questione si chiama Apertissimo, lanciato da Espressy e Tuorlo Magazine per rispondere all’ostilità della ristorazione nei confronti delle persone Lgbtqia+. I ristoranti possono aderire al progetto per affermarsi come aperti all’inclusione in fase di assunzione, a prescindere dall’orientamento e dall’identità della persona.

Proprio questo progetto, che ha visto tra i primissimi sostenitori ristoranti come Erba Brusca, Chihuahua Tacos e Viva, oggi inizia ad allargare il suo raggio d’azione (sono a oltre cinquanta ristoranti) con l’adesione di attività da tutta Italia ma, appunto, con un grande carenza di ristorazione stellata.

Ci hanno spesso raccontato le cucine di alto livello come avanguardia, come gli astronauti che con il loro lavoro ci permettono di progredire nella vita di tutti i giorni. Ma, cari chef, ristoratori e macho men della forchetta: il progresso e l’avanguardia non sono da ricercare solo dentro al piatto. Guardatevi intorno e cercate di avanzare anche nelle politiche di gestione e nelle scelte etiche.

Progetti come Apertissimo possono significare molto per professionisti competenti che si devono confrontare con la difficoltà di avere documenti non rettificati o con l’imbarazzo di dover dare spiegazioni non necessarie. Aprirsi alla diversità aiuta i diversi a sentirsi uguali e non toglie nulla a tutto il resto del mondo. E se qualcuno si sente privato di qualcosa, il problema è suo, non del locale.

Questioni di genere in cucina
Basterebbe riportare qui tutte le frasi dette durante interviste e interventi pubblici da vari chef – uomini – negli ultimi anni per farvi capire quanto sessismo circoli in cucina. Dalle donne che sono «troppo sensibili» o «troppo poco energiche e quindi è meglio metterle in pasticceria a fare i decori», il velo pietoso con le frasi ignoranti è lungo e lo stendiamo qui.

Oppure basterebbe chiedere alle donne chef cosa hanno dovuto subire per affermarsi nel loro lavoro, di quanto siano state oggettificate, stereotipate o prese in scarsa considerazione dagli addetti ai lavori, quando sono loro stesse ad avviare un’attività.

Non va meglio tra le e gli chef di diverso orientamento sessuale. In un’intervista del 2021, la chef Viviana Varese affermava che è improbabile che non ci siano chef omosessuali tra i ristoranti stellati: «È chiaro che si nascondono: purtroppo quello dell’alta cucina è un mondo molto maschile, in cui bisogna seguire un modello aggressivo e autorevole, per cui uno chef omosessuale avrebbe certamente un problema di ruolo. È come un comandante di battaglione che si dichiara gay: impossibile, praticamente».

Il problema non è la presenza o meno di un coming out, che ognuno ha diritto di gestire se e come vuole senza nessuna pressione esterna, ma l’assenza di un ambiente inclusivo e lontano da pratiche di tossico maschilismo che non lascia respiro a chi esprime il proprio genere in modo diverso.

Lo ha confermato, in un’intervista dello scorso marzo, anche la chef transgender Chloe Facchini, parlando di «scarsa inclusività nei confronti di persone trans e di colore che da sempre sono state poste ai margini delle cucine».

Le cucine sono ambienti negativi, fanno male alla salute mentale delle persone. L’elenco di articoli che parlano di abuso di alcol, droghe e antidepressivi da parte di chi lavora in cucina si sprecano. Se questo è l’effetto che una cucina fa su uno chef uomo etero cis, che impatto crediate possa avere su una persona che per giunta deve preoccuparsi di non essere sé stessa? C’è un problema ben più grande nel settore che andrebbe ispezionato.

Questione di genere a tavola
Non c’è luogo più accogliente della tavola? No, non è vero.

Anche seduti intorno al tavolo di casa o del ristorante si propongono stereotipi che bisogna imparare a riconoscere e evitare.

Sempre durante il Mix Festival, la comunità queer (termine con cui si indicano tutte le identità sessuali) ha posto un focus che, a molti, potrebbe apparire come fuori tema rispetto agli argomenti cari alla comunità Lgbtqia+: il tema in questione è la necessità di adottare una dieta vegetariana/vegana.

Eppure, c’è molta coerenza in tutto questo, e anche lungimiranza. Una comunità che sperimenta la sofferenza e la discriminazione si fa carico di un’altra forma di sofferenza che è quella animale e, non per ultima, anche ambientale.

Si è parlato molto durante l’incontro di consumo di animali, al punto che pare evidente come nel movimento queer il tema non sia secondario al sostegno delle persone. Perché quello che è più caro alla comunità è la tutela degli esseri viventi, tutti.

Chi vi scrive appartiene fieramente alla comunità queer, ma non è vegetariano né vegano. Personalmente non ho ancora maturato la volontà di passare a una dieta vegetale. Ho sempre mostrato una grande passione per la carne, la griglia e le proteine animali. Ma una passione non può restare indifferente a un mondo che cambia. Negli anni ho ridotto il consumo di carne, presto sempre più attenzione all’impatto ambientale della carne che acquisto e mi sono impegnato a sostituire una quota proteica settimanale con una maggiore presenza di proteine vegetali. «Non è sufficiente», penseranno molti. «Avete ragione», dico io.

A proposito di vegani e discriminazione, non è da ignorare il trattamento che spesso viene riservato loro per la sola scelta (coraggiosa) di non mangiare prodotti di origine animale. Perculati e sfottuti, guardati a volte come malati. Vi ricorda qualcosa? Sì, lo stesso atteggiamento con cui possono essere trattati lesbiche e omosessuali, ma con la differenza che, almeno fin ora, nessun vegano è stato picchiato dai compagni di scuola o dal padre e mandato via di casa.

Etichettare, giudicare, definire cosa è giusto mangiare o con chi (o se) fare sesso è sbagliato. Dare per scontato che il vino dolce sia per le donne o che il barbecue sia un affare da uomini è sbagliato.

Il gusto non ha genere, e non ha nemmeno confini. Se ci siamo evoluti al punto da riuscire a fare dell’atto del nutrirsi una scienza e un’arte è perché non abbiamo mai etichettato e definito il cibo, ma abbiamo creato un contesto affinché ogni ingrediente potesse esprimersi al meglio.

Non sarà questo articolo a migliorare il divario di genere nella ristorazione, ma è fondamentale che se ne parli. Dobbiamo conoscere le persone queer, dobbiamo ascoltare le loro storie e ridere delle loro battute. Abbiamo un enorme bisogno di accettare i generi differenti e iniziare a capire che, se il mondo deve funzionare per come lo avete sempre conosciuto, allora è il momento di fare nuove conoscenze. Bisogna farsi una cultura sul tema leggendo più possibile, ma anche guardando film come “Tutto su mia Madre”, “Disclosure”, e serie tv come “Transparent” (Prime Video) o “Pose” (Disney+). E poi, proprio in questi giorni inizia la terza stagione di “Drag Race Italia”. Sarà trasmesso su Paramount+. Seguitelo! A parte essere divertente, è lo spaccato di una cultura che per troppo tempo è sembrato un tabù, quando invece è un inno a poter essere chiunque si voglia nel pieno rispetto di chiunque ci sta intorno. Se i temi queer o le drag ti infastidiscono, se non vedi il sessismo e la poca inclusività nella ristorazione o, più in generale in Italia, il problema sei tu.

 
Pubblicato : 13 Ottobre 2023 04:45