Spiare il coniuge: quando è reato di violazione della privacy
Attenzione a sbirciare nelle cartelle del pc o nel telefonino di marito o moglie: si rischia di finire in tribunale e di perdere la causa.
Si dice che quando ci si sposa si diventa una sola cosa. E può essere anche vero, ma fino a un certo punto: si condividono tante cose, tuttavia ci sono degli spazi che devono restare strettamente personali. Così dice la legge, che punisce chi si permette di entrare senza permesso ed in maniera troppo invadente nella sfera dell’altro. Spiare il coniuge, quando è reato di violazione della privacy?
Esistono diversi modi di infrangere il diritto alla riservatezza del marito o della moglie. Secondo la normativa e la giurisprudenza, un coniuge deve sempre rispettare lo spazio personale dell’altro. Non sono ammesse ingerenze nella privacy, anche se deve essere sempre garantito il dovere di assistenza che impone di non pregiudicare la comunione di vita familiare privilegiando i propri interessi personali.
È, ad esempio, violazione della privacy:
- installare in casa all’insaputa dell’altro un apparecchio per registrare le conversazioni telefoniche, anche se chi lo fa dichiara di avere agito nel superiore interesse dell’unità familiare. Significa che è vietato anche installare sul proprio cellulare delle applicazioni per controllare chiamate o messaggi ricevuti sul telefonino del coniuge.
- guardare all’insaputa dell’altro i messaggi che riceve via SMS, WhatsApp o e-mail: in quest’ultimo caso, scatta anche il reato di violazione della corrispondenza;
- controllare di nascosto le chat private sui profili social del coniuge;
- installare nel bagno delle telecamere per guardare il coniuge a sua insaputa: si tratta, per la precisione, di interferenza illecita nella vita privata.
In altre parole: finché viene garantito il dovere di solidarietà verso la famiglia, lo deve essere altrettanto il diritto alla riservatezza. E questo – sostiene la Cassazione – perché l’assistenza morale e materiale è possibile solo fra persone che si riconoscono piena e pari dignità [1].
Il diritto alla riservatezza del coniuge è il diritto inviolabile alla libertà e segretezza della corrispondenza personale, garantito dall’articolo 15 della Costituzione. Solo in circostanze eccezionali e in presenza di un interesse oggettivo, l’altro coniuge o i familiari possono chiedere di conoscere o accedere alla stessa.
Vuol dire che l’intromissione di un coniuge nella sfera privata dell’altro è una violazione dei doveri coniugali e può costituire un reato. A nulla serve dire che c’era il sospetto di un tradimento e che se ne voleva avere una prova: secondo la Cassazione, infatti, l’intercettazione delle telefonate o della corrispondenza non può mai essere giustificata dal tentativo di scoprire e provare l’infedeltà del coniuge.
Per «corrispondenza» si deve intendere, ovviamente, non solo le lettere scritte su carta al profumo di rose ma anche la posta elettronica e i messaggi ricevuti dal coniuge via sms o WhatsApp o sulle chat dei social network. Attenzione anche a strappare il cellulare di mano al marito o alla moglie a tale scopo in un momento di gelosia o durante una feroce discussione: tale comportamento configura il reato di rapina.
Se, ad esempio, la moglie viene a sapere sbirciando nelle cartelle del pc del marito o nel suo telefonino che lui è iscritto a OnlyFans e che scarica il materiale pornografico, può essere accusata di violazione della privacy. La tutela dei dati personali, difatti, attribuisce la massima riservatezza alle informazioni sulla salute e sulle abitudini sessuali di una persona: possono, quindi, essere trattate solo con il consenso del diretto interessato. Morale: se la moglie scopre di OnlyFans scovando le foto hard dal computer del marito, non potrà utilizzare quel materiale in un’eventuale causa di separazione in tribunale.
Sempre secondo la Cassazione [2]:
- chi accede alla casella di posta elettronica di un’altra persona e prende visione delle e-mail riservate commette reato alla stessa maniera di chi apre la corrispondenza cartacea di altri;
- non elimina il reato il fatto che il titolare dell’account di posta elettronica, dopo aver letto le proprie e-mail, sia rimasto «loggato», consentendo così al partner di entrare nella propria casella senza sforzi e tentativi di carpire la sua password.
Diverso è il caso dei coniugi che hanno un indirizzo di posta elettronica comune. In questa ipotesi, se è dimostrata la volontà di entrambi di voler lasciare libero l’accesso al proprio partner mediante la conoscenza delle credenziali, allora non si integrerebbe il reato di violazione di corrispondenza.
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