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Straining: tutto ciò che c’è da sapere

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Ecco cosa dice la giurisprudenza sul mobbing e sullo straining: quando l’ambiente di lavoro è stressogeno, oppressivo e tossico spetta il risarcimento del danno.

Quando si parla di problemi sul posto di lavoro, il termine ‘mobbing’ è ormai noto a molti. Tuttavia, un concetto meno conosciuto, ma altrettanto importante, è lo ‘straining’. Quest’ultimo riguarda azioni ostili fatte dal superiore verso il lavoratore, ma a differenza del mobbing, manca di continuità nelle azioni vessatorie. Ma cos’è precisamente lo straining? E quando si ha diritto a un risarcimento? Come si fa la causa al datore di lavoro ed entro quanto tempo. In queto articolo approfondiremo l’argomento: vedremo tutto ciò che c’è da sapere sullo straining alla luce dell’attuale quadro della giurisprudenza. Ma procediamo con ordine.

Cos’è lo straining sul lavoro?

Lo straining è essenzialmente uno stress forzato che un superiore gerarchico può infliggere a un lavoratore attraverso azioni ostili. Queste azioni hanno lo scopo di discriminare il dipendente, ma a differenza del mobbing, non si verificano con continuità. In altre parole, mentre il mobbing implica una serie di comportamenti ripetuti che mirano a danneggiare psicologicamente un lavoratore, lo straining può essere un atto isolato, ma ugualmente dannoso.

Qual è la differenza tra straining e mobbing?

Per comprendere appieno lo straining, è essenziale conoscere cosa significa mobbing. Il mobbing è caratterizzato da una pluralità di comportamenti, ripetuti nel tempo, tutti quanti rivolti a un unico intento preordinato e, quindi, dettato da dolo (malafede): ossia emarginare e vessare la vittima, con l’obiettivo di causarle un danno psicofisico e allontanarla dall’ambiente di lavoro.

Il dipendente che è vittima di mobbing, per ottenere il risarcimento, deve dimostrare sia l’intenzione persecutoria (elemento soggettivo) che l’insieme degli atti vessatori (elemento oggettivo), oltre al danno psicofisico subito e la sua connessione con l’ambiente di lavoro. Lo straining, invece, manca di questi elementi continui di persecuzione, né richiede la prova del dolo ossia dello scopo che accomuna tutti gli atti del datore di lavoro (quello, come detto, rivolto all’emarginazione della vittima). Sicché dimostrare lo straining è molto più facile rispetto al mobbing. Proprio per questo, tutte le volte in cui un dipendente agisca contro il proprio datore di lavoro per mobbing, il giudice – in assenza delle prove sufficienti per la condanna – può riqualificare l’azione come rivolta a ottenere il risarcimento da straining. Ciò che conta infatti – ha detto la Cassazione – è che vi sia un comportamento illecito del datore di lavoro. E questo comportamento può genericamente consistere nella violazione dell’articolo 2087 del codice civile che impone all’azienda di tutelare la salute psicofisica del dipendente. Il che non avviene quando vi sono una o più vessazioni, quando l’ambiente di lavoro è tossico, stressogeno, malato, oppressivo.

Quando si può parlare di straining sul lavoro?

Uno scenario di straining si verifica quando un datore di lavoro sottopone un dipendente a condizioni lavorative estremamente stressanti, violando i suoi diritti fondamentali: si pensi alla continua richiesta di straordinari, alla negazione delle pause di lavoro o delle ferie.

Se, in un’azione legale, il giudice ritiene che non sussistono i presupposti necessari a una condanna per mobbing, a causa della mancanza di elementi soggettivi o oggettivi, questi potrebbe comunque riconoscere la presenza dello straining basandosi su ciò che il lavoratore ha presentato come prova.

Giurisprudenza sullo straining

Una recente ordinanza della Corte di cassazione, la 29101/2023, ha stabilito che se viene accertato lo straining, anche in assenza del mobbing, la richiesta di risarcimento del danno deve essere accolta. Questo significa che i lavoratori hanno il diritto di essere risarciti anche se vengono esposti a episodi isolati di straining.

La Suprema corte ricorda il proprio orientamento costante (tra le tante, 18164/2018) «secondo cui lo straining rappresenti una forma attenuata di mobbing perché priva della continuità delle vessazioni ma sempre riconducibile all’articolo 2087 c.c., sicché se viene accertato lo straining e non il mobbing la domanda di risarcimento del danno deve essere comunque accolta»; e continua ribadendo il valore dirimente assegnato al rilievo dell’ambiente lavorativo stressogeno «quale fatto ingiusto, suscettibile di condurre anche al riesame di tutte le altre condotte datoriali allegate come vessatorie, ancorché apparentemente lecite o solo episodiche» (Cass. 3692/2023).

 
Pubblicato : 27 Ottobre 2023 11:15