Uso del proprio cognome come marchio
Si può usare il proprio cognome come marchio? Come utilizzare il tuo cognome come marchio, la tutela legale nelle diverse categorie merceologiche e la differenza tra marchi forti e deboli.
Molti si chiedono se sia possibile utilizzare il proprio cognome come marchio al fine di contraddistinguere un’attività commerciale. Il dubbio principale riguarda l’eventuale tutela tramite la registrazione del marchio stesso e l’inibizione, ad altri, dall’utilizzare il medesimo nome.
Cosa potrebbe invece succedere se un’altra persona, già presente sul mercato e avente lo stesso cognome, utilizzato però per un’altra categoria merceologica, dovesse contestare l’uso di tale brand?
Questo articolo esplora le regole e le norme relative all’uso del proprio cognome come marchio, la sua tutela nelle diverse categorie merceologiche e la distinzione tra marchi forti e deboli.
Si può usare il proprio cognome come marchio?
Sì, è possibile usare il proprio cognome come marchio, ma ci sono alcune considerazioni importanti.
Il marchio riportante il nome e il cognome o solo il cognome di una persona viene chiamato marchio patronimico.
Per legge è possibile registrare un marchio di nomi di persone. L’art. 8 del codice della proprietà industriale infatti recita: «I nomi di persona diversi da quelli di chi chiede la registrazione possono essere registrati come marchi, purché il loro uso non sia tale da ledere la fama, il credito o il decoro di chi ha diritto di portare tali nomi».
Come deve essere il marchio di un cognome?
Il marchio, che rappresenta l’identità di un prodotto o servizio, deve essere distintivo e non deve indurre in errore il consumatore sulla natura del prodotto o del servizio offerto. Se, ad esempio, una persona ha, come cognome, “Greco” non può usarlo per contraddistinguere il proprio formaggio, perché ciò potrebbe indurre in errore il consumatore sull’origine dell’alimento.
Se una persona ha “Magnifico” di cognome, non potrebbe mai chiamare così il proprio brand.
Si può usare un cognome comune?
Il problema dei marchi è che devono essere “distintivi” al fine di non creare confusione sul mercato. Questa esclusività – che spetta a chi per primo usa il marchio – spetta però solo nelle categorie merceologiche per le quali il marchio è stato registrato. Ecco perché, col nome “Ferrari” esiste sia il marchio di un’auto che di una casa di spumante.
Dunque è possibile usare il proprio cognome come marchio, anche se si tratta di un cognome diffuso e assai comune, a patto che:
- questo venga collegato a una o più specifiche categorie merceologiche;
- in queste categorie non venga già fatto uso di tale cognome da altre aziende.
Se sussistono questi elementi è possibile registrare il marchio col proprio cognome e impedire ad altri di fare lo stesso in futuro, limitatamente però alle sole categorie merceologiche per le quali il marchio è stato registrato.
Un marchio può essere registrato in più categorie se il prodotto o servizio si estende su diversi ambiti.
La Cassazione ha detto che non si può adottare come segno distintivo il proprio nome anagrafico se questo è stato validamente registrato in precedenza come marchio, purché il suo uso si basi sui principi di correttezza professionale. Occorre dunque accertare che il segno distintivo registrato non pregiudichi il valore nel nome traendo invero indebito vantaggio dalla notorietà del titolare del nome.
Tanto per fare un esempio, se una persona, sfruttando il fatto che il Presidente della Repubblica si chiama Mattarella, non può utilizzare tale cognome per creare una linea di cravatte da cerimonia se il titolare dell’azienda stessa non porta anch’egli tale cognome.
Che cosa rende un marchio patronimico “forte”?
Un marchio patronimico è generalmente considerato “forte” quando ha una notevole capacità distintiva, soprattutto se nome e cognome non sono direttamente correlati ai prodotti o servizi offerti. Questa forte distintività fa sì che, in un giudizio di confondibilità, spesso non si considerino altri elementi del marchio oltre all’assonanza tra i patronimici.
Numerose decisioni giuridiche hanno stabilito che il cuore di un marchio complesso è spesso costituito dal segno patronimico, che svolge una funzione individualizzante. Qualsiasi ripresa pedissequa dell’elemento distintivo principale potrebbe costituire contraffazione.
Come è regolata la registrazione del marchio patronimico?
La legge consente la registrazione di nomi di persona come marchi, con l’avvertenza che tale uso non deve ledere la reputazione di chi ha diritto a quel nome.
L’art. 21 del codice della proprietà industriale stabilisce che il titolare di un marchio patronimico non può vietare a terzi l’uso del loro nome o indirizzo nell’attività economica, a condizione che l’uso sia conforme ai principi della correttezza professionale e non ingeneri confusione sul mercato.
È sleale usare il proprio cognome come marchio?
Utilizzare il proprio cognome in un marchio non è sempre lecito, specialmente se questo comportamento può trarre vantaggio indebito da un marchio famoso già esistente con lo stesso cognome. Questo può violare il principio della correttezza professionale come stabilito dalla direttiva UE 89/104/CE.
La sentenza 12995/17 della Cassazione, pubblicata il 24 maggio, stabilisce che l’uso del proprio cognome in un marchio può essere considerato scorretto se si trae vantaggio dalla notorietà di un marchio preesistente con lo stesso cognome. Questo vale anche se non c’è rischio di confusione diretta tra i prodotti. Si pensi al caso di una persona che chiami una linea di cosmetici “Ferragni” sfruttando il fatto che esiste già una nota azienda che riporta tale cognome.
L’uso del cognome è considerato sleale dunque quando il nuovo marchio sfrutta la notorietà e il successo di un marchio preesistente, indebolendo il valore distintivo del marchio originario. Anche se il patronimico nel nuovo marchio è usato in modo descrittivo, può ancora risultare in un ingiusto profitto.
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