Stipendio in ritardo: cosa fare?
Il datore tarda a corrispondere la retribuzione: come occorre muoversi?
Prendendo spunto dai versi iniziali di una canzone popolare dell’entroterra napoletano, il padrone ha sempre le tasche pingui, mentre all’operaio, dopo un mese di lavoro stancante, mancano persino i soldi per far fronte alle spese quotidiane.
Proprio nel Mezzogiorno, purtroppo, è sempre più diffusa la prassi di ritardare le paghe ai dipendenti, accrescendo la mole di problemi da cui questi ultimi sono oltremodo gravati.
Allora, quali tutele appresta l’ordinamento a favore di chi, a fronte dell’inerzia datoriale, si trova costretto a percepire la paga in ritardo?
Il lavoro subordinato: quali doveri per le parti?
Tra le fattispecie contrattuali più diffuse nella realtà quotidiana rientra senz’altro quello di lavoro dipendente (o subordinato, che dir si voglia), disciplinato dagli articoli 2094 e seguenti del Codice Civile.
Il Legislatore definisce, in primo luogo, la figura del prestatore – e, indirettamente, quella del datore -, identificandolo in quel soggetto che, in cambio di un compenso (la retribuzione, le cui modalità sono regolate dall’art. 2099 c.c.), si obbliga a svolgere una determinata attività alle dipendenze e sotto la direzione di un’altra persona (sia essa fisica o giuridica).
Sebbene la dottrina più diffusa perseveri nell’identificare la parte datoriale come soggetto «forte», la maggior parte della normativa in materia contiene un’ampia sfilza di tutele per il lavoratore (in virtù della sua «debolezza» fattuale), il quale potrà far leva tanto sulle disposizioni del Codice Civile quanto sulle previsioni contenute nelle leggi ad esso complementari e/o collegate, prima tra tutte la L. 300/1970 (correntemente denominata Statuto dei Lavoratori).
In verità, anche la Carta Costituzionale, in virtù del principio di solidarietà di cui all’art. 2, contiene una serie di statuizioni che salvaguardano la dignità di chi lavora: la più rilevante di queste va identificata nell’art. 36 Cost., a tenore del quale il soggetto in questione ha diritto ad una retribuzione che sia proporzionata vuoi alla qualità, vuoi alla quantità del lavoro prestato in favore d’altri, dimodoché egli, unitamente alla sua famiglia, possa vivere dignitosamente.
Leggendo in combinato disposto la statuizione testé richiamata e l’art. 2094 c.c., risulta più che agevole concludere che il contratto di lavoro ha natura sinallagmatica (cioè, è a prestazioni corrispettive): se, da un lato, il prestatore deve adempiere ai propri obblighi, dall’altro il soggetto «forte» è tenuto a pagarlo dignitosamente e a salvaguardarne l’integrità fisica e la dignità morale.
Si può recedere per giusta causa dal contratto di lavoro dipendente?
In ossequio alla statuizione contenuta nell’art. 2119 del Codice Civile, ciascuna delle parti è legittimata a recedere dal contratto di lavoro qualora l’altra tenga un comportamento talmente grave da compromettere il vincolo fiduciario richiesto ai fini della continuazione del rapporto: a titolo esemplificativo, si pensi al lavoratore che, per trarre in inganno l’azienda, compia di proposito un errore nell’uso del marcatempo, oppure al datore che trascuri le norme in tema di sicurezza o non adempia all’obbligo di pagare i propri subalterni.
In casi del genere, quindi, il soggetto danneggiato dalla condotta illecita dell’altro non sarà tenuto a dare a quest’ultimo alcun preavviso qualora intenda recedere dal contratto.
Lo stipendio viaggia con circa…un mese e mezzo di ritardo: che fare?
S’immagini che Giorgio, assunto nel 2017 dalla CleanUp SpA è preposto alla sanificazione dei locali di un centro congressi, stia ferventemente aspettando l’accredito dello stipendio, e che sia passato un mese e mezzo dal giorno in cui ha ricevuto l’ultima paga!
Inoltre, nel suddetto arco temporale il di lui datore, tale Harry, s’è mostrato avvezzo a cambiargli sovente i turni in modo arbitrario e, talvolta, a fargli fare gli straordinari, senza, tuttavia, fargli scorgere il becco di un quattrino [1].
Orbene, in contesti del genere il prestatore – oltre a sollecitare il datore a mettersi in regola coi pagamenti – potrà dimettersi per giusta causa ai sensi dell’art. 2119 c.c.: a tal riguardo, la Cassazione ha precisato che il «capo» non soltanto dovrà corrispondere tutti gli arretrati al dipendente dimessosi, ma sarà altresì tenuto a versargli gli interessi moratori.
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