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Violenza sessuale: quando si presume il dissenso della vittima?

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(@mariano-acquaviva)
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Stupro: ai fini della consumazione del reato è necessario che la persona offesa manifesti espressamente la propria contrarietà? L’orientamento della Cassazione.

La legge tutela la libertà personale in ogni sua manifestazione, anche la più intima. Per tale ragione, a nessuno può essere imposto di subire o di compiere atti sessuali. Questo tipo di condotta costituisce un reato gravissimo, punito con pene che possono arrivare fino a dodici anni di reclusione. È in questo contesto che si pone il seguente quesito: nel reato di violenza sessuale, quando si presume il dissenso della vittima?

Com’è noto, molti soggetti accusati di stupro cercano di difendersi affermando che la persona offesa abbia in realtà acconsentito al rapporto o, quantomeno, non abbia fatto nulla per impedirlo. Tale tipo di giustificazione è valida? È possibile discolparsi in base a una “presunzione del consenso” fornito dalla vittima? Vediamo cosa dice la giurisprudenza a tal proposito.

Quando c’è violenza sessuale?

Com’è oramai noto a tutti, per aversi il reato di violenza sessuale non occorre che venga consumato un rapporto completo: è sufficiente anche un solo atto lesivo della libertà sessuale altrui.

E così, commette stupro chi si rende responsabile di un palpeggiamento, di un bacio non corrisposto, di uno sfregamento di una parte intima.

L’atto sessuale penalmente rilevante è qualsiasi manifestazione del desiderio sessuale che è in grado di invadere la sfera più intima della vittima, costituita per lo più (ma non esclusivamente) dalle sue zone erogene (labbra, seno, cosce, sedere, genitali, ecc.).

Pertanto, per aversi violenza sessuale non è necessario che si verifichi una congiunzione carnale, cioè che si consumi un rapporto completo, essendo invece sufficiente qualsiasi atto volto a comprimere la libertà sessuale altrui.

Sussiste ugualmente reato quando ci si approfitta di una persona che si trova in una condizione di inferiorità psichica o fisica.

Si pensi al rapporto sessuale consumato con una persona affetta da una grave patologia mentale, oppure che si trovi in uno stato di ubriachezza tale da renderla incapace di intendere e di volere.

Nemmeno è necessaria la vicinanza tra il colpevole e la vittima, essendo stata riconosciuta la violenza sessuale anche “a distanza”: è il caso dell’uomo che costringa la donna a spogliarsi tramite webcam.

Violenza sessuale: il dissenso della vittima è presunto?

Elemento essenziale del reato di cui ci stiamo occupando è che l’atto invasivo della libertà sessuale altrui non sia voluto dalla vittima. In altre parole, non deve esserci il consenso della persona coinvolta.

Si pone allora il seguente quesito: c’è reato se la vittima non manifesta espressamente il proprio dissenso? Assolutamente sì, se la persona offesa mostra opposizione, ad esempio cercando di divincolarsi.

Secondo la Corte di Cassazione [1], il dissenso della vittima è sempre presunto. Ciò significa che, per non aversi il reato di violenza sessuale, occorre che l’altra persona sia espressamente consenziente.

Per la Suprema Corte, integra l’elemento oggettivo del reato di violenza sessuale non soltanto la condotta invasiva della sfera della libertà ed integrità sessuale altrui realizzata in presenza di una manifestazione di dissenso della vittima, ma anche quella posta in essere in assenza del consenso, non espresso neppure in forma tacita, della persona offesa.

Ai fini della consumazione del reato di violenza sessuale, quindi, è richiesta la mera mancanza del consenso, non la manifestazione del dissenso.

Violenza sessuale: il consenso può essere tacito?

Il principio affermato dalla Corte di Cassazione non sta a significare che, prima di consumare un rapporto o compiere un atto sessuale, occorra necessariamente una formale dichiarazione di assenso: vuol dire semplicemente che, in assenza di consenso, manifestato anche tacitamente, si presume il dissenso.

Un esempio di consenso tacito è quello della donna che si abbandona agli abbracci e ai baci del suo fidanzato: in un’ipotesi del genere, non occorre alcuna manifestazione espressa di consenso.

In estrema sintesi, possiamo affermare che, ai fini dell’integrazione del reato di violenza sessuale, il dissenso della vittima si presume sempre, a meno che la stessa non abbia espresso il proprio consenso, in maniera esplicita oppure tacita, in quest’ultimo caso con comportamenti assolutamente inequivocabili che fanno comprendere senza ombra di dubbio la volontà di accettare il compimento degli atti sessuali.

 
Pubblicato : 10 Dicembre 2023 16:00