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Strumenti alternativi al processo: quali sono?

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(@mariano-acquaviva)
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Mediazione, negoziazione assistita, arbitrato, conciliazione e transazione: tutti i modi per risolvere una controversia ed evitare di finire in causa.

Il vicino di casa non vuole rimuovere il muro che ha costruito oltre il confine; l’inquilino del piano di sopra non la smette di fare rumore; il debitore a cui è stato fatto un prestito non restituisce quanto dovuto: sono solo alcune delle tantissime controversie che possono sorgere tra due persone. In tutti questi casi, non resta che ricorrere al tribunale per ottenere giustizia. Per la legge, però, esistono dei rimedi alternativi, cioè delle procedure che, se hanno buon esito, consentono di evitare un lungo e costoso processo. Quali sono gli strumenti alternativi al processo?

Come meglio diremo nel prosieguo, per “strumenti alternativi” si intendono sostanzialmente dei metodi di conciliazione che servono a mettere d’accordo le parti al fine di evitare di andare in giudizio. In effetti, solamente il giudice può imporre a qualcuno di fare qualcosa contro la propria volontà; pertanto, le procedure alternative devono necessariamente basarsi sulla volontà delle parti di collaborare. Quali sono gli strumenti alternativi al processo? Scopriamolo insieme.

Strumenti alternativi al processo: cosa sono?

Come anticipato, sono “strumenti alternativi al processo” tutte le procedure conciliative con cui si cerca di mettere d’accordo le parti per scongiurare una causa davanti al giudice.

Per giungere a una conclusione pacifica della controversia, gli strumenti alternativi al processo possono affidarsi all’intervento di una persona terza e imparziale (come avviene, ad esempio, nel caso di mediazione) oppure alla collaborazione tra avvocati (come accade nella negoziazione assistita).

Nella prassi, questi strumenti sono anche conosciuti con l’acronimo ADR (che sta per “Alternative dispute resolution”), che individua appunto i casi in cui si chiede l’intervento di un terzo imparziale che propone una soluzione o riunisce le parti al fine di agevolare una soluzione amichevole, evitando il ricorso all’autorità giudiziaria, con risparmio di tempo e spese.

La scelta dello strumento alternativo è lasciata alla libera iniziativa delle parti; la legge può però prevedere il ricorso obbligatorio a un tipo di ADR: è ciò che accade con la mediazione civile di cui parleremo a breve.

Quando si può ricorrere agli strumenti alternativi?

Le parti possono ricorrere a uno degli strumenti alternativi al processo quando la controversia abbia ad oggetto diritti disponibili, cioè diritti di cui il titolare può, appunto, disporre. Nei diritti disponibili rientrano tutti quelli che possono essere oggetto di un’operazione giuridica, qualsiasi essa sia (vendita, permuta, locazione, rinuncia ecc.).

I diritti disponibili sono, di solito, quelli che hanno un contenuto patrimoniale, cioè economicamente valutabile: si pensi al diritto di proprietà su un determinato bene (una casa, un’automobile, un orologio, un cellulare, ecc.). Sono altresì disponibili i diritti di credito: chi ha un credito nei confronti di una persona debitrice può tranquillamente cedere il credito stesso, ridurlo oppure addirittura rimetterlo.

Quando non si può ricorrere agli strumenti alternativi?

In linea di massima, non si può ricorrere agli strumenti alternativi al processo

  • per la materia penale (cioè, per le questioni che costituiscono reato);
  • per le questioni riservate alla giurisdizione amministrativa (si pensi all’abuso edilizio commesso dal cittadino, ad esempio) o a quella tributaria, contabile e militare.

Come detto nel precedente paragrafo, non si può ricorre agli strumenti alternativi nemmeno quando sono in gioco diritti indisponibili.

In generale si considerano indisponibili:

  • il diritto alla vita (anche se si ammette il rifiuto di trattamenti sanitari);
  • i diritti di stato e di capacità delle persone fisiche (interdizione, inabilitazione, ecc.;
  • i diritti che scaturiscono da rapporti familiari (responsabilità genitoriale, diritto agli alimenti o affidamento dei figli, che può però, nei limiti di legge, essere oggetto di accordi tra i genitori o coniugi);
  • il diritto all’integrità fisica (ad esempio, sono vietati gli atti di disposizione del proprio corpo che causano una diminuzione permanente dell’integrità fisica);
  • i diritti della personalità, ma il titolare spesso può regolarli o limitarli (ad esempio, diritto all’immagine o alla riservatezza, diritto al nome).

