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Truffa del cartellino: c’è licenziamento?

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(@paolo-remer)
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La giurisprudenza dice no agli automatismi: la massima sanzione disciplinare si può applicare, ma nel rispetto del principio di proporzionalità con la violazione commessa.

Il fenomeno è ben noto: in molti uffici pubblici e aziende private ci sono colleghi compiacenti che timbrano il cartellino degli amici assenti, così consentendogli di svolgere le loro faccende o addirittura di restare a casa durante il turno di servizio. La cronaca è piena di questi episodi e quelli più eclatanti finiscono sui giornali e nei reportage televisivi, con i filmati delle telecamere nascoste che provano le false timbrature dei cartellini, o per meglio dire dei badge: i tesserini magnetici che sono l’evoluzione dei cartellini di un tempo nei più moderni sistemi di rilevazione automatizzata delle presenze e degli orari dei dipendenti sul lavoro.

Di solito in questi casi si instaura un procedimento penale, che può concludersi con la condanna dei responsabili, se i fatti illeciti vengono compiutamente accertati; ma non sempre è chiaro cosa accade dopo o comunque fuori dalle aule giudiziarie, quindi sul fronte del rapporto di lavoro. Per la truffa del cartellino c’è il licenziamento, oppure il suo autore, anche se condannato per il reato, conserva il posto? Quali sono i criteri che fanno propendere la bilancia della giustizia in un senso o nell’altro?

Licenziamento per falsa timbratura del badge: condizioni

La giurisprudenza prevalente ritiene legittimo il licenziamento per “giusta causa” del dipendente non presente in ufficio, ma che risulta tale grazie alla falsa timbratura del badge effettuata da un collega. Questo comportamento, infatti, «implica la violazione di fondamentali doveri scaturenti dal vincolo della subordinazione, venendo intaccato gravemente ed irrimediabilmente il vincolo fiduciario sotteso al rapporto di lavoro», che perciò non può proseguire. E tutto questo legittima il datore ad interromperlo anche in tronco, licenziando il dipendente anche prima di conoscere l’esito del procedimento penale collegato [1].

Tuttavia il licenziamento disciplinare per falsa timbratura del cartellino non è mai automatico, perché la misura adottata nei confronti del lavoratore – pur se riconosciuto colpevole in sede penale – non può mai violare il principio di proporzionalità tra i fatti commessi e la sanzione irrogata. Questo criterio è stato affermato più volte dalla giurisprudenza, che in alcuni casi ha annullato il licenziamento inflitto a dipendenti che avevano commesso tali condotte e dunque si erano resi responsabili del reato di falsa attestazione della propria presenza in ufficio [2].

In concreto, quindi, per stabilire il licenziamento bisogna sempre verificare quali sono stati gli elementi caratterizzanti della condotta illecita, a partire dal numero di ore, o di giorni, di assenze indebite e “coperte” dai colleghi che hanno effettuato le false timbrature. E bisogna anche tenere conto della condotta pregressa del lavoratore, specialmente nel caso di inesistenza di precedenti disciplinari, e dell’ammontare del danno arrecato alla Pubblica Amministrazione o azienda privata di appartenenza. Infatti il licenziamento, come sanzione espulsiva definitiva, è riservato ai casi più gravi ed estremi.

Falsa attestazione di presenza: quando provoca il licenziamento

Il Testo Unico sul pubblico impiego [3] prevede espressamente, tra le cause di licenziamento disciplinare, quella della «falsa attestazione della presenza in servizio, mediante l’alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza o con altre modalità fraudolente». In questo caso la valutazione di gravità e di proporzionalità è compiuta direttamente dalla legge. Norme analoghe vigono anche nel settore privato e sono stabilite dalla contrattazione collettiva nazionale di lavoro per ogni comparto e categoria produttiva (industria, commercio, terziario, turismo, ecc.).

Una norma di interpretazione autentica [4], introdotta nel 2016 per contrastare il diffuso fenomeno dei “furbetti del cartellino”, ha precisato che «costituisce falsa attestazione della presenza in servizio qualunque modalità fraudolenta posta in essere, anche avvalendosi di terzi, per far risultare il dipendente in servizio o trarre in inganno l’amministrazione presso la quale il dipendente presta attività lavorativa circa il rispetto dell’orario di lavoro dello stesso. Della violazione risponde anche chi abbia agevolato con la propria condotta attiva o omissiva la condotta fraudolenta». In questo modo sono diventati licenziabili anche i colleghi che hanno aiutato il dipendente assente con le false timbrature.

Licenziamento per falsa marcatura del badge: un caso concreto

La Corte di Cassazione, con una nuova ordinanza [5] che ti proponiamo in lettura integrale al termine di questa pagina, ha confermato il licenziamento disciplinare inflitto ad una dipendente comunale che nel corso del tempo si era fatta “aiutare” dai colleghi che avevano effettuato numerose timbrature in entrata e in uscita al posto suo. Le prove erano inequivocabili, grazie alle videoriprese delle marcature del badge ed ai pedinamenti compiuti dalla Polizia giudiziaria che aveva svolto le indagini  e documentavano le attività svolte dalla donna, che non avevano nulla a che fare con il suo lavoro d’ufficio.

Questi elementi hanno convinto gli Ermellini a ravvisare  «l’intenzionalità certa e la gravità, tale da integrare la fattispecie penalmente rilevante». La proporzionalità tra il fatto illecito e la sanzione disciplinare è stata individuata nel «reiterarsi della condotta fraudolenta in molteplici giorni, individuando una connotazione di grave illiceità». Pertanto questi elementi sono stati anche ritenuti «ragioni idonee a giustificare la congruità della sanzione» disciplinare adottata, cioè del licenziamento.

Approfondimenti

Per altre informazioni leggi anche l’articolo “Truffa del cartellino: come essere assolti” e la rassegna di giurisprudenza “Truffa del cartellino: ultime sentenze“.

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Pubblicato : 8 Novembre 2022 17:30