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Somme ricavate da vendita di una casa personale entrano in comunione?

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(@angelo-greco)
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Il prezzo ottenuto dalla vendita di un bene di proprietà di un solo coniuge non va diviso con l’altro.

Ipotizziamo il caso di una persona che, prima di sposarsi, acquisti una casa o la riceva in donazione. Dopo il matrimonio – contratto in regime di comunione dei beni – decide di vendere l’immobile e di depositare il ricavato su un conto corrente cointestato con il coniuge. Ci si chiede se le somme ricavate dalla vendita di una casa personale entrano in comunione. In buona sostanza, il prezzo della cessione, confluito sul conto corrente comune, va diviso nel caso in cui dovesse sopraggiungere la separazione tra i coniugi? Vediamo cosa dicono la legge e la giurisprudenza in casi come questo.

Cosa non entra in comunione dei beni?

L’articolo 179 del codice civile elenca una serie di beni che non rientrano nella comunione legale dei coniugi. Tra questi vi sono i beni di cui il coniuge era proprietario prima del matrimonio, i beni ricevuti in donazione o per testamento anche se dopo le nozze, i beni per uso personale e i beni acquisiti con il ricavato dalla vendita dei beni predetti o col loro scambio, purché ciò sia espressamente dichiarato all’atto dell’acquisto.

Questo lascia ben intendere che il prezzo derivante dalla vendita di un bene personale resta di proprietà del titolare del bene stesso benché la vendita sia avvenuta dopo il matrimonio e nonostante il fatto il ricavato sia stato accreditato sul conto corrente cointestato (bisognerà comunque dimostrare, tramite tracciabilità del pagamento, la provenienza del denaro).

Il prezzo della vendita di una casa non entra in comunione

Come ha chiarito la Cassazione (Cassazione civile, sez. I, 20/01/2006 , n. 1197), in tema di comunione legale tra coniugi, il denaro ottenuto a titolo di prezzo per la vendita di un bene personale rimane nella esclusiva disponibilità del coniuge venditore anche quando esso venga dal medesimo accantonato sotto forma di deposito bancario sul proprio conto corrente.

Difatti il diritto di credito relativo al capitale non può considerarsi modificazione del capitale stesso, né è d’altro canto configurabile come un’operazione finalizzata a determinare un mutamento effettivo nell’assetto patrimoniale del depositante. Pertanto, il coniuge può utilizzare liberamente le somme accantonate sul di lui conto corrente, provenienti dall’alienazione di un bene personale. Ne consegue peraltro che, in caso di separazione e divorzio, dette somme non dovranno essere divise tra i coniugi (così come del resto non si sarebbe dovuto dividere il bene che, prima della vendita, apparteneva a un solo coniuge).

Il versamento del prezzo sul conto corrente cointestato

Il problema si pone quando, una volta incassato il prezzo e accreditato sul proprio conto corrente personale, il venditore decide, in un secondo momento, di cointestare il conto corrente all’altro coniuge.

Si pensi al marito che, dopo aver venduto una casa che era già sua prima di sposarsi, riceva il prezzo sul proprio conto e, un anno dopo, decida di cointestare detto conto alla moglie.

Sul punto la Cassazione ha detto che la cointestazione del conto corrente si considera essere una donazione per la metà del valore del conto stesso. Tale atto presuppone dunque che, a monte, vi sia la volontà di regalare al coniuge il 50% del ricavato dalla vendita.

Tuttavia può essere fornita la prova contraria. Il coniuge dovrà cioè dimostrare che la cointestazione del conto nascondeva una simulazione: non era cioè sorretta da un intento di generosità ma da finalità di natura diversa, magari per soddisfare esigenze logistiche (ad esempio per assicurare all’altro coniuge la libertà di effettuare prelievi per le spese quotidiane destinate al ménage domestico).

 
Pubblicato : 7 Giugno 2023 10:30