Si può sapere la retribuzione dei colleghi?
L’Unione europea elimina il segreto retributivo: ora è lecito conoscere lo stipendio dei colleghi.
Probabilmente più di una volta ti sei domandato se si può sapere la retribuzione dei colleghi. Magari hai partecipato ad un colloquio di lavoro nel corso del quale ti è stata fatta un’offerta economica con la precisazione da parte di chi ti selezionava che si trattava di “un’offerta riservata solo a te”, con preghiera dunque di non divulgarla ad altri; oppure hai la curiosità di conoscere se la tua retribuzione sia in linea con quella dei tuoi colleghi, a parità di inquadramento e mansioni, ad esempio perché ritieni di essere discriminata in quanto lavoratrice donna, o pensi di avere un trattamento meno favorevole nonostante la tua esperienza e i tuoi titoli di studio. Ad oggi può dirsi vigente una sorta di “segreto salariale”, in base al quale è vietato divulgare ai colleghi l’ammontare del proprio stipendio, o assumere informazioni in merito alla retribuzione altrui. Questo trend è tuttavia destinato a sparire, in quanto, con recente direttiva 2023/970, l’Unione europea ha stabilito la possibilità di rendere pubblico l’ammontare dello stipendio dei propri lavoratori da parte delle aziende. Vediamo nel dettaglio di cosa si tratta.
Il principio di parità retributiva
Per principio di parità retributiva si intende quella regola in base alla quale ai lavoratori, a parità di mansioni e anzianità dovrebbe spettare il medesimo trattamento retributivo, senza la possibilità per le aziende di porre in essere trattamenti preferenziali.
Si tratta di un principio finora assolutamente non attuato nel nostro ordinamento, tanto che secondo la prevalente giurisprudenza e dottrina, fermo restando il divieto di discriminazione (quindi il pagamento di una retribuzione diversa per ragioni di sesso, politiche, religiose, o sindacali), nel nostro ordinamento non può parlarsi in concreto dell’esistenza di un principio di parità retributiva dei lavoratori a parità di mansioni.
Si è sempre negato, dunque, che esistesse un’automatica uguaglianza tra qualifica e retribuzione per tutti i dipendenti, potendo datore e lavoratore, nell’ambito della loro autonomia contrattuale, stabilire differenza di retribuzione e ammettendo, solo per alcuni dipendenti, benefici retributivi esclusivi e non estesi anche alla generalità dei lavoratori, a parità di qualifica e mansioni. Eventuali trattamenti differenziati sono dunque ammessi purché nel rispetto dei limiti costituzionali e comunque purché giustificati da ragioni oggettive, quali ad esempio l’alta specializzazione del lavoratore o la sua qualificazione professionale.
Non esistendo un principio di parità retributiva, si è sempre ritenuto che non fosse pertanto necessario né opportuno conoscere l’ammontare della retribuzione dei propri colleghi, essendo anzi questo un dato spesso coperto da privacy, o comunque da considerarsi riservato.
La direttiva UE 2023/970
Il principio di parità retributiva ha tuttavia subìto una forte spinta e una notevole svolta a partire dallo scorso mese di maggio, quando è stata pubblicata la direttiva UE 2023/970, volta a rafforzarne l’applicazione, soprattutto tra uomini e donne, per lo stesso lavoro o per un lavoro di pari valore, mirando a garantire la trasparenza retributiva e la conoscenza delle modalità di calcolo della retribuzione rispetto ai diversi rapporti di lavoro.
Secondo le norme contenute nella predetta direttiva, gli Stati membri dell’Unione Europea dovranno assicurare una serie di tutele e informazioni sulla parità di retribuzione e su come questa viene applicata ai rapporti di lavoro.
Inoltre, i lavoratori che ritengano di aver subito un danno, a seguito della violazione di un diritto o di un obbligo connesso al principio di parità retributiva, avranno il diritto di chiedere e ottenerne il risarcimento. In questi casi sarà l’azienda a dover dimostrare di aver rispettato il principio di parità retributiva e di non aver dato luogo a discriminazioni economiche tra dipendenti, a parità di condizioni.
In altre parole, alla luce di tale normativa comunitaria, tutti i lavoratori a parità di condizioni dovranno guadagnare lo stesso stipendio e dovrà essere garantita loro un’informazione che dimostri questa parità retributiva.
Già in fase di colloquio di lavoro, le aziende dovranno essere molto trasparenti nel definire la retribuzione attribuita per l’incarico proposto e, nei contratti di lavoro, saranno vietate le clausole che limitano per i dipendenti la possibilità di divulgare ai colleghi l’importo del proprio salario.
La parità retributiva dovrà essere garantita da tutti i datori di lavoro pubblici e privati a tutti coloro che hanno un contratto di lavoro disciplinato dalla legge, dai CCNL di categoria, o dalla prassi.
La direttiva prevede inoltre che siano accessibili ai dipendenti i criteri in base quali è stata determinata la loro retribuzione, con esonero da tale obbligo solo per le imprese con meno di 50 dipendenti. Qualora inoltre i dipendenti abbiano bisogno di chiarimenti sul punto da parte delle aziende, queste ultime saranno tenute a dare loro risposta entro due mesi dalla relativa domanda.
Gli obblighi di recepimento per l’Italia
La direttiva UE 2023/970, entrata in vigore il 20º giorno successivo alla sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea, vincola tutti gli Stati membri dell’Unione, i quali dovranno recepirne, attraverso le proprie leggi o regolamenti nazionali, il contenuto entro il 7 giugno 2026.
Qualora l’Italia non si dovesse conformare al contenuto della direttiva in parola entro il predetto termine, sarà sanzionabile mediante procedimento di infrazione e coloro che dovessero ritenersi lesi dalla mancata attuazione della direttiva UE 2023/970 potranno richiedere al giudice l’applicazione delle norme in essa contenute e non attuate dalla legge italiana (c.d. efficacia diretta verticale delle direttive).
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