Trasferimento dipendente: è possibile rifiutare?
Come opporsi a un trasferimento e quando è possibile non recarsi al lavoro per protesta.
Il trasferimento del dipendente rappresenta una delle possibili modifiche del contratto di lavoro che il datore di lavoro può attuare. Tuttavia, tale facoltà non è incondizionata, ma deve rispettare precisi limiti imposti dalla legge e dalla contrattazione collettiva, a tutela del lavoratore. In questo articolo vedremo se e quando un dipendente può rifiutare il trasferimento, quali sono le conseguenze in caso di rifiuto a prendere servizio presso un’altra sede di lavoro e cosa bisogna fare per opporsi. Ma procediamo con ordine.
Quando il trasferimento è legittimo?
L’art. 2103 del Codice Civile stabilisce che il datore di lavoro può trasferire il dipendente da una unità produttiva ad un’altra solo per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive. Ciò significa che il trasferimento deve essere giustificato da effettive, oggettive e dimostrabili esigenze aziendali; non può invece essere utilizzato come strumento di ritorsione o discriminazione nei confronti del lavoratore.
Attenzione però: tale limitazione vale solo per i trasferimenti da un’unità produttiva a un’altra. Per unità produttiva si intende una sede dotata di indipendenza tecnica e amministrativa tali che in essa si esaurisce per intero il ciclo relativo ad una frazione o ad un momento essenziale dell’attività tipica aziendale.
Invece se il trasferimento avviene nell’ambito della stessa unità produttiva, esso è legittimo anche in assenza delle motivazioni di cui sopra.
Non è, ad esempio, un’unità produttiva uno stabilimento, un ufficio o un reparto con funzioni ausiliarie rispetto ai fini generali dell’impresa.
Quali sono i limiti al potere di trasferimento del datore di lavoro?
La legge e la giurisprudenza hanno posto dei limiti al potere di trasferimento del datore di lavoro, al fine di tutelare i diritti del lavoratore. In particolare:
- divieto di trasferimento discriminatorio: il trasferimento non può essere basato su motivi di sesso, razza, religione, opinioni politiche, sindacali, orientamento sessuale, età, condizioni di salute. Al dipendente basta sollevare l’eccezione: spetta al datore di lavoro dimostrare invece l’effettiva sussistenza delle ragioni addotte nell’ordine di servizio. Se manca tale prova, il trasferimento si presume dettato da motivi discriminatori;
- divieto di trasferimento per ritorsione: il trasferimento non può essere dettato da esigenze di vendetta, dalla ripicca cioè del datore nei confronti del dipendente che abbia voluto far valere i propri diritti in sede giudiziale o sindacale;
- divieto di trasferimento senza valido motivo: le ragioni tecniche, organizzative e produttive che il codice elenca come condizioni per legittimare il trasferimento del dipendente devono essere dimostrabili in giudizio e vanno motivate al dipendente che ne faccia richiesta;
- tutela della salute del lavoratore: il trasferimento non può pregiudicare la situazione fisica o psichica del lavoratore, ad esempio costringendolo a svolgere mansioni incompatibili con il suo stato di salute o a raggiungere una sede particolarmente distante dal luogo ove questi viene abitualmente curato;
- rispetto delle esigenze familiari del lavoratore: non è possibile un trasferimento di un dipendente, senza il suo consenso, se questi beneficia delle tutele previste dalla legge 104/1992 per chi si prende cura di familiari non autosufficienti (caregiver);
Quali modifiche può comportare il trasferimento sulla mansione e sullo stipendio?
Anche in caso di trasferimento il lavoratore deve essere adibito a mansioni equivalenti a quelle svolte in precedenza, salvo che il trasferimento non sia determinato da un mutamento delle esigenze aziendali.
Il trasferimento non può neanche comportare una diminuzione della retribuzione.
Quando il lavoratore può rifiutare il trasferimento?
Il lavoratore può legittimamente rifiutare il trasferimento se esso non è giustificato da comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive o se viola i limiti sopra indicati. Tuttavia, il rifiuto di eseguire la prestazione presso la nuova sede deve essere proporzionato e conforme al principio di buona fede. La Corte di Cassazione ha affermato che «in caso di trasferimento non adeguatamente giustificato a norma dell’art. 2103 cod. civ., l’inadempimento del datore non legittima in via automatica il rifiuto del lavoratore ad eseguire la prestazione lavorativa” (Cass. n. 434/2019). Il lavoratore deve manifestare una seria ed effettiva disponibilità a prestare servizio presso la sede originaria; nello stesso tempo potrà far valere i propri diritti di sede giudiziaria, presentando ricorso presso il tribunale civile, sezione lavoro, per chiedere l’annullamento dell’ordine di servizio che ha disposto il trasferimento. Dunque, non è legittimo – almeno in via generale e salvo quanto diremo qui di seguito – un potere di autotutela del lavoratore che gli consenta di opporsi al trasferimento e di non presentarsi presso la nuova sede: se così fosse, la sua condotta, non avallata da una sentenza del giudice, sarebbe passibile di licenziamento per giusta causa.
Eccezionalmente, se il trasferimento comporta un grave pregiudizio per il lavoratore, ad esempio un peggioramento significativo delle sue condizioni di salute o quelle dei familiari da lui assistiti, allora questi può rifiutarsi di prendere servizio presso la nuova sede, impugnando nel contempo il provvedimento aziendale.
Quali sono le conseguenze del rifiuto illegittimo del trasferimento?
Se il lavoratore rifiuta illegittimamente il trasferimento, il datore di lavoro può adottare dei provvedimenti disciplinari, che possono arrivare fino al licenziamento per giusta causa.
Posso rifiutare il trasferimento, dimettermi e prendere l’assegno di disoccupazione?
Come chiarito dall’Inps, con messaggio del 26 gennaio 2018, n. 369, se la nuova sede ove viene trasferito il lavoratore si trova a oltre 50 km dalla residenza o è raggiungibile in oltre 80 minuti con i mezzi pubblici, lo stesso può dimettersi per giusta causa e ottenere la NASPI, ossia l’assegno di disoccupazione.
Come deve essere comunicato il trasferimento?
Il trasferimento deve essere comunicato al lavoratore in forma scritta, con un preavviso sufficiente a consentirgli di organizzarsi. Il preavviso deve essere stabilito dalla legge, dai contratti collettivi o dagli usi aziendali.
-
Come agire contro il figlio che svuota il conto cointestato?
16 ore fa
-
Licenziamento a voce e senza preavviso: si può denunciare?
17 ore fa
-
Conseguenze per chi svuota il conto prima del pignoramento
18 ore fa
-
Cosa succede se si va a lavorare durante la malattia?
22 ore fa
-
Licenziamento illegittimo: si può essere riammessi al lavoro?
23 ore fa