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Uso indebito dei buoni pasto: cosa si rischia?

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(@paolo-remer)
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Quali conseguenze legali e giudiziarie per chi si impossessa dei tagliandi o delle card, li compra o riceve illecitamente, li ruba, li trova smarriti e poi li spende.

I buoni pasto sono una risorsa economica importante per molti milioni di lavoratori italiani: consentono di fare la spesa e di acquistare numerosi prodotti, alimentari e non solo, così integrando lo stipendio. Ma cosa si rischia in caso di uso indebito dei buoni pasto?

Poniamo il caso di chi sottrae illecitamente il blocchetto di tagliandi, o la carta elettronica, ad un collega, oppure di chi vende sottocosto i suoi buoni inutilizzati per ricavarne un profitto, ed ancora di chi li acquista illecitamente, ad un prezzo di favore, sapendo che sono stati rubati.

Sono tutte ipotesi non infrequenti, ma che comportano conseguenze negative dal punto di vista legale o giudiziario: infatti il buono non viene utilizzato dal suo legittimo titolare, e ciò costituisce un illecito civile o in determinati casi addirittura integra un’ipotesi di reato.

Come si riconoscono i buoni pasto illeciti?

I buoni pasto vengono emessi da apposite società di emissione, convenzionate con i datori di lavoro, che li acquistano per poi distribuirli ai propri dipendenti in sostituzione della mensa aziendale. Quindi la loro attribuzione è, di regola, nominativa e bisogna diffidare di chi propone, in acquisto o in regalo, uno stock di buoni pasto di provenienza indeterminata: quasi sempre sono frutto di un illecito, come il furto o altri tipi di sottrazione fraudolenta al legittimo proprietario.

Molti dimenticano che i buoni pasto sono tracciati, in quanto anche quelli cartacei, e non solo quelli in formato elettronico, recano il codice alfanumerico identificativo, impresso al momento della loro emissione e registrato dall’esercente presso cui avviene il loro utilizzo: quindi, anche a posteriori, è possibile ricostruire se un determinato buono è stato speso da persone diverse dall’avente diritto.

Appropriazione di buoni pasto smarriti: cosa si rischia?

La Corte di Cassazione ha recentemente confermato una sentenza di condanna per il reato di ricettazione (previsto e punito dall’art. 648 del Codice penale), emessa dal tribunale di Milano nei confronti di una persona che si era impossessata di alcuni buoni pasto smarriti, sostenendo di averli trovati per strada [1].

Secondo i giudici, il titolare di quei buoni pasto era sicuramente rintracciabile, e la circostanza del loro rinvenimento in modo casuale e involontario non era credibile, in quanto non riscontrata da nessuna fonte di prova ma semplicemente affermata dall’imputato per ragioni di convenienza.

La Suprema Corte ha ribadito il proprio costante orientamento, secondo cui «risponde del reato di ricettazione l’imputato, che, trovato nella disponibilità di refurtiva di qualsiasi natura, in assenza di elementi probatori indicativi della riconducibilità del possesso alla commissione del furto, non fornisca una spiegazione attendibile dell’origine del possesso» [2].

Incauto acquisto di buoni pasto: è reato?

Un reato minore rispetto alla ricettazione è l’incauto acquisto, ossia, come dice l’articolo 712 del Codice penale, l’acquisto o la ricezione (anche gratuita) di cose che «per la loro qualità o per la condizione di chi le offre o per la entità del prezzo»: è un reato contravvenzionale, punito con l’arresto fino a 6 mesi o con l’ammenda minima di 10 euro.

La sospetta provenienza dei buoni pasto comprati o ricevuti al di fuori della dotazione fornita dal datore di lavoro emerge facilmente dalle circostanze dell’acquisto o dalla personalità di chi li offre, ad esempio, ponendoli in vendita in circostanze occasionali, per strada, o proponendo un affare a prezzo scontato: sono modalità che devono necessariamente insospettire qualsiasi persona media e dotata di normale avvedutezza.

Se, invece, chi compra o riceve i buoni è consapevole della loro provenienza delittuosa (ad esempio, sa che sono provento di furto o di altri tipi di sottrazione fraudolenta, come l’appropriazione indebita compiuta da un dipendente della società) incorrerà nel più grave delitto di ricettazione.

Quando l’uso illecito di buoni pasto non è punibile

Per i reati che abbiamo descritto, esiste una importante causa di non punibilità per «particolare tenuità del fatto», prevista dall’articolo 131 bis del Codice penale. Secondo la giurisprudenza, questa esimente si applica anche al reato di ricettazione attenuata ” di cui all’art. 131 bis c.p. è applicabile anche al reato di ricettazione attenuata [3], nonché, in generale, a tutti i reati ai quali, non essendo previsto un minimo edittale di pena detentiva, si applica il minimo assoluto di 15 giorni di reclusione [4].

L’apprezzamento della tenuità del fatto spetta al giudice penale, e solitamente questa causa di esclusione della punibilità viene riconosciuta quando il valore dei buoni pasto ricettati, sottratti o indebitamente appropriati è esiguo, di poche decine di euro. La Corte di Cassazione ha escluso l’esimente in un caso di ricettazione di buoni pasto di 200 euro, per mancanza del requisito necessario dell’esiguità del valore dei buoni [5].

Uso irregolare dei buoni pasto: conseguenze disciplinari

L’uso irregolare dei buoni pasto da parte del dipendente può avere anche conseguenze disciplinari, quando la violazione lede l’obbligo di fedeltà ed obbedienza verso il datore di lavoro, che aveva imposto determinate condizioni di utilizzo non rispettate dal lavoratore, o semplicemente aveva richiamato quelle vigenti previste dalla legge.

Ti ricordiamo che i buoni pasto costituiscono un’indennità sostitutiva del servizio di mensa aziendale mancante (e per questo motivo sono esentasse): di conseguenza – come prevede espressamente la legge [6], spettano esclusivamente al lavoratore al quale sono stati rilasciati, sono nominativi e non cedibili a persone diverse dall’avente diritto, non sono commerciabili o convertibili in denaro, e neppure cumulabili in numero complessivo superiore ad otto, a prescindere dal valore di ciascuno.

Pertanto, chi compie queste condotte è passibile di sanzione disciplinare, irrogata dal datore di lavoro, nell’ambito di quelle previste dalla contrattazione collettiva di riferimento, proporzionalmente alla gravità della violazione ed a seguito della contestazione formale dell’illecito al dipendente; nel procedimento disciplinare l’incolpato può difendersi esponendo le sue ragioni.

 
Pubblicato : 24 Aprile 2023 09:00