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Youtuber non paga tasse

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(@paolo-remer)
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Cosa succede a chi incassa guadagni da Youtube e non li indica nella dichiarazione dei redditi; quando scatta l’obbligo di apertura della partita Iva. 

Molti creator di contenuti video, che monetizzano introiti anche consistenti, non si pongono il problema dell’imposizione fiscale, pensando di non essere soggetti ad alcun obbligo di dichiarazione dei redditi e di versamento di imposte. Ma è proprio vero che uno Youtuber non paga tasse? No, e non c’è nulla di più falso, a meno che l’attività non sia talmente sporadica da non generare un reddito imponibile e da non far scattare l’obbligo di partita Iva.

Se pensi che ci sia il modo di sfuggire alla tassazione, non ti illudere: nel 2023 è entrata in vigore anche in Italia una direttiva europea, la Dac7, che obbliga tutte le piattaforme online – tra cui Google, che possiede Youtube – a comunicare alle Amministrazioni finanziarie dei Paesi membri i guadagni erogati agli utenti, quindi anche quelli riversati agli youtuber per la monetizzazione dei loro video. La prima comunicazione dovrà avvenire entro il 31 gennaio 2024 sui redditi guadagnati dal 2023. La Commissione Ue prevede che questo nuovo meccanismo potrà generare un gettito fiscale aggiuntivo di 30 miliardi di euro in tutta l’Unione Europea, chiaramente non derivante soltanto dagli introiti riconosciuti da Youtube ai propri creator ma anche da quelli derivanti da altre piattaforme, come Facebook e Instagram per quanto riguarda i social, Amazon per l’e-commerce e Booking o AirBnb per gli affitti brevi.

Ma già attualmente la cronaca registra episodi di famosi Youtuber “beccati” dall’Agenzia delle Entrate e dalla Guardia di Finanza perché non dichiaravano i compensi percepiti: gli accertatori sono riusciti a calcolare i ricavi sottratti a tassazione, per centinaia di migliaia di euro all’anno (si trattava di creator con milioni di follower) grazie alla collaborazione con Google e con le agenzie di sponsorizzazione. E tutto questo nonostante i compensi fossero stati erogati con bonifici fatti all’estero. D’altronde tutti i dati dei video Youtube diffusi in rete sono registrati, e le Autorità fiscali o giudiziarie possono acquisirli, entrando così in possesso dei compensi derivanti dalle semplici visualizzazioni della striscia pubblicitaria (la cosiddetta “banner impression”) veicolata sul canale YouTube, ed anche di quelli ottenuti con l’apertura della pagina pubblicizzata (la cosiddetta “banner click-through”) e di quelli ulteriori che arrivano agli Youtuber di maggiori dimensioni con le sponsorizzazioni di prodotti.

Youtuber: quale codice Ateco?

Non esiste uno specifico codice Ateco per l’attività di youtuber, ma gli esperti consigliano e ritengono appropriato il 73.11.02, avente ad oggetto la «Conduzione di campagne di marketing e altri servizi pubblicitari», perché in esso rientra proprio la «collocazione di pubblicità in internet e altri mezzi di comunicazione».

Ricordiamo che il codice Ateco è una combinazione di lettere e numeri che identifica un’attività economica e rientra tra i dati necessari per aprire la partita Iva. In assenza di uno specifico codice identificativo, è sempre possibile indicare quello dell’attività più simile (ad esempio, per lo youtuber si potrebbe utilizzare anche il codice Ateco 73.12.00 «Attività delle concessionarie pubblicitarie», se si hanno contratti di sponsorizzazione attivi).

Youtuber: come vengono tassati i redditi?

Chiunque riceve dei redditi di qualsiasi natura e tipologia, a prescindere dall’importo, è tenuto a indicarli nella dichiarazione dei redditi annuale all’Agenzia delle Entrate. La dichiarazione dei redditi va presentata anche quando il volume dei redditi è al di sotto dell’imposizione fiscale, come per chi rientra nella cosiddetta no tax area (meno di 8.174 euro l’anno per i lavoratori dipendenti, 8.500 euro per i pensionati e 5.500 per i lavoratori autonomi) e, quindi, non implica l’obbligo di pagare le tasse.

In buona sostanza, lo youtuber è tenuto a dichiarare tra i propri redditi percepiti i compensi incassati, durante l’anno d’imposta considerato, dalla monetizzazione dei suoi video, anche se ha ricevuto poche centinaia di euro all’anno. Le cifre andranno indicate nella sezione «Redditi diversi», ma ciò vale per piccoli importi e per youtuber dall’attività sporadica, perché gli altri, come vedremo fra poco, devono aprire la partita Iva e dunque dichiarare i ricavi e compensi nel regime scelto. Il più conveniente è il regime forfettario, fino a 85mila euro annui, che prevede una tassazione molto più favorevole di quella ordinaria: il 15%, anziché le ordinarie aliquote Irpef, che partono dal 23% e arrivano al 43%; e l’imposta è ridotta al 5% per i primi cinque anni di attività).

Anche sul sito di Google compare un “pericoloso” disclaimer, che avvisa così gli utenti: «Tutti i creator che hanno attivato la monetizzazione su YouTube, indipendentemente dal paese in cui risiedono, sono tenuti a fornire i propri dati fiscali al più presto. Se non fornisci i tuoi dati fiscali, Google potrebbe avere l’obbligo di dedurre fino al 24% dal totale dei tuoi utili globali». Per questo motivo Google già richiede agli youtuber di comunicare anticipatamente le informazioni necessarie ai fini della tassazione da applicare,

Youtuber: serve la partita Iva?

L’obbligo dell’apertura di una partita Iva per lo youtuber è previsto in linea generale, e non specifica, in quanto la normativa tributaria prevede che la partita Iva è necessaria quando un’attività viene svolta in forma continuativa, abituale e organizzata, dunque non occasionale e sporadica. Ma anche un solo video resta sempre online ed è collegato alla campagna pubblicitaria Adsense (o altre forme analoghe, a partire dall’apposito Youtube Partner Program), e pertanto, è potenzialmente sempre produttivo di redditi.

In ogni caso, ai fini degli accertamenti sull’Iva il Fisco si concentra sugli youtuber che percepiscono introiti elevati e tendenzialmente stabili, come quelli derivanti dai contratti di pubblicità che lo remunerano attraverso la visualizzazione dei video e le attività connesse svolte dagli utenti.

L’apertura della partita Iva comporta anche la necessità di iscrizione al Registro delle imprese tenuto presso la locale Camera di Commercio, e – se i guadagni superano i 5.000 euro annui – il versamento dei contributi previdenziali all’Inps, previa iscrizione alla Gestione Separata o a quella Artigiani e Commercianti.

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Pubblicato : 19 Agosto 2023 10:15