Quali sono gli strumenti alternativi al processo?

Nell’ambito degli strumenti alternativi al processo previsti dalla legge sono riconducibili:

  • la mediazione;
  • la negoziazione assistita.
  • l’arbitrato;
  • la conciliazione;
  • la transazione.

Analizziamone brevemente le principali caratteristiche.

Mediazione: cos’è e come funziona?

Il procedimento di mediazione riguarda esclusivamente controversie in materia civile e commerciale aventi ad oggetto diritti disponibili (a esclusione delle controversie in materia di lavoro).

Per alcune materie tassativamente indicate dalla legge, la mediazione è prevista come obbligatoria in quanto costituisce una condizione di procedibilità della domanda giudiziale: è il caso della mediazione in ambito condominiale o delle controversie sorte in un rapporto di locazione.

Negli altri casi, la mediazione è facoltativa e il suo mancato esperimento non comporta conseguenze sulla domanda giudiziale.

La legge tuttavia prevede anche una mediazione cosiddetta demandata, ossia disposta dal giudice durante il giudizio, quando ravvisa l’esistenza di determinate condizioni e la possibilità di conciliare la lite. In tale ultimo caso, esperire la mediazione diventa obbligatorio e integra una condizione di procedibilità (successiva e sopravvenuta) della domanda giudiziale in corso.

A prescindere dal tipo di mediazione posto in essere, l’intero procedimento si svolge necessariamente presso un organismo di mediazione al quale le parti devono rivolgersi. Le parti inoltre devono farsi assistere da un avvocato, a eccezione del caso in cui si tratti di una mediazione facoltativa.

Se la mediazione si conclude positivamente, il mediatore fa sottoscrivere un verbale che costituisce titolo esecutivo e che, in effetti, è come se avesse il valore legale di una sentenza.

Negoziazione assistita: cos’è e come funziona?

La negoziazione assistita è uno strumento alternativo al processo volto a favorire la conciliazione tra le parti che sono in conflitto.

Caratteristica fondamentale della negoziazione assistita è che l’attività di conciliazione non viene svolta da un organo terzo ed imparziale (come nel caso della mediazione), bensì dagli avvocati: sono i difensori delle parti coinvolte nella lite a dover cercare di raggiungere un accordo che possa andare bene a tutti.

Se la negoziazione va a buon fine, le parti sottoscrivono un’apposita convenzione, cioè un verbale che definisce una volta per tutte la vicenda.

La negoziazione assistita è una procedura che non può durare all’infinito: secondo la legge, una negoziazione non può avere una durata inferiore al mese e superiore ai tre mesi, prorogabile al massimo per altri trenta giorni.

Se, durante questo periodo di tempo, le parti giungono ad una positiva conclusione, ne viene dato atto in una scrittura privata (una convenzione di negoziazione assistita, appunto) che viene sottoscritta personalmente dalle parti e dai loro difensori.

In caso contrario, se le trattative sorte a seguito di invito a stipulare una convenzione di negoziazione assistita dovessero andare male, la procedura si concluderebbe con un verbale che attesta l’esito negativo.

La negoziazione assistita è obbligatoria:

  • in tutte le controversie in materia di risarcimento del danno da circolazione di veicoli e natanti;
  • nelle controversie che hanno ad oggetto una domanda di pagamento a qualsiasi titolo di somme non eccedenti cinquantamila euro.

In questi casi, esattamente come avviene per la mediazione, la negoziazione è condizione di procedibilità, nel senso che non è possibile andare in tribunale senza prima aver fatto questo tentativo di conciliazione.

Arbitrato: cos’è e come funziona?

L’arbitrato è un altro strumento alternativo al processo, utile per la risoluzione delle controversie in materia civile.

L’arbitrato consiste in un accordo scritto (che prende il nome di compromesso) con cui le parti conferiscono il potere di decidere la controversia a giudici privati definiti, per l’appunto, arbitri.

