Trasferimento all’estero: quando si pagano le tasse in Italia
Le nuove regole sulla residenza fiscale in Italia: oltre alla residenza e al domicilio si aggiunge la presenza nel territorio dello Stato.
Il decreto legislativo n. 209 del 2023 introduce, a partire dal 1° gennaio 2024, importanti modifiche alla definizione di residenza fiscale in Italia, aggiornando l’articolo 2, comma 2, del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (Tuir). Queste modifiche rispondono parzialmente alle raccomandazioni della legge delega n. 111 del 2023 di allinearsi alle migliori prassi internazionali.
Vediamo quindi quando si pagano le tasse in Italia nonostante il trasferimento all’estero. Come noto, infatti, la determinazione della residenza fiscale è cruciale in quanto stabilisce chi sia soggetto al fisco italiano e quindi debba versare le imposte al nostro Stato. Ciò include non solo le tasse sui redditi e sui patrimoni generati in Italia, seguendo il principio di territorialità, ma estende l’obbligo fiscale anche ai redditi prodotti all’estero, secondo il principio di tassazione globale (worldwide principle taxation), come specificato nell’articolo 3 del Tuir.
Analizziamo le conferme e le novità introdotte dalla riforma.
Come cambia la residenza fiscale in Italia
Conferme. I criteri per stabilire la residenza fiscale rimangono in gran parte invariati. Per essere considerati residenti fiscali in Italia, è necessario soddisfare uno dei tre criteri alternativi di residenzaprevisti dalla legge (residenza, iscrizione anagrafica e domicilio) per la maggior parte dell’anno fiscale, ossia almeno 183 giorni (184 negli anni bisestili), escludendo così la possibilità di applicare la regola dello split year, che in altri Paesi permette di essere considerati residenti solo per una parte dell’anno.
Novità. Oltre ai tre criteri tradizionali per determinare la residenza fiscale, se ne aggiunge un quarto: la presenza fisica in Italia per la maggior parte dell’anno, considerando anche le frazioni di giorno. Questo significa che, dal 2024, anche studenti e turisti che trascorrono lunghi periodi in Italia potrebbero essere soggetti alla tassazione italiana.
In sintesi, le nuove regole mirano a chiarire e aggiornare i criteri per l’identificazione della residenza fiscale in Italia, con un impatto significativo su chi può essere considerato residente ai fini fiscali e, di conseguenza, soggetto alla tassazione nel nostro Paese.
La norma
L’articolo 2 del Tuir stabilisce, al netto delle recenti modifiche, quanto segue:
«1. Soggetti passivi dell’imposta sono le persone fisiche, residenti e non residenti nel territorio dello Stato.
2. Ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le persone che per la maggior parte del periodo d’imposta, considerando anche le frazioni di giorno, hanno la residenza ai sensi del codice civile o il domicilio nel territorio dello Stato ovvero sono ivi presenti. Ai fini dell’applicazione della presente disposizione, per domicilio si intende il luogo in cui si sviluppano, in via principale, le relazioni personali e familiari della persona. Salvo prova contraria, si presumono altresì residenti le persone iscritte per la maggior parte del periodo di imposta nelle anagrafi della popolazione residente.
2-bis. Si considerano altresì residenti, salvo prova contraria, i cittadini italiani cancellati dalle anagrafi della popolazione residente e trasferiti in Stati o territori diversi da quelli individuati con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale».
La residenza fiscale in Italia
Le norme riguardanti la residenza fiscale in Italia non hanno subito modifiche per quanto concerne il concetto di residenza, il quale rimane legato alla nozione di “dimora abituale” come definito dal Codice Civile. In pratica la residenza è il luogo ove una persona vive abitualmente, per gran parte dell’anno.
Tuttavia, c’è stata una riduzione dell’importanza dell’iscrizione nell’anagrafe dei residenti (e analogamente per l’AIRE, l’Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero), che non viene più considerata una prova inconfutabile di residenza. Questo significa che, sebbene una persona sia registrata come residente in un comune italiano o all’AIRE, è possibile dimostrare il contrario.
Con questa modifica, l’Italia si allinea a quanto già avviene in molti altri Paesi, dove gli aspetti formali come l’iscrizione anagrafica non sono determinanti ai fini della residenza fiscale. Questo approccio era già stato intrapreso dal legislatore italiano in relazione ai regimi fiscali agevolati per impatriati, ricercatori e professori.
Il domicilio fiscale in Italia
Anche la definizione di “domicilio” ha subito delle variazioni, venendo ora interpretato come il luogo dove prevalgono le relazioni personali e familiari di una persona. Questa nuova definizione si discosta dalla precedente, legata invece alla sede principale degli affari e agli interessi economici come indicato dall’articolo 43 del Codice Civile.
Di conseguenza, gli interessi economici perdono peso nella determinazione del domicilio, il che potrebbe complicare la definizione di residenza (poiché può essere più semplice individuare il centro degli interessi economici rispetto a quello delle relazioni personali) e facilitare il trasferimento all’estero di contribuenti benestanti, i quali potrebbero trovare più agevole spostare il centro delle proprie relazioni personali e familiari rispetto a quello degli interessi economici.
La presenza fisica in Italia
Con l’introduzione del nuovo criterio basato sulla presenza fisica, è probabile che aumenti il numero di persone considerate residenti fiscali in Italia. Tuttavia, molte di queste persone potrebbero già essere registrate come residenti in un altro Paese con cui l’Italia ha stipulato una convenzione fiscale. In questi casi di doppia residenza, la questione sarà risolta applicando le cosiddette “tie breaker rules” (regole per risolvere i conflitti di residenza), definite dagli accordi bilaterali e che hanno la precedenza sulle norme del Tuir (Testo Unico delle Imposte sui Redditi), seguendo il principio per cui una legge speciale prevale su una generale.
Le Convenzioni
Le convenzioni internazionali sottoscritte dall’Italia, in linea con l’articolo 4 del modello OCSE, stabiliscono la residenza fiscale in uno solo dei due Paesi firmatari, basandosi su un ordine di priorità:
- la presenza di un’abitazione permanente,
- il centro degli interessi vitali (economici e personali),
- il luogo di soggiorno abituale,
- la nazionalità della persona.
Solo in casi eccezionali, qualora questi criteri non fossero sufficienti a determinare la residenza fiscale, si potrebbe ricorrere a una procedura amichevole tra le autorità fiscali dei Paesi coinvolti.
Imposte di successione e donazioni
È importante sottolineare che il decreto legislativo relativo alla fiscalità internazionale non ha definito specifiche regole per determinare la residenza fiscale ai fini delle imposte di successione e donazione. Di conseguenza, per queste materie si continuerà a fare riferimento alla nozione di “dimora abituale” prevista dall’articolo 43 del Codice Civile.
In sintesi
La riforma amplia i criteri alternativi che, se ricorrono per la maggior parte del periodo di imposta (almeno 183 giorni, 184 negli anni bisestili), attribuiscono la residenza della persona fisica in Italia.
Viene previsto un nuovo – il quarto – criterio: la presenza nel territorio.
Il domicilio non riguarda più il luogo degli interessi economici ma gli interessi personali e familiari.
Non varia il criterio della residenza (dimora abituale), mentre l’iscrizione all’anagrafe ammette ora prova contraria.
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