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Tempo per passaggio di consegne nel cambio di turno: va retribuito?

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(@angelo-greco)
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Cassazione: il tempo dedicato al passaggio di consegne rientra nell’orario di lavoro e quindi va pagato. 

Non capita di rado che alcuni contratti di lavoro obblighino il dipendete, pur dopo la fine del proprio orario, ad attendere l’arrivo dei colleghi del turno successivo onde non interrompere l’attività, specie quando questa implica un contatto con la clientela. Un settore in cui ciò avviene di frequente è quello sanitario.

Ci si è spesso chiesto in giurisprudenza se il tempo per il passaggio di consegne nel cambio di turno va retribuito, ossia se deve essere considerato alla stregua del normale orario di lavoro o se, al contrario, trattandosi di uno sforzo minimo, rientri in quei doveri di collaborazione che implicano un minimo di tolleranza.

Sul punto la Cassazione si è di recente espressa con due diverse sentenze. Vediamo cosa hanno detto i giudici supremi.

Il “cambio di consegne” è considerato tempo lavorativo?

In linea generale bisogna rifarsi all’insegnamento espresso dalla Cassazione con la sentenza n. 17326/2023: il tempo trascorso per il cambio consegne deve essere retribuito solo se impone un impegno prolungato del lavoratore. Quando invece l’attesa è minima (pochi minuti) sarà bene verificare cosa prevede il contratto collettivo. Difatti, spesso quest’ultimo prevede una apposita e generica indennità per i «disagi derivanti dal lavoro». In tali disagi – ha argomentato la Cassazione – va ricompresa la normale attesa dei colleghi del turno successivo: sicché, in tale ipotesi, non è dovuto alcun risarcimento.

Se, invece, il CCNL non precede tale indennità, la situazione cambia. Anche se la Cassazione non ha menzionato questo scenario, dalle sue dichiarazioni sembra suggerire che qualsiasi attesa dovrebbe essere adeguatamente compensata. Inoltre, la stessa Cassazione ha precedentemente stabilito che il tempo dedicato al cambio d’abito per il lavoro deve essere considerato all’interno dell’orario di lavoro e, pertanto, retribuito. In sintesi:

  • se il CCNL include un’indennità, il tempo d’attesa è retribuito solo se supera il normale tempo previsto.
  • se il CCNL non prevede alcuna indennità, il tempo di attesa è considerato orario di lavoro e deve essere pagato separatamente.»

Cambio turno per infermieri e OSS

Con la seconda sentenza (n. 25477/2023), la Corte di Cassazione ha stabilito che il tempo per il passaggio di consegne nel cambio di turno degli infermieri e del personale sanitario rientra nel tempo lavorativo. Questa decisione è stata presa analizzando una specifica situazione in una RSAgestita da una cooperativa di lavoratori. La motivazione? Il cambio di consegne, essendo strettamente legato all’assistenza continua al paziente, rappresenta una prestazione di lavoro a tutti gli effetti, meritevole di retribuzione.

La Corte ha sottolineato che il cambio di consegne è fondamentale per garantire la continuità terapeutica al paziente. Questo passaggio informa il personale del turno successivo sulle esigenze e sullo stato di salute del paziente, assicurando che le cure vengano erogate in modo continuo e conforme alle necessità del paziente.

Per la Sezione lavoro, nell’ambito dell’attività infermieristica, il cambio di consegne nel passaggio di turno, «in quanto connesso, per le peculiarità del servizio sanitario, all’esigenza della presa in carico del paziente e ad assicurare a quest’ultimo la continuità terapeutica, è riferibile ai tempi di una diligente effettiva prestazione di lavoro. Sicché va considerato, di per sé stesso, meritevole di ricompensa economica, quale espressione della regola deontologica, avente dignità giuridica, della continuità assistenziale».

E il tempo per indossare l’abbigliamento da lavoro va retribuito?

Un altro punto affrontato dalla Corte riguarda l’abbigliamento richiesto ai lavoratori. La Cassazione ha sempre affermato che va computato nell’orario di lavoro, con conseguente diritto alla retribuzione aggiuntiva, il tempo impiegato dal dipendente per la vestizione e la svestizione della divisa da lavoro se tale operazione debba avvenire sul luogo di lavoro ed è imposta dal datore.

Con la sentenza n. 25478/2023, sempre la Suprema Corte ha precisato che, nel rapporto di lavoro subordinato, il tempo necessario a indossare l’abbigliamento di servizio (il cosiddetto “tempo-tuta“) costituisce tempo di lavoro soltanto ove qualificato da eterodirezione, in difetto della quale l’attività di vestizione rientra nella diligenza preparatoria inclusa nell’obbligazione principale del lavoratore e non dà titolo ad autonomo corrispettivo.

Nel caso del personale viaggiante delle ferrovie, un’ulteriore decisione ha precisato che il “tempo tuta”, cioè il tempo per indossare l’abbigliamento di servizio, è considerato tempo di lavoro solo se è imposto dal datore di lavoro. Se, ad esempio, il personale ha la libertà di cambiarsi a casa, questo tempo non è ritenuto lavorativo. La motivazione risiede nell’assenza di eterodirezione, ovvero quando il datore di lavoro non impone dove e come avvenire la vestizione.

 
Pubblicato : 25 Settembre 2023 18:00