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Telecamere in presenza dei dipendenti: quando è possibile

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(@emanuele-carbonara)
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Controlli audiovisivi sul posto di lavoro: fino a che punto possono spingersi senza ledere i diritti del lavoratore?

Ci vuole il necessario equilibrio per controllare il normale svolgimento dell’attività all’interno di un’azienda, tutelare il suo patrimonio e garantire ai lavoratori il loro legittimo diritto alla privacy. Per questo, è frequente porsi questa domanda: l’installazione di telecamere in presenza dei dipendenti, quando è possibile?

Mettere un sistema di videosorveglianza attivo durante la giornata di lavoro è possibile esclusivamente in specifici casi predeterminati dalla legge. In particolare, è legittimo per:

  • esigenze organizzative e produttive;
  • necessità di garantire la sicurezza del lavoro;
  • esigenza di tutelare il patrimonio aziendale.

Ci vuole, ad ogni modo:

  • la preventiva stipulazione di un accordo sindacale;
  • in alternativa, l’autorizzazione della Direzione territoriale del lavoro competente.

Secondo la giurisprudenza, tuttavia, il rispetto di tali procedure non occorre se il controllo audiovisivo serve ad accertare la commissione di un reato da parte del lavoratore.

Lo Statuto dei lavoratori dopo il Jobs act

Il tema della sorveglianza del lavoratore sul posto di lavoro è da sempre oggetto di acceso dibattito. Se da un lato, infatti, sussiste l’interesse del datore affinché i dipendenti eseguano al meglio la propria prestazione. Dall’altro persiste la necessità di salvaguardare i più elementari diritti del lavoratore, come la libertà, la dignità e la riservatezza.

A tal fine, sia lo Statuto dei lavoratori [1] sia il Codice della privacy [2] predispongono un’adeguata tutela per quanto riguarda i sistemi di controllo del lavoratore.

Il Jobs Act ha voluto disciplinare la tematica non più in chiave di netto divieto (come avveniva in precedenza) [3], ma delineando un sistema che ammette la sorveglianza del lavoratore, seppure con determinate finalità e le adeguate garanzie.

L’installazione di strumenti di controllo e gli impianti audiovisivi che comportino anche il controllo a distanza del dipendente è possibile nei seguenti casi:

  • quando ci sono delle esigenze organizzative e produttive;
  • quando sono necessari a garantire la sicurezza sul posto di lavoro;
  • quando il datore li ritiene indispensabili per tutelare il patrimonio dell’azienda.

In particolare, il riferimento alla tutela del patrimonio aziendale è stato aggiunto in sede di riforma per assicurare al datore la possibilità di proteggere al meglio le risorse dell’azienda.

In ogni caso, per collocare le telecamere è necessario:

  • un accordo collettivo stipulato con la Rsu o le Rsa (oppure, se le unità produttive sono dislocate in più province o in più regioni, con le associazioni sindacali nazionali);
  • in mancanza di tale intesa, l’autorizzazione preventiva della Direzione territoriale del lavoro competente per territorio (nel caso di unità produttive distribuite in ambiti di competenza di più Dtl, occorre l’assenso del ministero del Lavoro e delle politiche sociali).

Telecamere al lavoro: quando non serve l’accordo sindacale?

Non occorre rispettare le garanzie previste a tutela del lavoratore nel caso di:

  • dispositivi usati dal lavoratore per adempiere la prestazione lavorativa (si pensi a smartphone, tablet, notebook o sistemi di rilevazione Gps);
  • strumenti di rilevazione degli accessi e delle presenze (ad esempio macchine per la lettura dei badge).

Per tali apparecchiature, quindi, non bisogna stipulare un accordo sindacale o richiedere l’autorizzazione della Dtl [4]. Ciò non vale, però, quando le citate strumentazioni sono utilizzate dal datore di lavoro per controllare l’adempimento della prestazione lavorativa (si pensi ad un Gps o ai sistemi di localizzazione negli smartphone usati per verificare continuamente la posizione del lavoratore). In questi casi, quindi, il datore dovrà comunque munirsi dell’accordo sindacale o dell’assenso della Dtl.

Telecamere al lavoro: le sanzioni previste

In caso di violazione di queste regole, il datore di lavoro andrà incontro ad un’ammenda da 154 a 1.549 euro o all’arresto da 15 giorni a un anno.

Nei casi più gravi è possibile l’applicazione congiunta di tali sanzioni.

Inoltre, se l’ammenda si presume inefficace a causa del consistente patrimonio del colpevole, essa può essere aumentata fino al quintuplo. In quest’ultimo caso è anche possibile la pubblicazione della sentenza penale di condanna [5].

Telecamere al lavoro per accertamento di reati

Con una recente pronuncia, la Cassazione penale ha stabilito che le telecamere sul luogo di lavoro possono essere utilizzate al fine di verificare la commissione di reati da parte del dipendente (ad esempio furti o, come nel caso di specie, allontanamento fraudolento dal luogo di lavoro) [6]. Pertanto, in questi casi non è necessario rispettare le garanzie previste dallo Statuto dei lavoratori, che operano solo nei rapporti interni tra datore e prestatore di lavoro.

Se si pone l’esigenza di accertare un reato, invece, l’interesse pubblico tutelato dalla norma penale prevale su quello personale del dipendente.

La registrazione, inoltre, potrà essere utilizzata nel processo penale come prova della commissione dell’illecito [7]. Al contrario, essa non sarà utilizzabile al fine di dimostrare l’inadempimento contrattuale del lavoratore: in questo caso, infatti, torneranno ad essere vincolanti le limitazioni previste dallo Statuto dei lavoratori.

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Pubblicato : 22 Febbraio 2023 18:35