Esistono due tipi di arbitrato:

  • l’arbitrato rituale, previsto dalla legge, che riconosce alla decisione degli arbitri gli stessi effetti di una pronuncia del giudice ordinario, a condizione che venga rispettata una procedura di riconoscimento da farsi in tribunale;
  • l’arbitrato irrituale, per il quale la legge non detta alcuna disciplina. In questo caso, la decisione degli arbitri costituisce solamente un obbligo di natura contrattuale e, se non viene adempiuto, potrà essere posto a base di una successiva azione giudiziaria.

Il lodo arbitrale è la decisione emessa nell’arbitrato rituale; ciò significa che il lodo arbitrale è in grado di sostituire la sentenza di un magistrato, equiparandosi a una decisione presa dalla giustizia civile.

Per la precisione, la parte che intende far eseguite il lodo deve depositarlo presso la cancelleria del tribunale nella cui circoscrizione è la sede dell’arbitrato. Il tribunale accerta la regolarità formale del lodo e lo dichiara esecutivo con proprio decreto. Questa procedura è definita di “exequatur”.

Il lodo arbitrale, dunque, costituisce molto più di una sentenza privata: se reso esecutivo dal tribunale, costituisce idoneo titolo per iscrivere ipoteca giudiziale e perfino per procedere alla sua esecuzione forzata.

Per legge, infatti, il lodo reso esecutivo è soggetto a trascrizione o annotazione, in tutti i casi nei quali sarebbe soggetta a trascrizione o annotazione la sentenza avente il medesimo contenuto; esattamente come avviene, in effetti, per il verbale positivo a seguito di mediazione oppure per la convenzione di negoziazione assistita tra avvocati.

Conciliazione: cos’è e come funziona?

Un altro strumento alternativo al processo è la conciliazione, procedura con cui si prova a evitare di andare in giudizio (o di proseguirlo, se il tribunale è già stato adito) grazie all’intervento di una figura che cerca il compromesso tra le parti.

Il problema della conciliazione è che, a differenza di altri strumenti alternativi al processo come la mediazione e la negoziazione assistita, la legge non ne offre una disciplina unitaria, nel senso che non esiste un’unica procedura da seguire per chi vuole tentare la strada conciliativa.

La conciliazione rappresenta spesso una fase di un giudizio già instaurato; da ciò derivano due conseguenza importanti:

  • la prima è che, tecnicamente, la conciliazione non è condizione di procedibilità come la mediazione o la negoziazione assistita; anzi, al contrario, spesso occorre proprio che sia stato adito il giudice per poter procedere alla conciliazione;
  • la seconda è che l’attività di conciliazione è svolta da una persona terza e imparziale la quale, se si è già in tribunale, coincide con il giudice stesso. In altre parole, quando la conciliazione è prevista dalla legge come fase del processo, occorre prima fare ricorso al tribunale; dopodiché, sarà il giudice stesso a proporre la conciliazione. Esempi classici di conciliazione all’interno di un processo già instaurato sono quelli che caratterizzano le controversie in materia di lavoro e i giudizi davanti al giudice di pace.

Ciò non significa, però, che la conciliazione sia sempre giudiziale: il codice di procedura civile prevede diversi casi in cui la persona che ritiene di essere stata lesa nei propri diritti, anziché ricorrere direttamente in tribunale, convochi la controparte davanti ad un organismo terzo (ad esempio, la commissione di conciliazione [1]) per cercare di raggiungere una soluzione bonaria.

Transazione: cos’è e come funziona?

La transazione è l’accordo che due o più parti raggiungono per concludere una lite già cominciata o per prevenirne una possibile.

Secondo la legge [2], caratteristica fondamentale della transazione è che le parti si facciano reciproche concessioni pur di giungere a una conclusione della vicenda. Tutti i soggetti coinvolti devono quindi rinunciare a qualcosa per venirsi incontro.

In realtà, spesso la transazione finisce per essere solamente un rimedio alle lungaggini processuali. Ad esempio il creditore, pur di non iniziare un giudizio interminabile e pagare la costosa parcella dell’avvocato, preferisce raggiungere un accordo con il debitore, il quale si impegna a pagare solo una parte del suo debito. È il famoso “saldo e stralcio” a cui si ricorre molte volte, soprattutto in presenza di debitori nullatenenti.

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Pubblicato : 9 Novembre 2022 15:00